Bit Focus – Giochi difficili: cosa significa?

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Concluso l’excursus storico, accingiamoci alla definizione che ci siamo dati: “Un gioco difficile è un gioco che mette sotto pressione il videogiocatore in ogni momento a causa della complessità di gameplay/enigmi e della brutalità con cui ti punisce al minimo ma spesso inevitabile errore. Tale errore non si basa sulla bassa o nulla conoscenza del titolo, ma su una meccanica intrinseca al gioco”.

Cerchiamo di capirci meglio, facendo un esempio celebre. Dark Souls, diventato oggi il metro di paragone principale quando si parla di difficoltà. Dove sta la difficoltà di Dark Souls? Il 90% delle morti che si concateneranno durante la nostra prima run di Dark Souls si dividono in due categorie:

  • trappole e difficoltà ambientali che noi non conosciamo;
  • studio dei pattern di movimento e attacco dei nemici e dei boss, che noi non conosciamo (tendenzialmente un try and error).

Raramente ci capiterà di morire contro un nemico che conosciamo in un ambiente che conosciamo, anche perché le meccaniche di gioco sono semplici e si basano quasi esclusivamente su due movenze (schivata e parata).

Questo implica che durante una run successiva il numero di morti si riduce drasticamente.
Si può a tal riguardo aprire una parentesi sull’aspetto mediatico che la saga di From Software ha generato, ma non è questo l’obiettivo dell’articolo.

Passiamo all’esempio opposto. Anche in questo caso prendo ad esempio un gioco celebre seppur non sia rappresentativo al 100% del concetto che voglio esprimere: Crash Bandicoot (uscito su PlayStation 1 nel 1996). Tutti sappiamo dove sono posizionate le gemme e le casse. Tutti sappiamo dove sono le piattaforme su cui dobbiamo saltare. Tutti sappiamo tutto di questo gioco.

Eppure cadevamo nei burroni come mele marce (per rimanere in tema), e questo per la difficoltà intrinseca del gioco che trascende dalla nostra conoscenza o ignoranza del concept del gioco stesso.

E mentre Isaac Newton con una mela marcia è riuscito ad avere l’intuizione della gravità e a dimostrarla all’umanità, io con la mela videoludica per eccellenza ho cercato di spiegarvi un concetto, quello di difficoltà videoludica, sicuramente meno rilevante, ma non per questo meno controverso.

Arrivato alla conclusione dell’articolo e sperando di avervi infuso la mia personale idea sul concetto di difficoltà videoludica, risponderò alla domanda iniziale dell’articolo: Cuphead è difficile?

In parte no. Cuphead è un gioco che si affaccia al passato ma si fionda sulle scrivanie di videogiocatori moderni che hanno un approccio al videogame inadatto a tale genere e a tale sfida. In parte sì. Cuphead è un gioco punitivo e per nulla banale come meccaniche.

Confrontato con altri giochi appartenenti allo stesso genere può considerarsi un allenamento, ma si tratta comunque di un genere molto impegnativo. E’ tuttavia doveroso specificare che alcune morti in Cuphead sono inevitabili a causa di una programmazione superficiale che concatena gli ostacoli in modo procedurale e casuale e che quindi può generare una combinazione di ostacoli non schivabile.

Non pensate che questo focus sia volto a pungere la dignità di pro player che hanno platinato Bloodborne scomodando molte divinità e sfogliando calendari, oppure di giocatori moderni occasionali che non conoscono o rinnegano le sfide hardcore del passato.

Lo scopo di questo articolo è offrirvi uno spunto di riflessione che vi spinga a soppesare meglio le parole che utilizzate nel descrivere un prodotto videoludico, senza cadere nelle trappole dialettiche a cui siamo esposti più di un Mago Nero evocato ai tempi della prima serie di Yu-Gi-Oh!

Giovanni Paolini
Catalizzatore di flame sul web e drogato seriale di fantacalcio, Giovanni vede il videogioco come un'espressione artistica piuttosto che come un mero intrattenimento privo di contenuti significativi. Per questo motivo, ripudia il 90% dei AAA e si tuffa sfacciatamente nel mercato indipendente, rimanendone il più delle volte scottato seppur senza rimorsi. Amante della musica di qualità, delle narrazioni articolate e di design ispirati, si è tuttavia mostrato fin dall'adolescenza ossessivamente attratto dai personaggi femminili antropomorfi, mistici o animati, universalmente conosciuti come waifu. Rappresenta orgogliosamente la vena toscana del Bit.