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Visualizza Versione Completa : [Thread Ufficiale] Bit Chronicles - Le storie del Bit!



franzau96
03/02/2013, 22:10
Ciao ragazzi, è un piacere poter finalmente inserire anche nel forum le mie storie. Trattandosi di un topic che racchiuderà tutti gli episodi della rubrica, questo primo post verrà costantemente aggiornato con i nuovi capitoli delle future storie.
Sperando di offrirvi un piacevole svago, mi tappo la bocca e vi lascio addentrare nel racconto che ha segnato l'inizio di quella che (spero) diventerà un'altra delle peculiarità di Playstation Bit: Killzone Redemption.
Vorrei ricordare anche che comunque tutte le seguenti storie sono presenti anche sul sito, con l'aggiunta di qualche immagine e commento da parte mia o di Dario.
Buona lettura.




KILLZONE: REDEMPTION


Prologo
La morte di Visari
Zoran riaprì gli occhi. Tutto, davanti a lui, era sfocato. Accanto al suo braccio, poco distante dalla pozza del suo sangue, stava il suo LS-13. Quel manipolo di soldati dell’ISA era penetrato nel palazzo di Visari e li aveva uccisi tutti. Tutti, anche il colonnello Radec.
Mael…
Era accasciato contro la parete della stanza. Poteva vedere il corpo di Radec in cima alla scalinata, in fondo, l’armatura ricoperta di bruciature e la pistola ancora stretta dalla mano. Si rialzò, respirando a fatica. Udì delle voci più avanti. Delle voci che urlavano. Qualcuno gridò un “NO!”, poi uno sparo.
Zoran zoppicò nella direzione opposta, intento ad andarsene da quell’inferno. Perché era quello che era. Red Dust era esplosa. Radec era morto. E chi era stato appena ucciso? Uno degli ISA aveva gridato, ma era impossibile che Visari, da solo, avesse ucciso uno di loro. Quelli erano armati fino ai denti, si erano aperti la strada fin da Corinth. Erano fottutamente bravi.
Uscì dal palazzo e guardò in cielo, dove gli incrociatori ISA erano l’unica cosa ad essere rimasta intatta, o quasi. Lì, di fronte a lui, tutto era in fiamme. I corpi di decine di Hig giacevano a terra, crivellati o bruciati. O entrambe le cose.



