Dishonored: La morte dell’Esterno – Recensione

Sviluppatore: Arkane Studios Publisher: Bethesda Softworks Piattaforma: PS4 Genere: Stealth Giocatori: 1 PEGI: 18 Prezzo: 29,99 € Italiano:

E’ passato quasi un anno da Dishonored 2, titolo che seppe conquistare il cuore di tutti i fan della serie riuscendo a migliorare quanto di buono era stato fatto con la storia di Corvo, che iniziò i videgiocatori al mondo crudo, malato, macabro nel quale i personaggi di Dishonored e le loro storie si intrecciano lasciando dietro di sé corpi privi di vita di uomini potenti, soldati, civili e poveri innocenti. Elementi che di certo sono riusciti a far colpo, a stupire, a intrigare e che sicuramente hanno lasciato un grande segno nel cuore di chi ha avuto la fortuna di provare le opere dei ragazzi di Arkane Studios che decidono di riprovarci con uno spin-off stand-alone, Dishonored: La morte dell’Esterno.

Ritorno alle origini

Per chi non lo sapesse, Dishonored: La morte dell’Esterno decide di allontanarsi dalle vicende della famiglia reale per dare spazio a un personaggio davvero intrigante: Billie Lurk, assassina cresciuta nei loschi quartieri di Dunwall (città protagonista del primo capitolo). Sin dalla tenera età, Billie si ritrovò a dover gestire la difficile situazione familiare che, a causa della madre alcolizzata e ulteriori vicissitudini, ebbe tutt’altro che un lieto fine e vide la protagonista di Dishonored: La morte dell’Esterno scappare di casa per essere addestrata da Daud, capo degli assassini di Dunwall (la cui storia è narrata nel DLC “Il Pugnale di Dunwall”) e omicida dell’imperatrice. Grazie al duro addestramento di Daud, Billie riuscì a specializzarsi nella cosa che amava fare di più, cioè uccidere sfruttando l’ombra come sua alleata cogliendo di sorpresa i bersagli, vittime di una sua vendetta personale o su richiesta di specifici contratti da mercenaria.

L’ultimo capitolo si apre dunque con Billie intenta a salvare il suo maestro, tenuto prigioniero a Karnaka (città protagonista di Dishonored 2) dalla banda degli Orbi, vili servi dell’Esterno. Questi sarà proprio la figura intorno alla quale girerà l’intera storia dato che Daud in persona affiderà a Billie un compito tanto semplice quanto assurdo: uccidere l’entità che da anni, a causa del potere che offriva agli esseri umani (tra cui Daud e Corvo), getta nel caos l’intero Impero delle Isole.

Facendoci largo tra strade, case e ville del quartiere “Cyria Alta”, unica località offerta da Dishonored: La morte dell’Esterno, dovremo infatti cercare di adempire (durante cinque missioni dalla durata complessiva di circa 5-6 ore) a quanto ordinatoci, armati di spara dardi, pugnale e degli immancabili poteri in grado di renderci tanto letali quanto silenziosi.

Squadra che vince non si cambia

Che il cuore dell’intera offerta fosse il gameplay non c’erano dubbi, tuttavia dobbiamo ammettere che Dishonored: La morte dell’Esterno ci ha sorpresi sia positivamente che negativamente riguardo quest’ultimo. Dopo aver superato l’intro della durata di circa mezz’ora otterremo infatti i tanto ambiti poteri che saranno diversi da quelli visti nei capitoli precedenti. Billie potrà infatti utilizzare la “Dislocazione” ovvero una versione modificata della classica traslazione poiché non prevederà l’immediato spostamento nella posizione desiderata, ma permetterà al giocatore di porre un indicatore nel luogo prescelto per poi trasferircisi all’occorrenza anche durante combattimenti e fughe; con “Dislocazione” sarà inoltre possibile uccidere nemici (facendoli letteralmente esplodere) posti al di sopra dell’indicatore a costo del sacrificio di circa un quarto della nostra vita . Un ulteriore potere è la “Preveggenza”, che offrirà al giocatore la possibilità di fermare il tempo e muoversi negli ambienti (fino a una certa distanza) in qualità di anima, così da ispezionare l’area marcando nemici e oggetti di interesse senza essere individuati.

Infine sarà l’abilità “Somiglianza” quella più divertente da usare; quest’ultima infatti (strizzando un po’ l’occhio alla serie TV “Il Trono Di Spade”) ci aiuterà a infiltrarci in zone controllate dai nemici senza che i suddetti se ne accorgano; per farlo sarà sufficiente stordire un nemico o avvicinarsi a una guardia ignara della nostra presenza per poi essere in grado di acquisire le sue sembianze.

Il tutto risulta perfettamente collaudato e funzionante soprattutto grazie all’ottimo livello raggiunto dagli sviluppatori circa il level design delle mappe e la progressione del personaggio, che abbandona l’upgrade dei poteri a favore di un sistema basato esclusivamente su power-up e statistiche esclusive offerte dagli amuleti trovati durante la nostra avventura o ottenuti con missioni secondarie speciali, definite “Contratti”, grazie alle quali potremo ottenere ricompense in seguito all’uccisione o al rapimento di bersagli e furti in specifiche aree della città in cui il grado di allerta delle guardie sarà ovviamente altissimo.

