Primo PianoEverything - Recensione

Everything – Recensione

Developer: David OReilly Publisher: Double Fine Production
Piattaforma: PS4 Genere: Esperienza sensoriale Giocatori: 1 PEGI: 3 Prezzo: 14,99 €

Andando sullo Store e cliccando su Everything, ci troveremo davanti questa enigmatica descrizione:

Everything è un’esperienza interattiva in cui puoi diventare tutto ciò che vedi: ogni animale, ogni pianeta, ogni galassia, e molto altro ancora. Viaggerai fra spazio esterno e interno ed esplorerai un vasto universo di elementi interconnessi senza obiettivi prestabiliti, punteggi, o missioni da completare.

Everything è una simulazione artificiale e procedurale dei sistemi naturali dai punti di vista di ogni cosa nell’universo.

Impara a trasformare te stesso per creare mondi dentro altri mondi dentro altri mondi, oppure lasciati andare quando vuoi, e lascia che sia Everything a prenderti per mano e a produrre un documentario senza fine che parla del mondo in cui vivi.

Narrato tramite la stimolante filosofia di Alan Watts e accompagnato dall’intensa colonna sonora del compositore Ben Lukas Boysen, Everything ti farà guardare la vita da un nuovo punto di vista.

Professore, non ho capito questa introduzione, può spiegarla?

Come si fa con gli articoli del Codice Civile durante le lezioni di Diritto privato in qualsiasi facoltà Universitaria di Giurisprudenza, analizziamo questa breve descrizione pezzettino per pezzettino, dato che tendenzialmente vi è scritto tutto ciò che questo titolo è, o vorrebbe essere.

Innanzitutto, notiamo che Everything non è un gioco, ma bensì un’esperienza. In effetti, definirlo “gioco” sarebbe stato inappropriato, poiché non esiste un vero e proprio gameplay, e lo scopo di quest’opera non è divertire (cosa che fa un gioco per etimologia), ma insegnare, trasmettere (cosa che, invece, fa un’esperienza).

Dopodiché, l’introduzione afferma che possiamo diventare tutto ciò che vediamo, facendo seguire una breve lista. Qui entriamo nel merito di ciò che consiste il gioco, ovvero trasferirsi da una cosa all’altra e osservare il mondo circostante da punti di vista differenti. Le cose “personificabili” sono circa 1500, e variano dalla galassia al ponte, dalla formica alla stella di neutroni.  La nostra avventura inizierà infatti con un filmato in cui una luce vaga nel vuoto e si chiede i motivi della propria esistenza, finché non si trasferirà nel corpo di un essere vivente. Da qui, possiamo trasferirci sul corpo di qualsiasi essere tramite due scelte: l’ascensione, per mezzo della quale ci trasferiremo in un qualcosa di più grande (ad esempio da una capra ad un cipresso, poi ad un continente); e la discensione, chiaramente il processo inverso (da un sasso, ad un granello di polvere, fino ad un atomo).

Come descritto nell’introduzione, non vi è un obiettivo che muove le nostre azioni, né un punteggio, ma vi sarà solamente un menù con una specie di archivio in cui potremo vedere tutti i corpi in cui siamo entrati, ed un contatore delle “things” che abbiamo personificato.

Passando al secondo comma della descrizione, è bene soffermarsi su una parola in particolare: procedurale.
Per processo si intende il processo vitale che ogni cosa ha e di conseguenza, cambiando il sistema di riferimento, cambieranno anche i parametri spazio-temporali. Per intenderci, se entriamo in un albero, vedrò gli insetti per terra zampettare a velocità naturale. Se entro in un granello di sabbia, vedrò la formica gigante muoversi lentissima. Quest’aspetto, in Everything, è davvero ben realizzato. Inoltre il ciclo spaziale è interminabile poiché oltre alle strutture 2D, discendendo ulteriormente, si arriva alla galassia, “ricominciando” il ciclo.

Che significa che Everything mi prende per mano?

E’ una modalità abbastanza caratteristica di questo gioco.

In Everything, infatti, si potrà attivare la modalità Autoplay, in cui il gioco procederà autonomamente, e noi potremo gustarci ciò che esso farà (potremo impostare una diversa frequenza delle varie azioni presenti nel gioco, tra cui le già citate ascensione e discensione, ma ne avremo anche altre a disposizioni che si baseranno sulla comunicazione e sulla fusione delle varie “things”).

Apparentemente una modalità simile sembra non avere senso ma, dopo qualche ora passata su Everything, il giocarlo direttamente potrebbe diventare anti-producente perché si potrebbe essere sopraffatti dalla noia e dalla monotonia. In modalità Autoplay vi saranno invece anche delle inquadrature più affascinanti, e questa può trasformare il “gioco” in un vero e proprio documentario.

Per un documentario però serve una colonna sonora e un narratore. Ecco che ci addentriamo nell’ultimo comma, dove si evince la peculiarità di questo titolo.

Il narratore sarà Alan Watts, un filosofo inglese attivo nella prima metà del Novecento, che ha trattato molti argomenti nella sua carriera, tra i quali l’esistenzialismo.