1
Movimenti a Tharsis
Il padre di Zoran si sbatté la porta alle spalle. Ancora una volta era tornato ubriaco. Era persino più tardi del solito, tra l’altro. La moglie non lo guardò neanche, mentre continuava a sbrigare le sue faccende. L’uomo barcollò accanto al ragazzo, appena diciottenne, e si diresse nella sua camera da letto. In quella baracca che loro chiamavano “casa” c’erano soltanto quattro misere stanze. Vivevano lì in quattro: il ragazzo, suo padre, sua madre e la sua sorellina, Kara, che in quel momento dormiva profondamente.
-Esco- si limitò a dire Zoran alla madre, che neanche gli rispose, prendendo la sua maschera e mettendosela sul volto, coprendosi i lunghi e sporchi capelli neri che facevano risaltare il verde acceso dei suoi occhi. Aspirò aria un paio di volte, poi uscì dalla baracca di metallo.
Doveva uscire di lì. Non poteva sopportare quella vita, quella famiglia, quella… casa. Il padre del ragazzo voleva mandarlo a tutti i costi all’Accademia militare, a Salamun. Ma lui non voleva. Però sapeva che il giorno seguente si sarebbe comunque diretto lì, poiché non aveva altra scelta. Perché non era nato su Vekta? Perché non era un Vektan come molti altri? Gli sarebbe bastato anche essere un terrestre, in fondo. Ma no, lui era nato su Helghan, il pianeta ormai più povero tra le colonie della Terra.
In realtà non era affatto povero, ma si era trasformato in un enorme accampamento militare. Tutto ciò che non riguardava la guerra, veniva trascurato. Anche le persone.
Zoran camminò qualche minuto fino a raggiungere il deposito. Era vicino a Tharsis. Andava spesso lì: era un luogo abbandonato, perciò tranquillo, soprattutto di notte. Ogni tanto incappava in qualche guardia, ma al massimo veniva rimproverato. Scavalcò un recinto e si addentrò nel deposito. Ad un tratto udì dei rumori in avvicinamento. Rumori forti, fin troppo. Dopo appena qualche secondo, una sentinella sfrecciò sopra di lui.
No, aspetta. Quello era un ATAC. Cosa diavolo ci faceva lì, uno di quelli?
Poi udì dei passi. Qualcuno si avvicinava a lui, lentamente. Scorse una scorta di Helghast. Al centro c’era una figura che chiunque avrebbe riconosciuto: Mael Radec, con la sua vistosa uniforme da colonnello. Gli Helghast gli passarono davanti senza accorgersi di lui. Il ragazzo era ben nascosto nell’ombra. Ma, proprio quando il pericolo sembrava svanito, l’ATAC “ringhiò” e si portò sopra di lui con un movimento velocissimo. Puntò i mitra contro il ragazzo e lo illuminò con i suoi LED rossi, che avevano tutta l’aria di essere quattro piccoli occhi. Gli Helghast si fermarono e tornarono verso l’ATAC. Scorsero il ragazzo e puntarono gli StA-52.
Radec si fece avanti, tirando via Zoran per il braccio.
-Cosa ci fai qui, ragazzo?- gli chiese, senza mollare la presa, con la sua voce quasi inquietante.
-Facevo solo un giro- fu la risposta.
-Come ti chiami?
-Zoran.
-Non farti più vedere da queste parti. Piuttosto, se cerchi il pericolo, arruolati. Un soldato in più non fa mai male. Le nostre truppe necessitano di rinforzi- nel frattempo l’ATAC era andato a volare da un’altra parte. Radec si voltò e se ne andò. Gli altri Helghast lo seguirono.
Cosa ci faceva lì il colonnello Radec?
Zoran fece per andarsene, ma incappò in un altro individuo. Però, era una notte movimentata. Di fronte a lui, completamente nascosto nell’ombra, c’era qualcuno appoggiato contro la parete. Perdeva sangue ed emetteva deboli gemiti.
-Serve aiuto?- chiese il ragazzo, avvicinandosi all’individuo ferito. Ma quando fu abbastanza vicino da poterlo vedere chiaramente si accorse che si trattava di un soldato ISA.
L’Interplanetary Strategic Alliance a Tharsis?
-Ugh… ti prego, aiutami… Non… non ho ucciso nessuno. Ho dei figli, su Vekta… Sono qui solo in ricognizione, per un fottutissimo ordine!- sputacchiò del sangue. Respirava a fatica. Era comprensibile, per un Vektan. Loro non erano abituati a respirare l’aria di Helghan. In verità neanche gli Hig lo erano: per questo indossavano tutti le maschere.
Zoran lo guardò negli occhi, oltre la visiera trasparente del suo elmo celeste. Soffriva. Era pur sempre un essere umano, come lui. Si protese per prenderlo, ma un attimo dopo il colonnello Radec esplose un colpo con la sua Revolver M4, centrando l’ISA in piena testa. Il corpo del soldato cadde di fronte a Zoran. Il colonnello si fermò accanto a lui, guardando il cadavere col buco in testa.
-Sbaglio o ti avevo detto di andartene? Muoviti!
Non se lo fece ripetere due volte. Corse via e scavalcò nuovamente il recinto, uscendo dal deposito. Decise di tornare a casa e cercare di dormire. L’indomani avrebbe dovuto intraprendere il viaggio verso Salamun. Per quella dannata Accademia. Se non altro, un lato positivo c’era: avrebbe lasciato quella baracca una volta per tutte.



