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The Inner World – Recensione

Se c’è un genere per cui più degli altri si può parlare di seconda giovinezza è quello dei Punta e Clicca, accompagnato dai Platform e dai Puzzle game. Non solo per via di Telltale, che con i suoi giochi ha partorito veri e proprio eredi spirituali dei cosiddetti “classici”, ma anche per un riemergere di meccaniche strettamente tradizionali. E’ il caso di The Inner World, sviluppato dai ragazzi dello Studio Fizbin e pubblicato da Headup Games.

Ma cosa ti è accaduto Robert?!

Asposia è un mondo misterioso, arieggiato da tre fontane di vento, necessarie per la sopravvivenza. Qui vive Robert, ingenuo ragazzo che fa da musicante allo scorbutico ma rispettato (per via di meriti tutti da verificare) maestro Conroy. Le cose, però, sono in procinto di cambiare visto che una fontana dopo l’altra si sta prosciugando, e da queste stanno uscendo terribili creature, i Basylian, capaci di pietrificare una persona con lo sguardo; sarà ovviamente Robert a essere chiamato a salvare il mondo di Asposia.

Per farlo, sarà aiutato dalla ladra Laura, oltre ad altri bislacchi individui e creature che troveremo nel nostro percorso. Non moltissimi, in realtà, visto che il gioco dura solo una manciata di ore divise in cinque capitoli, ma comunque sufficientemente memorabili da rimanere impressi nella memoria del giocatore; uno su tutti è certamente Steve/Pete, due persone in una, complice un disturbo psichico di quelli giusti, ma anche la creatura corrosiva dotata di un ego del tutto particolare, nota come “gorf”, che troveremo in una foresta paludosa. A tutto questo aggiungiamo, ovviamente, che le cose non sono come sembrano…

Non aspettatevi chissà quale trama e quale colpo di scena degno di nota, per carità. La piacevolezza di The Inner World si basa per lo più sulla narrazione e su quanto siano strampalati e personaggi e situazioni in cui ci troveremo; rimane il fatto che sarà un piacere accompagnare Robert fino all’epilogo e allo scorrere dei titoli di coda.

Per quanto riguarda il “come” ludicamente ciò avvenga, beh, su quello abbiamo alcune critiche da muovere. Il gameplay, infatti, è quello estremamente classico di un Punta e Clicca con un inventario, la possibilità di usare un oggetto, unirlo ad un altro, parlare con un personaggio e scegliere diverse opzioni di risposta. Più classico di così, si muore. Troviamo anche alcuni puzzle game da risolvere che spezzano un po’ il ritmo, per fortuna, per quanto non siano niente di complicato. Se c’è qualcosa di difficile, in The Inner World, è più che altro il capire cosa fare e quando farlo, poiché a volte la soluzione sarà davvero troppo assurda o addirittura fuori luogo; non a caso il rischio di rimanere “bloccati” ogni due minuti è alto, in certi frangenti, così come quello di rivolgersi a qualche guida disponibile in rete per la soluzione.

Forse proprio per prevenire il dilagare di questo mezzo non proprio cristallino di procedere, gli sviluppatori hanno inserito in-game, previa pressione del tasto L2 (e previo mancato ottenimento di uno specifico trofeo), alcuni suggerimenti di gioco che ci mostreranno, poco per volta, cosa fare. Certo, quello che differenzia un capolavoro, come Silence o Monkey Island, da un gioco normale, come The Inner World, è una calibrazione perfetta della difficoltà dell’enigma. Nel primo caso, il giocatore dà tutto sé stesso per risolverlo, e poi, spesso, ce la fa; nel secondo, all’ennesimo girovagare a vuoto, cerca immediatamente aiuto “perché tanto quello che devo fare è talmente improbabile che non ci arriverò mai, se non per caso”. Questa frase potrebbe essere detta un po’ troppe volte da parte del giocatore medio di The Inner World, per capirci.

Prima eri una persona meglio!

Insomma, The Inner World non sarà alla pari con i suoi colleghi, ma non è nemmeno un cattivo gioco, tutt’altro. Certo, alcune imprecisioni potevano comunque essere risparmiate o corrette, in un 2017 in cui patch correttive piovono come se non ci fosse un domani. I freeze sono piuttosto frequenti nel caso in cui mandiate avanti troppo velocemente un dialogo – per fortuna l’autosalvataggio costante, o quasi, non vi farà perdere troppo tempo; i sottotitoli, durante le cutscene, non compaiono o rimangono impressi a schermo anche nelle sequenze di gioco successive; l’ottimizzazione dei controlli da PC a PlayStation 4 è stata piuttosto scadente e macchinosa; inoltre, cosa che ci ha fatto sorridere, in un caso gli sviluppatori si sono addirittura dimenticati di “tradurre” un’indicazione a schermo da un tasto Xbox One a quello PlayStation 4.

Di imprecisioni ce ne sono, pure troppe, e speriamo che nel seguito, in arrivo questa estate su console Sony e non, gli sviluppatori si presentino più consapevoli del fatto loro. Buono, nonostante tutto, il comparto visivo, grazie a un design ispirato per i personaggi e per il mondo di gioco e a illustrazioni interamente disegnate a mano. Altrettanto valido quello sonoro, capace di regalarci un doppiaggio convincente in lingua inglese e brani in grado di accompagnare come si deve l’azione che si sussegue a schermo. Purtroppo manca qualsiasi tipo di localizzazione in italiano, e visto che il testo risulta fondamentale per il procedere nel gioco, chiunque non abbia dimestichezza con l’inglese si vede tagliato fuori.

Trofeisticamente parlando: una cosa semplice, ma potenzialmente odiosa

Ottenere l’ambito trofeo di platino di The Inner World è una sciocchezza, tanto è vero che la percentuale di conquista è attualmente superiore al 50%. Per farlo dovrete terminare il gioco, ovviamente; non chiedere alcun aiuto durante almeno una run; parlare con tutti i personaggi presenti in Asposia – difficilmente, anche provandoci, lo mancherete, il trofeo dedicato; compiere numerose azioni in-game. E’ soprattutto quest’ultimo “blocco” a risultare una spina nel fianco, perché molti di questi trofei sono facilmente missabili e soprattutto segreti, di fronte al fatto che manca uno strumento per la selezione capitoli. Per evitare brutte sorprese, fate un salto nell’apposita discussione presente sul nostro forum.

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Dario Caprai
Non capisce niente di videogiochi ma, dal momento che non lo sa, continua a parlarne, imperterrito. Tanto è vero che il tempo preferisce passarlo a scrivere, a leggere, a vedere un film, a seguire e praticare sport, a inveire per il fantacalcio, a tenersi informato su tecnologia e comunicazione piuttosto che con un DualShock in mano. In tutto questo è, però, uno degli admin di PlayStationBit da tempo ormai immemorabile.