
Una Stagione da ricordare
Caro lettore del futuro, il mio Season: A letter to the future – la prima persona è una scelta quasi obbligatoria – è cominciato proprio con una lettera inviata dalla protagonista a un destinatario misterioso. Mi ha lasciato la possibilità d’identificarlo, con i posteri curiosi di scoprire i fossili dell’epoca a loro precedente. Cos’è una stagione secondo Scavengers? La risposta non è scontata, poiché si tratta di un periodo di tempo i cui limiti sono sfumati e non per forza seguito o preceduto da eventi tragici.
Invero, quella odierna è il risultato di una guerra avvenuta in passato e i cui particolari andranno cercati da testimonianze orali e scritte. Allo stesso modo, l’alter ego si carica della responsabilità di documentare il suo presente, in vista della parola fine a cui il suo mondo sta andando incontro. I dettagli sulla trama sono volutamente appena accennati e fanno parte di un quadro sfocato che non diventerà mai nitido nella sua totalità. Dopotutto, a trainare il titolo è più l’atmosfera che si viene creando piuttosto che la storia propriamente detta. Nonostante questo, ho preso con piacere un biglietto per imbarcarmi in quest’avventura.

Tutti a bordo
Una ragazza dai capelli corti e con un paio di occhiali a oscurarne in parte gli occhi e il volto è in partenza senza una meta precisa. Sa però una cosa per certo: quanto i ricordi siano importanti, per custodire fatti e affetti quando questi diventano lontani in termini spaziali e temporali. Sa anche quanto sia utile abbandonarli, a volte, per crescere in modo più leggero. Lo si capisce dalla madre, che le prepara una collana intrisa di tappe degne di nota delle loro vite, lo si interiorizzerà nel corso dell’avventura stessa.
Sia esso positivo o negativo, il ricordo prevede anche lontananza, duratura, permanente o breve che sia e il genitore ne è consapevole. Coinvolge difatti la figlia in una sorta di rituale propiziatorio al suo imminente viaggio e poi si scioglie in un abbraccio, nella consapevolezza che le stagioni non durano per sempre. A proposito di empatia verso il racconto, è da precisare che Season: A letter to the future è totalmente in inglese. La costruzione delle frasi non è complessa, tuttavia è consigliata una conoscenza scolastica della lingua.
Il viaggio è più importante della destinazione
Registratore a cassette, macchina fotografica da polaroid, accoppiata diario e matita: gli strumenti per la mia missione sono racchiusi nella borsa a tracolla e richiamabili a uno a uno da tasti specifici. Descrivere in maniera asettica il gameplay di Season: A Letter to the Future non gli renderebbe giustizia. Una spiegazione delle sue meccaniche aiuta però a capire quanto le dinamiche si accordino all’intera struttura. Volendo cercare dei paragoni per renderle più familiari, posso citare Firewatch, anche se gli intenti sono diversi l’uno dall’altro.
Inizialmente a piedi e poi grazie a una bici ho esplorato aree abbastanza distinte tra loro. Si passa da un cimitero a ruderi di una fabbrica, con nel mezzo una fattoria abbandonata e aree delimitate, quasi tutte accomunate da un silenzioso carico di fonti storiche. Trovo un carillon ancora funzionante tra delle macerie di cemento? Imbraccio il registratore e ne catturo qualche secondo. Una lettera mai consegnata può parlarmi del punto dove mi sono fermata? La tengo con me per registrarla nel diario. Che siano testi, foto, volantini o altro, ogni elemento può diventare un pezzo prezioso della ricerca.
Ogni pagina del diario corrisponde a uno o a un altro luogo scovato, riempita la quale posso voltare pagina pronta a una nuova scoperta. A onor del vero, l’incarico massimo mi è stato conferito al villaggio Caro stesso, il punto di partenza, da un personaggio che si fa chiamare L’Anziana e consiste nel raggiungere il Museum Vault.
Nella mia peregrinazione però, a questa sfida si sono mescolati tanti incontri con individui curiosi e piccole scoperte tali da rendere veritiero il modo di dire secondo il quale il viaggio conta più della destinazione. In aggiunta, dall’ormai desolato paesello parte una vena lieve eppure intrigante di trama investigativa, tale da insaporire maggiormente le mie pedalate.

Lo stile delle stagioni
Lo studio canadese è riuscito a bilanciare ottimamente il carico di lavoro grafico con l’esigenza di mantenere costante l’immersione del giocatore in questo mondo virtuale. Pur non essendo open world, bensì costruito su livelli lineari seppure abbastanza ampi da non sentire l’esigenza di romperne i confini, pedalare lungo l’ignoto è di per sé piacevole. Il tutto grazie a una grande pulizia tecnica e un discreto supporto alle caratteristiche del DualSense. Interessanti, in particolare, la scelta fatta per i trigger usati per accelerare. Volendo essere un’esperienza in parte sensoriale, è però un peccato che Season non riesca a spingere di più in questo senso, puntando ad esempio sul microfono o sul feedback aptico.
Lo stile artistico, coadiuvato da una grafica a pochi poligoni si sposa egregiamente con gli obiettivi del gioco come percorso personale. L’intero comparto beneficia di colori pastello tali da rendere suggestivi molti paesaggi. Promosso anche il character design, che ricorda un po’ quello di Virginia di Variable State. Questo è capace di galvanizzare la personalità di un’anziana signora, di un autoproclamato poliziotto dal buon cuore o di un artista solitario.
Troofeisticamente parlando: pedalando si scopre, ma non il Platino
Il viaggio è importante e alcuni cacciatori di trofei potrebbero decidere di non intraprenderlo. Season: A Letter To The Future conta appena 11 trofei di bronzo, 4 d’argento e 1 d’oro, senza alcun Platino come ricompensa massima a cui ambire. Gli obiettivi sono tutti legati alle scoperte da compiere, alle pagine del diario da riempire (come potete leggere nella lista completa sul forum PlayStation Bit), ma certamente rimarranno una parte secondaria, quasi marginale dell’avventura come intesa da Scavengers Studio.