Sopravvivere ai fantasmi del passato

Dishonored: La morte dell’Esterno ha però destato qualche dubbio. Ovviamente non è lecito aspettarsi un titolo di elevatissima fattura come i precedenti quando, sin dall’inizio, esso viene presentato come uno spin-off stand-alone dal prezzo dimezzato, ma c’è da dire che dai ragazzi di Arkane Studios ci aspettavamo qualcosina in più.

Il gameplay è fluido, divertente ma è come se mancasse quella sensazione di pericolo che i precedenti Dishonored offrivano costantemente al giocatore. Se consideriamo alcune scelte in ambito di gameplay possiamo infatti notare come siano presenti lievi differenze in grado di migliorare sotto certi di punti di vista lo scorrere del gioco ma di peggiorarlo sotto altri.

Primo fra tutti è il problema dell’utilizzo del mana. Nei capitoli precedenti il mana aveva un ruolo fondamentale e doveva essere utilizzato con parsimonia dal giocatore che, analizzando a lungo le aree, cercava di trovare il modo meno dispendioso, sicuro e letale per entrare e uscire senza lasciare tracce. In Dishonored: La morte dell’Esterno tutto ciò è ancora possibile, ma a causa della rigenerazione automatica del mana i giocatori saranno spinti inevitabilmente a giocare con meno attenzione e a far sfoggio (e conseguentemente stragi) dei propri poteri dinanzi agli occhi dei loro nemici inermi.

La rigenerazione, però, se non troppo apprezzabile dai puristi dello stealth, offre ulteriori possibilità ai “fantasisti” che potranno così sbizzarrirsi nei modi più particolari per porre fine alle vite dei loro bersagli grazie a uno spam di poteri potenzialmente rapido.

Ulteriore elemento che merita un confronto è l’ambientazione: “Cyria Alta” e alcune zone di quest’ultima (come la Banca Michael e il Conservatorio) godranno di caratteristiche particolari e di un’ottima cura per i dettagli, tuttavia anche in questo caso l’altissimo livello di libertà di azione offerto dai capitoli precedenti non è raggiunto a causa di ambienti meno complessi, sviluppati su meno livelli e soprattutto in grado di offrire meno spunti per approcci e tattiche variegate.

Non fraintendeteci, il discorso è lo stesso di prima, non sarebbe corretto affermare che Dishonored: La morte dell’Esterno sia uno spin-off che non vale la pena giocare ma, sposando la filosofia mercenaria della protagonista, il titolo risulta più “action” e meno stealth del solito, cosa che, però, potrebbe senza alcun problema essere apprezzata dai neofiti o da tutti coloro che ritenevano il gameplay della serie fin troppo articolato e complesso. Consigliamo infatti ai veterani di scegliere una difficoltà di un grado più alta rispetto alla classica con la quale si è soliti giocare.

Karnaca ritorna in tutto il suo splendore

Per quanto riguarda il comparto tecnico ci sentiamo davvero in dovere di complimentarci con gli sviluppatori per l’ottimo lavoro svolto anche con l’avventura di Billie. La grafica e la pulizia degli ambienti sono davvero ottimi e il sonoro, grazie anche a un doppiaggio italiano davvero di elevata fattura, riescono a farci immergere completamente nel clima caratteristico dell’isola di Serkonos!

Il Void Engine infatti fa centro anche stavolta grazie a texture di buona qualità, animazioni fluide e convincenti ed effetti di luce davvero curati (superiori a quelli di Dishonored 2 oseremmo dire). Questi ultimi riusciranno sicuramente a conquistarvi durante l’alternarsi delle ore del ciclo giorno-notte che avanzerà di missione in missione e durante gli spostamenti attraverso edifici dalle più particolareggiate pavimentazioni.

Trofeisticamente parlando: il dio dei trofei

Da un punto di vista trofeistico Dishonored: La morte dell’Esterno presenta ben 31 trofei (platino incluso) di cui 18 bronzo, 6 argento e 6 oro. Ottenerli non sarà per nulla difficile e stimiamo una durata di circa 8-9 ore per tutti i più accaniti cacciatori di trofei!

VERDETTO

Presentandosi come uno spin-off, l'ultima opera di Arkane Studios riesce, grazie a un gameplay e a un level design ormai più che maturi, a divertire e a far apprezzare ancor di più quanto complessa e ben congegnata sia la lore dell'intera saga. Ci tocca però porre l'accento su piccoli cambiamenti che, pur non inficiando sulla qualità effettiva del titolo, potranno non essere graditi dai puristi del genere ma che, al contrario, riusciranno forse a far avvicinare tutti coloro che da tanto richiedevano uno stile lievemente più "action".

Guida ai Voti

Andrea Ciervo
Appassionato di videogames, musica di tutti i generi, film e serie TV. Specializzato nel settore informatico riguardante sistemi operativi, modding, iOS e assemblaggio PC. Vivo seguendo il motto tanto semplice e mai banale "Ad Maiora!"

1 commento

Comments are closed.