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Visualizza Versione Completa : [News] Metal Gear Solid V: The Phantom Pain – Recensione



Bit-Mentana
15/09/2015, 11:11
Publisher: Konami Developer: Kojima Productions Piattaforma: PS4 (disponibile anche per PS3) Genere: Azione/Stealth Giocatori: 1 PEGI: 18 Prezzo: 69,99 euro “Non abbiamo né nazione, né filosofia, né ideologia. Andiamo dove siamo necessari, combattendo non per un paese o un governo, ma per noi stessi. Non ci serve un motivo per combattere. Combattiamo perché siamo necessari. Saremo il deterrente per coloro che non hanno altra risorsa. Siamo soldati senza frontiere, il nostro scopo è definito dall’era in cui viviamo. A volte dovremo vendere noi stessi e i nostri servizi. Se i tempi lo richiederanno, saremo rivoluzionari, criminali, terroristi. E sì, forse andremo tutti dritti all’inferno. Ma quale posto migliore per noi di questo? È la nostra unica casa. Il nostro paradiso e il nostro inferno. Questo è Outer Heaven.” The Final Countdown Se dovessimo trovare un titolo che fu in grado da solo di spingere le vendite di PlayStation 3, senza dubbio dovremmo citare Metal Gear Solid 4: Guns of The Patriots; trascorsi ben sette anni dal suo debutto, e successo, lo storico franchise ritorna sotto i riflettori e con lui l’indiscusso estro del maestro Hideo Kojima: stiamo proprio parlando di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain e degli eventi che seguirono al prologo, rappresentato da Ground Zeroes. Effettivamente qualcosa è cambiato, probabilmente un po’ per le burrascose vicissitudini intercorse fra il producer giapponese, ossia lo stesso Kojima-san e Konami, o più semplicemente perché siamo di fronte a quella che dovrebbe essere la giusta conclusione per una saga che, nel bene e – nel poco a dirla tutta – male, ha fatto la storia media videoludico, facendolo crescere e affiancandolo, almeno in parte, a opere letterarie e cinematografiche dalle tematiche più mature. You Spin Me Round Trascorsi nove anni dagli eventi di Ground Zeroes, Snake alias Punished Venom Snake, si risveglia in un letto di ospedale – scena emblematica di questo nuovo capitolo, che ha fatto capolino nei vari trailer di presentazione – malridotto a causa di innumerevoli schegge, frutto dell’esplosione dopo l’attacco da parte della XOF, capitanata da Skull Face, alla nostra Mother Base; questa ripresa sembra quasi voler enfatizzare una sorta di resurrezione per il nostro eroe, ma che al contempo, lo rende quasi più umano – verrebbe da dire fragile – vicino come è alla morte, in quanto la maggior parte di quei frammenti sono in prossimità del cervello e del cuore. Un’ulteriore testimonianza della fragilità, sia fisica che mentale, sono le settimane intercorse per il “parziale” recupero e per l’accettazione della propria condizione e dei propri limiti. Quindi si riparte con la medesima cruda e reale violenza che ha concluso Ground Zeroes, per circa un’ora di prologo avremo a che fare con spietate scene che ben si ricollegano al suddetto finale, ma senza l’inossidabile Snake, ben lontano dall’essere l’abile guerriero in grado di fronteggiare missioni e nemici al limite dell’umana capacità; nove anni di coma sono tanti, troppi, e i tragici eventi trascorsi non aiutano di certo. Take on Me La qualità c’è, si vede sin da subito che siamo di fronte a un prodotto in grado di dare una degna conclusione alla celeberrima saga, facendo sì che tutte le legittime preoccupazioni derivanti da Ground Zeroes – e dai ben noti problemi – siano effettivamente abbandonate, anche grazie e ancora una volta verrebbe da dire, alla capacità di Kojima di osare e di spingersi ben oltre – e per certi versi molto oltre – dove nessun’altro, avendo per le mani un titolo di sicuro successo, si sarebbe mai spinto, ma probabilmente è proprio questo uno dei cardini di tale exploit. Purtroppo, l’effetto adrenalinico inizia a scemare non appena terminato il prologo, poiché la struttura di gioco si avvicina enormemente all’open world di Peace Walker, facendo quindi storcere il naso ai fan di vecchia data e riportando il giocatore ad approcciarsi al gioco in maniera più cauta, probabilmente meno emozionale rispetto a uno Snake Eater o al più recente Guns of The Patriots. I cambiamenti rispetto ai vecchi capitoli si sentono, e soprattutto in termini narrativi manca quella epicità che ha contraddistinto i passati titoli della serie. Sebbene dietro alla sadicità e alla mancanza di emozioni del nostro principale nemico, ovvero Skullface, si celi sostanzialmente una vendetta ben orchestrata e una storia a tratti ben strutturata, sembra sempre che manchi quel tassello finale che possa far di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain quel capolavoro che tutti noi speravamo, generando in noi odio e amore. The Phantom Pain è arrivato probabilmente nel periodo giusto e sicuramente a una distanza davvero notevole rispetto allo scorso capitolo della serie, rappresentando nel bene e nel male un cambiamento epocale per il brand e per quanti vi abbiano lavorato a partire da Hideo Kojima, passando poi per la Kojima Productions – e quindi a tutti i suoi collaboratori – e infine arrivando alla stessa Konami; tuttavia l’attenzione ai dettagli giustifica pienamente i tempi di sviluppo. Here’s To You E’ naturale chiedersi, vista se l’enorme novità apportata alla serie, ossia l’open world, sia reale o fittizio: diciamo che la risposta potrebbe essere un “ni” in quanto sì, è possibile esplorare le vaste zone disponibili alla ricerca di collezionabili o comunque dei materiali necessari, ma in fin dei conti la libertà di poter interagire con l’ambiente circostante è davvero limitata e forse, alla lunga, l’esplorazione un po’ fine a sé stessa, pertanto il tutto potrebbe stancare. The Phantom Pain comunque risulta essere, per ovvi motivi, il Metal Gear più dinamico e meno schematico mai realizzato da Kojima, che permette al giocatore di poter decidere quale approccio adottare per affrontare le varie missioni, richiamando sotto certi aspetti Snake Eater in quanto, qualora si venisse scoperti si potrà accantonare la componente stealth e andare giù pesanti, sparando come se non ci fosse un domani.

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