ArticoliIntervista a Massimo Guarini - Milan Games Week 2014

Intervista a Massimo Guarini – Milan Games Week 2014

INTERVISTA
Domande: Dario Caprai
Risposte: Massimo Guarini

Milan Games Week 2014. Evento meneghino di cadenza ormai annuale che mostra cosa è recentemente uscito sul mercato e cosa raggiungerà gli scaffali a breve. Ma, al di là di questo, il principale evento videoludico italiano permette anche di andare “oltre” il prendere il pad e giocare. Specie nel settore dell’IGDS, infatti, c’è la concreta possibilità di scambiare due chiacchere con chi i giochi li ha pensati, costruiti, plasmati. E’ questo il nostro caso: grazie, infatti, alla gentilissima PR di Ovosonico, Federica Galati, siamo riusciti a intervistare l’eclettico Massimo Guarini, Game Director di “roba” niente male, per usare un eufemismo, come “Shadows of the Damned” e “Naruto – Rise of a Ninja”.
Scenario indie (anche se lo stesso Massimo ha giustamente posto qualche obiezione su questo termine!), software tricolore, il rapporto con Sony, Murasaki Baby, cinema, musica, paure dell’infanzia, PlayStation Vita e Project Morpheus: gli argomenti non sono di certo mancati. Ecco come è andata!

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DC: Ciao Massimo! E’ un enorme piacere fare la tua conoscenza. Direi di cominciare subito con le domande, rimanendo prima sul generale. Quali sono i vantaggi del passare da uno studio “AAA” ad uno indie?

MG: Nessuno (ride). Scherzi a parte, diciamo che sono due mondi completamente diversi tra loro, proprio per una questione strutturale di business. E’ piuttosto difficile istituire un confronto: in ogni caso, lavorare in un piccolo team ha i suoi innegabili vantaggi. Ad esempio, in Ovosonico siamo all’incirca  una ventina di persone e almeno per il momento non vogliamo ingrandirci troppo, quando si è “in pochi” la comunicazione funziona meglio, così come le idee circolano più libere. Questo è fondamentale quando hai in mente un progetto che riguarda così da vicino tutti. Inoltre, a livello più strettamente ludico, per quanto non creda nel termine “indie”, è possibile sperimentare in maniera più decisa.

DC: Non credi nel termine “indie”? In che senso?

MG: Diciamo che la trovo una divisione troppo netta e categorica. Ci sono i giochi da un milione di budget e ci sono giochi da cento milioni di budget, ad esempio. Tra questi due poli, ci sono una serie infinite di sfumature. Non è possibile decidere con certezza quando si comincia ad essere degli indie: più razionalmente, c’è chi vuole provare a fare qualcosa di nuovo e proprio per questo deve mantenersi entro certi limiti economici, consapevole dell’imprevidibilità e dei rischi delle proprie scelte. Altri invece scelgono la via “più facile”: hanno un budget decisamente maggiore perché non rischiano quasi nulla, e immettono sul mercato prodotti di presa immediata e facile ricezione. Il risultato, però, è la stagnazione delle idee.

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DC: Parlando sempre in linea piuttosto generale, come vedi il fatto che Ovosonico con Murasaki Baby, Forge Reply con In Space We Brawl e MixedBag con Futuridium EP Deluxe, tre team italiani, abbiano rilasciato in così poco tempo tre piccoli gioiellini, dopo anni e anni in cui l’Italia non ha certo brillato per lo sviluppo del software, soprattutto in termini videoludici? E’ la cosiddetta rondine che non fa primavera?

MG: A dire la verità, sono piuttosto fiducioso verso il futuro. Credo anzi che questi tre titoli non siano semplicemente il frutto di una contingenza storica favorevole, ma siano il risultato di anni e anni di lavoro alle spalle da parte di tutti, che finalmente hanno portato a risultati concreti. Siamo nel bel mezzo di un grande cambiamento: sviluppare un gioco non è più prerogativa di pochi, ma ormai tantissimi giovani sviluppatori possono cimentarsi in questa impresa con costi relativamente bassi. Questo processo ha finalmente toccato anche l’Italia. C’è stato anche un cambiamento anche a livello di mentalità, comunque: da un po’ di tempo a questa parte, gli sviluppatori nostrani non importano più le idee dall’estero, ma le trovano per conto proprio.

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DC: Certo che, oltre a sviluppare un bel gioco, ci vuole anche chi te lo pubblica. Nel vostro caso questo ruolo è spettato a Sony. Ti voglio chiedere come è nato questo rapporto e se sei soddisfatto del trattamento ricevuto. Penso di sì, visto che alla GamesCom di Colonia, ad esempio, a fianco di esclusive di punta come Driveclub, The Order: 1886 o Bloodborne, c’era proprio il vostro Murasaki Baby.

MG: All’inizio noi, inteso come Ovosonico, avevamo un’idea e un progetto concreto, e Sony, che si stava già dando un gran da fare con gli indie (per quanto, come detto, non condivida troppo questo termine!), venuta a sapere di quello che stavamo facendo si è da subito mostrata molto interessata. E’ stato un interesse reciproco: noi cercavamo loro, loro cercavano noi. Tutto si è evoluto di conseguenza. E, sì, sono assolutamente soddisfatto del nostro rapporto con Sony, sia a livello di supporto tecnico che di “immagine” e pubblicizzazione sono sempre stati estremamente disponibili ed efficienti. Sony è senza dubbio il miglior partner che avremmo mai potuto trovare.

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DC: Ora mi faccio portavoce direttamente di chi ha recensito il vostro titolo. Sappiamo che lo spunto iniziale per Murasaki Baby proviene da una ragazzina con un palloncino che hai visto in treno. La domanda è… Come ti è venuto in mente di inserirla in un contesto così grottesco?

MG: Mi è venuto in mente perché… Il grottesco a me piace ed è sempre piaciuto (ride)! Così come il puro non-sense che ne sta alla base e il suo essere sempre a metà tra il tragico e il comico, dopotutto. E’ qualcosa che può benissimo essere visto già a partire da Shadows of the Damned: sono convinto che il motivo principale per cui da molti è stato così apprezzato è il suo essere volutamente ed ostentatamente ridicolo, sebbene non manchino tinte molto cupe. Il suo essere così genuino, che a volte comporta un umorismo che è senza mezzi termini maiale. Ecco, quello che forse unisce maggiormente Shadows of the Damned e Murasaki Baby, e che ho portato nel secondo ricavandolo dal primo, e l’esprimersi “senza pudore”. Sfrontatamente, sinceramente.

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Dario Caprai
Non capisce niente di videogiochi ma, dal momento che non lo sa, continua a parlarne, imperterrito. Tanto è vero che il tempo preferisce passarlo a scrivere, a leggere, a vedere un film, a seguire e praticare sport, a inveire per il fantacalcio, a tenersi informato su tecnologia e comunicazione piuttosto che con un DualShock in mano. In tutto questo è, però, uno degli admin di PlayStationBit da tempo ormai immemorabile.