Alcuni estratti e aforismi sull’esistenzialismo di Watts sono stati trasferiti in questo gioco sotto forma di file audio da scoprire girovagando per il mondo di gioco. Essi daranno uno spunto di riflessione molto importante, daranno un senso in più al gioco (e perché no, alla nostra vita) e trasmetteranno sensazioni che varieranno a seconda dal contenuto dal file audio e del tono della voce di Watts, ma anche dalla percezione che ogni fruitore avrà di ciò che sta vedendo e ascoltando.

Per quanto riguarda la colonna sonora di Boysen, ci sono due considerazioni da fare: la prima è che le musiche di sottofondo sono quasi interamente eseguite al pianoforte o con gli archi, e quindi risultano poco ingombranti ma molto immersive; la seconda è che molte note saranno in contemporanea con le nostre azioni, e questo crea un legame di integrazione fra le nostre scelte e il mondo videoludico che vi è costruito intorno.

Grazie della spiegazione Prof!

Di niente ragazzo. Ma ora poniamoci delle domande: perché questo gioco esiste? Cosa ci spinge a giocarlo anziché guardarlo, o viceversa? E’ davvero giusto dire, prevedibilmente, che Everything è tutto e niente?

Questo gioco esiste per lo stesso motivo per i quali esistono i trattati sull’esistenzialismo, i quali partono da una domanda, e alla fine te ne pongono un’altra, senza darti la risposta. Questo fa Everything. La domanda di inizio gioco che si pone la luce non ha una risposta, ma è seguita da altre domande (prevalentemente dai file audio e da quelle che il videogiocatore si porrà vedendo e vivendo il “documentario”). La risposta, quindi, è interpretativa.

La scelta tra l’approccio interattivo e quello passivo è puramente personale. Ci ritroveremo a volte in un luogo dove non saremo più emotivamente spinti a continuare, e lasceremo fare al gioco, ci saranno momenti in cui interromperemo l’autoplay per imporre le nostre decisioni.

Dopo qualche ora di gioco, avremo anche la possibilità di “creare” l’universo. Potremo far comparire dal nulla qualsiasi oggetto della lista “Things” e creare situazioni paradossali quali, ad esempio, una zebra nello spazio (in pratica, noi siamo i padroni di Everything, quindi interpretiamo la figura di Dio).

Probabilmente è ciò che lo stesso David OReilly ha fatto nella generazione dell’universo “di partenza”. Ogni pianeta vede oggetti buttati lì un po’ a caso, loop ripetuti all’infinito dentro zone dalla linea dell’orizzonte illimitata ma che al loro interno sono una ripetizione di uno spazio relativamente piccolo.

L’assenza totale di animazioni rende ambedue gli approcci molto grotteschi e, a volte, ridicoli. Vedere modelli di animali poligonali che rotolano, o case che scalano montagne senza neanche piegarsi diagonalmente fa quasi credere che i cavalli di The Elder Scrolls: Skyrim siano stati programmati bene (LOL NdD).

Davvero un peccato, l’immersione sarebbe stata molto più profonda se le animazioni fossero state realizzate in maniera quantomeno decente.

Everything non è né tutto né nulla, ma è solamente Everything, come suggerisce il nome del trofeo di Platino (Everything is Everything). Quest’opera realizzata da OReilly, un giovane artista irlandese alla sua seconda esperienza in campo di videogiochi, vuole semplicemente essere sé stessa, sarà la nostra percezione ad avvicinarla al tutto, al nulla, o alle infinite vie di mezzo. Da uno sviluppatore che ha esordito con un simulatore di montagna, del resto, cosa vi aspettavate?

Professore, ho una domanda: che voto gli dai?

Caro studente, questo gioco è non classificabile neanche nella categoria in cui esso appartiene, ovvero i simulatori. Everything è un universo a sé che esiste adesso, ma che non esisterà dopo e non è esistito precedentemente. Ti chiedi il senso dell’esistenza, ma nel frattempo generi altra esistenza. Everything è un connubio fra il reale e l’irreale, fra ciò che è scienza e ciò che è fantasia, fra ciò che è desiderio e ciò che è paura. Tutto in Everything è vivo, e tutto è una piccola parte della nostra avventura.

Un’avventura, ovviamente, senza fine.

Non ci hai capito niente, vero figliolo?

Trofeisticamente parlando : un Platino dal sapore filosofico

I trofei sono criptici e quindi incontestualizzabili, ma tendenzialmente viene chiesto al giocatore di entrare almeno in tutte le categorie di “Things” e di sfruttare più volte e in più modi tutte le opzioni di “gioco” possibili.

Se il gioco coinvolge, il Platino vien da sé, altrimenti il Platino diventa una tortura inaffrontabile.

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Giovanni Paolini
Catalizzatore di flame sul web e drogato seriale di fantacalcio, Giovanni vede il videogioco come un'espressione artistica piuttosto che come un mero intrattenimento privo di contenuti significativi. Per questo motivo, ripudia il 90% dei AAA e si tuffa sfacciatamente nel mercato indipendente, rimanendone il più delle volte scottato seppur senza rimorsi. Amante della musica di qualità, delle narrazioni articolate e di design ispirati, si è tuttavia mostrato fin dall'adolescenza ossessivamente attratto dai personaggi femminili antropomorfi, mistici o animati, universalmente conosciuti come waifu. Rappresenta orgogliosamente la vena toscana del Bit.