2
L’Accademia
I raggi del sole si insinuarono nella baracca, passando negli spazi rimasti aperti tra una lastra di metallo e l’altra. Zoran si svegliò, ma rimase steso sul materasso semi-distrutto ancora per qualche minuto.
-Sveglia!- esclamò una voce allegra, facendolo sobbalzare. Era Kara, la sua sorella di appena undici anni, dai corti capelli castani un po’ malconci e dagli enormi occhi blu. Non molto alta e davvero molto magra, era montata sopra di lui, spaventandolo a morte. Se ne andò ridacchiando, mentre suo fratello si alzava e, ancora intontito, cercava la maschera con la mano.
Poi la sua mente si svegliò davvero, e realizzò che non stava per andare a fare un giro a Tharsis, ma a Salamun, per frequentare l’Accademia militare -ormai ben nota semplicemente come l’Accademia di Radec-. Passò davanti a suo padre, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo. In quel momento lo odiava.
Si preparò in fretta, prendendo tutta la sua roba, che avrebbe trasportato con un borsone. Si abbassò per salutare Kara, poi fece un cenno alla madre ed uscì da quella casa.
Finalmente era fuori, per sempre. Dopo una decina di metri si voltò per dare un ultimo sguardo alla baracca.

Salamun non era così tanto lontano, in fondo. Zoran dovette camminare per quasi un’ora, certo, ma se non altro ora si trovava lì: di fronte al ponte che portava all’Accademia. Lo attraversò, dal lato est al lato ovest, fino a trovarsi di fronte all’enorme cancello di ferro, alto il doppio di lui. I due Helghast sulle torri ai lati fecero cenno a qualcuno all’interno di aprire il cancello.
Zoran entrò, e non poté fare a meno di guardarsi intorno. Era in un piazzale vastissimo, e di fronte a lui s’innalzava l’enorme scalinata che dava sull’Accademia. In cima a questa c’era il portone principale, e ai lati penzolavano quattro stendardi rossi e neri con il simbolo di Helghan: la triade di Helghast.
Dovere, Obbedienza, Lealtà.
Quello volevano dire le tre frecce nere.
Nel piazzale, insieme a lui e a una decina di guardie armate di StA-52 o di StA-11, c’erano altre decine di nuove reclute.
Per alcuni secondi gli mancò il fiato.

-Qui imparerete ad usare le armi della Stahl Arms e della Visari Corporation- disse l’Helghast che li aveva fatti mettere tutti in riga, la sua voce profonda e inquietante quasi quanto le lenti rosse e brillanti della sua maschera da Hig. -Valuteremo la vostra abilità e vi divideremo per ranghi- mise brutalmente uno StA-52 tra le mani del primo della fila. -Vedete di colpire i bersagli, o finirete a fare lavori che non vi piaceranno.
Cosa voleva dire?
Perché secondo te dovrebbe piacermi andare ad uccidere gli ISA vedendo morire i miei compagni?
Tra l’altro quella “prova” era decisamente ingiusta. Radec non doveva puntare davvero su quel test come quel soldato voleva far credere, visto che ognuno di loro veniva munito di un’arma diversa. Quell’idiota voleva solo divertirsi a vedere come sparavano quei pivelli. Al ragazzo accanto a Zoran mise in mano una pistola StA-18.
Arrivò il suo turno, finalmente, e pregò per un fucile d’assalto, o una mitraglietta. Ma quel che il soldato gli mise in mano fu qualcosa di completamente diverso. VC32.
Cecchino, lui?
Senza fare storie si mise in posizione. Dopotutto, mi sarebbe potuto capitare un VC21, o un VC9, si disse. Senza alcun preavviso, i bersagli da abbattere si alzarono, decisamente più in lontani da lui rispetto a quelli che aveva visto apparire davanti alle altre reclute.
Senza perdere tempo imbracciò il fucile -dannatamente pesante- e portò l’occhio destro in linea con l’ottica, chiudendo il sinistro. Appoggiò delicatamente la testa contro il calcio del fucile di precisione. Sentiva il ferro freddo sulla guancia. Il suo indice destro accarezzava il grilletto, mentre la mano sinistra teneva ben salda l’arma da sotto la canna.
Vide il primo bersaglio poco lontano dal centro del suo reticolo di mira. Inquadrò la “testa” di plastica, legno, o quello che era, e trattenne il respiro.
Tirò indietro l’indice, con decisione. Per alcuni secondi la fiammata del fucile non gli permise di veder nulla, mentre tra l’altro il rinculo gli spingeva il calcio contro la spalla. Quando la visuale fu di nuovo libera, vide che tutti e quattro i bersagli erano ancora lì. Sbuffò e tornò a mirare, mentre sentiva il risolino della guardia accanto a lui. Esplose un nuovo colpo, diretto allo stesso bersaglio.
Lo mancò di nuovo.
Questa volta la guardia rise sonoramente.
Stufo di esser preso in giro, Zoran gettò a terra il fucile e si voltò verso l’Hig. Afferrò con un gesto veloce la StA-18 che era ancora lì e la puntò in fretta contro i bersagli. Sparò quattro colpi, dei quali tre andarono a segno, distruggendo i bersagli.
La guardia aveva puntato il suo StA-52, pensando che il ragazzo volesse ribellarsi, ma rimase sbalordito nel vedere poi quel che aveva fatto. Senza aspettare che gli venisse detto, Zoran posò la pistola e se ne andò da quella stanza, diretto verso i dormitori.
Avrebbe fatto vedere a quella gente che potevano anche dargli ordini, ma non potevano prendersi gioco di lui.



