Yonder: The Cloud Catcher Chronicles – Recensione

Sviluppatore: Prideful Sloth Publisher: Prideful Sloth Piattaforma: PS4 Genere: Avventura Giocatori: 1 PEGI: 3 Prezzo: 23,99 € Italiano:

Direttamente dagli sviluppatori di Prideful Sloth, ecco arrivare Yonder: The Cloud Catcher Chronicles. Se il nome dello studio non vi dice niente, beh, non preoccupatevi, è tutto nella norma. Nonostante il team di sviluppo sia formato da veterani di Activision e Rocksteady, questo è il loro primissimo titolo.

Prua e poppa

Pronti via, ci troviamo su una barca in mezzo al mare. Il setting marino è però destinato a lasciarci molto presto, dato che questo ospiterà a malapena il tutorial. Il vero ambiente che ospiterà le nostre “avventure” (e qui le virgolette sono sacrosante, ma ci arriviamo dopo) è infatti la florida isola di Gemea. Florida un tempo e ora mica tanto, a dire la verità, a causa del miasma, una strana nebbia violacea che ha soffocato alcune parti dell’isola, a macchia di leopardo.

Qui entriamo in gioco noi che, per motivi che verremo a sapere solo alla fine del gioco, ma che ci verranno lasciati intendere molto prima, potremo fare piazza pulita e ripulire Gemea da questa volatile porcheria. I meriti non sono però tutti nostri, anzi, il solo nostro pregio sarà quello di scovare folletti per il mondo di gioco; saranno questi piccoli esseri fatati, infatti, più di una ventina in totale, che con i loro poteri potranno portare la natura alla sua originale brillantezza.

Più il miasma è pestifero, più folletti ci serviranno per abbatterlo; ecco dunque l’importanza di trovarne, in fretta, il più possibile, al fine di raggiungere aree altrimenti precluse. Siamo finiti a parlare quasi subito del gameplay perché la trama è decisamente acerba e pure mal raccontata, vista la carenza di cutscene. Ma la cosa veramente tremenda, videoludicamente parlando, è che le meccaniche di gioco non è che siano realizzate molto meglio.

Infatti dall’inizio alla fine della nostra avventura, della durata più che discreta di 6-8 ore, non faremo altro che completare “soft quest”, ossia missioncine banali e piuttosto stupidotte. Ecco allora che il nostro si vanaglorierà dell’avere spaccato delle rocce e dell’avere tagliato un po’ di erba; converrete che per eseguire queste semplici azioni, senza magari tutto questo eccitato entusiasmo, basta uscire in giardino, senza dovere scomodare viaggi in mare ed esplorazioni di isole contaminate.

Non saremmo così pungenti se Yonder non si proponesse come un adventure game dalla forte componente esplorativa; nessuno fa un torto a Farming Simulator e affini di chiedere al giocatore di coltivare piante e allevare animali. Ma Giants Software propone e immette il proprio prodotto sul mercato, da subito, con l’etichetta di gestionale, cosa che Yonder evita. O vorrebbe farlo.

Sì, perché alla fine i ragazzi di Prideful Sloth la fattoria da gestire e gli animali da curare, nel pentolone che è Yonder, ce li hanno buttati dentro, insieme a un differenziato e catalogato sistema di crafting; a un inventario (perennemente pieno e non ampliabile); a una personalizzazione variegata del personaggio tramite indumenti e acconciature (i quali non influenzano in alcun modo alcunché).

Quando ci si diverte, quindi?

Da questa carrellata di considerazioni dovreste avere inteso come Yonder: The Cloud Catcher Chronicles provi ad accennare molti aspetti differenti, senza approfondirne nessuno. Ed essendo, in definitiva, poco divertente, peccato mortale per un videogioco. Il problema è un po’ lo stesso di LEGO Worlds, che però, almeno, proponeva enorme duttilità sotto il profilo della costruzione e della condivisione online di contenuti, feature del tutto assente qui. Manca un disegno di fondo, manca, senza appello, un game designer, che eviti la spiacevole sensazione di stare facendo cose a caso per tutta la durata del gioco.

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Abbattere alberi, seminare, pescare, craftare, costruire, allevare, barattare (con qualche dettaglio che ci ha piacevolmente stupito, come, ad esempio, quello che il legno viene deprezzato in luoghi che hanno appunto abbondanza di questa importante risorsa) e altre attività sarà possibile eseguire nel gioco, ma ognuna di queste sarà solo un intermezzo piuttosto anonimo per fare contento l’NPC di turno, che sbloccherà, prevedibilmente, lo stesso circolo vizioso, con qualche leggera differenza.

Yonder: The Cloud Catcher Chronicles è allora un disastro senza appello? No, perché a tenere su la baracca ci sono un comparto audio e uno visivo di fatto superbi. Tralasciando il doppiaggio, che si limita ad alcuni “versi” emessi dai personaggi mentre parlano – molto, molto gradita la localizzazione italiana dei sottotitoli, in questo senso – i brani strumentali, delicati e frizzanti al tempo stesso, accompagnano magnificamente l’azione di gioco; per quanto riguarda la grafica, i modelli dei personaggi sono altamente rivedibili, così come quelli dei fantasiosi animali che popolano il gioco, ma certi scorci paesaggistici sono assolutamente fantastici (arricchiti da qualche “sorpresa” che non stiamo qui a svelarvi), anche grazie a un ciclo non solo notte-giorno, ma anche stagionale e climatico, degno di nota.

Trofeisticamente parlando: che confusione!

Se il caos regna sovrano nel gioco, insieme a un chiaro “non sapere dove andare a parare” di fondo, lo stesso si ripercuote nell’elenco trofei. La caccia al Platino richiede un’accozzaglia di azioni da compiere, lunghe e per niente simpatiche, come completare side quest, darsi alla ricerca dei collezionabili e così via. Il trofeo che vi porterà via più tempo (e pazienza) sarà però quello di completare una missione secondaria, che per essere terminata vi chiederà di scovare ben 55 gatti per il mondo di gioco, senza alcuna indicazione!

VERDETTO

Yonder: The Cloud Catcher Chronicles è un'esperienza che ci sentiamo di consigliare a chiunque voglia rilassarsi in maniera assoluta, poiché questi rimarrà del tutto estasiato dall'isola di Gemea e dalla colonna sonora del gioco. Chiunque pretenda anche solo un minimo di azione da un videogioco, può benissimo passare oltre.

Guida ai Voti

Dario Caprai
Non capisce niente di videogiochi ma, dal momento che non lo sa, continua a parlarne, imperterrito. Tanto è vero che il tempo preferisce passarlo a scrivere, a leggere, a vedere un film, a seguire e praticare sport, a inveire per il fantacalcio, a tenersi informato su tecnologia e comunicazione piuttosto che con un DualShock in mano. In tutto questo è, però, uno degli admin di PlayStationBit da tempo ormai immemorabile.