Primo Piano140 - Recensione

140 – Recensione

Publisher: Double Fine Productions Developer: Jeppe Carlsen/Abstraction Games
Piattaforma: PS4 Genere: Platform Giocatori: 1 PEGI: 7 Prezzo: 8,99 €

Tra i vari sottogeneri nati dai vecchi platform anni Ottanta possiamo sicuramente considerare di successo la categoria a focus musicale, ossia quei videogiochi che fondano sulla musica e sul senso del ritmo le basi del proprio gameplay. Splendido esempio, in tal senso, può rappresentare la celeberrima serie nata da Bit.trip Beat, oppure il più recente Sound Shapes. Ed è proprio all’interno di questo filone che si inserisce discretamente 140, un indie game sviluppato da Jeppe Carlsen (già lead puzzle designer per Inside e LIMBO) in collaborazione con Abstraction Games.

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Il progetto

Il gioco nasce inizialmente come progetto solitario di Carlsen per studiare l’engine Unity, durante il suo tempo libero da dipendente Playdead. L’idea era quella di creare un platform old school ispirato ad una pietra miliare come Mega Man, in cui però i livelli “danzassero al ritmo di musica”. In 140 ciò si compie nella massima essenzialità di uno stile grafico minimalista, ridotto a basilari forme geometriche piatte che ricordano abbastanza Thomas Was Alone.

A primo impatto spicca l’assenza totale di qualsiasi forma di testo o di menù: l’unico modo in cui il gioco comunica è il gameplay dalle meccaniche semplici e altamente intuitive. Il nostro quadratino, che muovendosi diventa un cerchio e saltando un triangolo, deve evitare diversi ostacoli e trasportare delle piccole sfere colorate in punti specifici della mappa, al fine di rendere il mondo di gioco sempre più colorato e vivo dal punto di vista visivo e sonoro.

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Segui il ritmo

E a proposito di sonoro: la musica, valsagli il premio “Exellence in Audio” durante gli Indipendent Games Festival Awards del 2013, è forse l’elemento che più di tutti si fa apprezzare. Il ritmo a 140 bpm di suoni elettronici, che incalza con l’avanzare del livello e l’aumento della difficoltà, è uno di quelli che risuona continuamente nella testa anche dopo aver spento la console. In più è la chiave per memorizzare e prevedere i pattern degli ostacoli, analogamente a quanto succede nel già citato Sound Shapes. Insomma, un lavoro che il programmatore audio Jakob Schmid, già collega di Carlsen alla Playdead, si può dire abbia compiuto egregiamente.

E una volta superati i vari pericoli di piattaforme semoventi e inversioni di gravità, si giunge finalmente alla boss fight di fine livello. Oltre a memoria e senso del ritmo, serve una buona prontezza di riflessi se si vuole riuscire a superare questi colorati enigmi a tempo di musica. L’interessante variazione del gameplay, insieme alle soundtrack uniche che si adattano al ritmo della battaglia, rende queste sessioni di gioco le più divertenti in assoluto, anche se per via della difficoltà in certi frangenti potrebbero risultare frustranti.

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A mettere i bastoni tra le ruote del giocatore ci si mette anche l’impossibilità di stoppare la partita e, purtroppo, anche alcuni contrasti tra colori troppo accesi, che qui e in altre parti del gioco sembrano fatti un po’ a casaccio.

Qualcosa che stona

Altra nota dolente è la longevità del titolo. Infatti, terminati i livelli principali, l’esperienza di 140 può di fatto considerarsi terminata. I tre livelli aggiuntivi che si sbloccano a fine gioco non sono altro che gli stessi “allo specchio”, privati inoltre dell’ottimo sistema di checkpoint.

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Insomma, un’aggiunta semplice per chi vuole cimentarsi con qualcosa di più hardcore, ma che sicuramente non soddisfa, visto il prezzo di base del gioco (€ 8,99) relativamente alto. Per fare un altro paragone con Sound Shapes, quest’ultimo offre 20 livelli interamente rigiocabili in modalità morte, con soundtrack dal ritmo sempre differente, il tutto ad un prezzo lievemente superiore (e nonostante questo non è certo definibile un titolo longevo). Se poi volessimo uscire dal genere e considerassimo tutti i videogame indie acquistabili ad un prezzo uguale o inferiore, ci renderemmo conto di avere molte alternative valide e alle volte anche più convenienti.

Trofeisticamente parlando: quando semplicità non fa rima con facilità…

Nonostante l’essenzialità tecnica del gioco, dei 10 trofei messi in palio probabilmente più della metà vi farà sudare (e imprecare) parecchio. Se completare i livelli principali può considerarsi un’impresa fattibile, lo stesso non può dirsi di quelli a specchio, in cui morendo si è costretti a ripartire dal punto di partenza. E se siete riusciti a sconfiggere il primo boss senza saltare e vi è rimasta ancora un briciolo di sanità mentale, rimarrete scoraggiati nello scoprire di dover battere gli altri due senza morire, pena il restart del livello. Ma consolatevi, almeno col trofeo delle 63 morti non avrete nessuna difficoltà…

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