3
Recupero a Visari Square
Il dormitorio dell’accademia era abbastanza comodo. Zoran era in stanza con quello che da quel giorno sarebbe stato il suo nuovo team. Da quel che aveva potuto capire, Radec doveva aver molto apprezzato la sua prova al poligono di tiro. Tra i suoi compagni c’erano un veterano, Jatran, esperto in azioni veloci e stealth; un cecchino, anch’esso con molta esperienza, il cui nome era Dorx, e infine un geniere che, come lui, aveva stupito il colonnello non appena entrato all’accademia, qualche anno prima. Si chiamava Vaqen.
Team Echo.
Voleva dire che erano i quinti più bravi?

Per quasi due mesi Zoran affrontò l’accademia senza metterci troppo impegno, nonostante ogni mattina (ma in realtà almeno quattro volte al giorno) si fermava a leggere l’incisione sulle sculture nella piazza centrale dell’Accademia.
“Violence has its own economy. Therefore be thoughtful and precise in your investment.”
Quella parte la ricordava a memoria già da molto tempo. I suoi compagni non si lamentavano mai di lui, neanche nelle simulazioni delle Operazioni, ma Zoran capiva che i suoi comportamenti non passavano inosservati. Jatran, Drox e Vaqen sapevano benissimo che Zoran odiava quel posto, come odiava tutto quel che era costretto a fare.
Passarono altri due mesi, durante i quali l’invasione ISA si era fatta sempre più cruciale. Finalmente giunse il momento della prima vera operazione per il Team Echo dell’Accademia di Radec.

Svariati squadroni di Helghast erano stati inviati a Visari Square per contrastare l’avanzata degli ISA, ma erano stati tutti spazzati via. La maggior parte dei nemici erano andati, ormai, per la loro strada, ma alcuni ancora controllavano la zona, probabilmente alla ricerca di informazioni e sopravvissuti.
Uno di questi squadroni Helghast era riuscito a comunicare la sua posizione dopo l’attacco. Così, il Team Echo fu mandato per recuperare i sopravvissuti e riconquistare Visari Square.

A bordo dell’Incursore già in volo, Zoran si rigirava tra le mani la sua StA-18. Finalmente si decise ad infilarla nella fondina, e prese a trafficare con lo StA-52. Accanto a lui, Jatran lo guardava. Gli diede una pacca sulla spalla.
Poteva capirlo. Era la sua prima missione, in fondo. Il veterano imbracciava uno StA-11, tanto piccolo quanto letale. Bassa precisione, elevato rateo di fuoco. Jatran portava il classico abito da Infiltratore: cappuccio e mantello marroni, pronti a camuffarsi prendendo le sembianze del primo soldato ISA che avessero visto. I suoi compagni, grazie alle loro maschere Hig, avrebbero comunque visto il compagno con il suo aspetto originale.
Di fronte a Zoran, anche Vaqen non riusciva a star fermo. Portava un LS-13 ed un’M4 Revolver, oltre al suo kit per le riparazioni e ai generatori di torrette d’assalto. A Zoran era stato assegnato il ruolo di tattico della squadra, nonostante il grosso del lavoro di mente l’avrebbe comunque fatto Jatran. Zoran aveva il compito di segnalare le posizioni degli ISA che inquadrava ai compagni e di attivare i segnalatori dispiegabili, che avrebbero attirato le loro sentinelle d’attacco.
Dorx, invece, aveva già attivato la sua mimetica da Tiratore Scelto. Era invisibile, ma i compagni sapevano che era lì, accanto al geniere, con il suo VC-32 tra le mani. Al minimo movimento, alcune parti del suo mantello tornavano visibili per pochi secondi. Quando l’Incursore Helghast sussultò a causa di una brusca virata, i soldati furono spinti verso il lato posteriore della navetta. Durante questi secondi Dorx tornò improvvisamente visibile, a causa del movimento improvviso. Non appena tornò immobile scomparve ancora agli occhi degli altri.

