Benvenuto in… Madagascar!

Lo abbiamo citato così tante volte, fino ad ora che, beh, già avreste dovuto immaginarvi dove si sarebbe svolta la demo che abbiamo provato in anteprima. Ci troviamo nel capitolo intitolato “Le Dodici Torri” e il setting è per l’appunto quello dell’isola africana, che si presta peraltro benissimo al riproporre al videogiocatore atmosfere e luoghi a cui è ormai abituato, quali foreste, deserti e montagne innevati, tutti compresenti in questa affascinante parte del globo.

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Iniziamo la nostra sessione di gioco guidando – una delle principali innovazioni del titolo sono appunto le sequenze non scriptate in auto – e sentendo cosa si dicono Sully e Sam, intenti a parlare del più e del meno. Subito una piccola chicca: nel caso Nate sia uno degli interlocutori principali e scenderete dalla vettura, risalendo sarete accolti con uno “Stavi dicendo?”, “Dove eravamo rimasti?” e così via: i capolavori si vedono anche da questo. Per quanto il sistema di guida non risulti molto profondo o tecnico, come era lecito attendersi, e come è giusto che sia, siamo rimasti piacevolmente colpiti da come le sensazioni cambino in base al terreno su cui si sta passando: un semplice sterrato sarà cosa ben diversa rispetto alla fanghiglia melmosa in cui rischierete di rimanere impantanati, qualora non prestiate la giusta attenzione al mantenere una velocità di accelerazione costante. Ma non solo di quattro ruote, si vive: anche di gadget extra, in un certo senso di “batmaniana” memoria. Nate e soci avranno infatti a disposizione, agganciato al di sotto dei fari anteriori, un cavo – ovviamente molto più a buon mercato rispetto a quello del signor Wayne: ma proprio questo genererà battutine e frecciatine imperdibili nel trio – da utilizzare per risalire i pendii più ripidi, a patto di fissarlo opportunamente a qualcosa di solido. Oppure, facendo leva sulle colonne portanti, per fare crollare un ponte altrimenti inaccessibile: gli strumenti in mano agli sviluppatori per dare una certa varietà all’azione non mancano.

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Vedo gente, faccio cose

Procedendo sasso dopo sasso, albero dopo albero, ci rendiamo ben presto conto che Uncharted 4 certamente non costituisce un open world, ma è assolutamente, almeno per quel che abbiamo provato, il più grande, grosso e variegato mai costruito. Si tratta di un’esigenza intrinseca all’aggiunta della macchina, se vogliamo: ma nessuno costringeva gli sviluppatori a disseminare qua e là dei piccoli edifici diroccati utili a mettere alla prova le nostre capacità di arrampicamento sopite, con (quasi) certamente un collezionabile o un’informazione utile da annotare sul nostro diario, in cima.
Ma tutte queste innovazioni, non rischiano di compromettere il rapporto con quello che i fan ritengono la “tradizione”, basata su sparatorie, coperture, piattaforme e un pizzico di stealth? Assolutamente no, perché dopo circa una decina di minuti di scampagnata mista ad esplorazione, troviamo dei minacciosi soldati che, non abbiamo necessità di chiederglielo, ci farebbero saltare volentieri le cervella e sono di presidio presso una delle dodici torri del titolo di questo capitolo. La prima volta, proviamo ad adottare lo “stile Rambo”, facendo irruzione con la jeep e mettendone sotto quanti più possibili. Passa poco tempo che i colpi del cecchino, uniti ad un inesorabile accerchiamento, ci fanno secchi.

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Il secondo tentativo va meglio, perché proviamo a sfruttare le dinamiche stealth “potenziate” in occasione del quarto capitolo arrivando ad eliminare quasi ogni minaccia, ma anche in questo caso falliamo miseramente: la terza è la volta buona, con conseguente ritorno sulla vettura e fine della demo.

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