L’Incursore atterrò nei pressi di Visari Square. Lasciò uscire i quattro soldati del Team Echo, poi ripartì immediatamente. Zoran si voltò a guardarlo, chiedendosi quando sarebbe tornato a riprenderli. Si incamminarono nei bui vicoletti della città abbandonata e semi-distrutta. I muri erano completamente crivellati, molte zone erano in fiamme. A terra giacevano ovunque corpi di soldati ISA o Helghast. Un forte rumore di passi. Jatran, che era a capo del gruppo, si fermò all’istante. Attivò il camuffamento, poi uscì allo scoperto. Vide immediatamente un ISA, di spalle. Il suo corpo mutò fino a diventare identico a quello dell’uomo che aveva di fronte, appena in tempo perché questo, girandosi, non si accorgesse dei suoi luminosi occhi rossi.
Il soldato non si riconobbe, poiché indossava la stessa uniforme di tutti gli altri. Era un medico ISA, e portava in mano il defibrillatore da campo.
-Tutto bene?- chiese, avvicinandosi all’immagine di sé stesso.
Senza rispondergli, Jatran gli si avvicinò, tossendo e abbassando il capo. Il soldato ISA lo soccorse, reggendolo prima che cadesse a terra. Con un rapido movimento il soldato Helghast estrasse il coltello da combattimento e lo spinse nella carne del soldato, dritto nel suo collo. Mentre l’assassino adagiava il cadavere a terra, i suoi compagni uscivano allo scoperto, puntando i fucili in direzioni diverse per ispezionare la nuova area.
Dorx mosse due passi in un edificio il cui muro era stato fatto saltare in aria. Individuò delle scale che sembravano salire fino sul tetto. Fece un cenno agli altri, poi corse di sopra, tenendo la StA-18 tra le mani.
L’Infiltratore mantenne le sembianze del medico ISA, continuando a camminare in testa al gruppo. La torcia montata sotto all’LS-13 di Vaqen si rivelò molto utile.
Finalmente giunsero nel centro di Visari Square, dove il numero di cadaveri era decisamente più alto. I tre soldati si arrestarono: in fondo alla piazza c’erano gli Helghast sopravvissuti, e un gruppo di ISA a sorvegliarli. Lì accanto erano accesi dei bengala verdi.
Un’estrazione. Stavano facendo prigionieri.
Li contarono: erano cinque. Almeno cinque. Zoran prese dalla tasca della corazza da tattico un segnalatore, ma Jatran lo fermò. Avrebbero tentato un approccio più veloce e letale. Disse qualcosa a Vaqen, che annuì e corse per un vicoletto laterale.
-Vai fin lì- disse poi a Zoran, indicandogli un riparo poco più avanti. -Al primo sparo che senti fai fuori l’ultimo ISA sulla destra. Quello con l’M82 a tracolla e una mano sul casco. Lo vedi?
Zoran annuì. Imbracciò saldamente lo StA-52 e corse silenziosamente fino al suo riparo. Vede Jatran passare oltre, per i nemici ancora camuffato da ISA, e fare un gesto con la mano, apparentemente rivolto a nessuno. Uno degli ISA gli si avvicinò per chiedergli qualcosa, ma un colpo di fucile spezzò il silenzio prima delle sue parole ed uno dei soldati alle spalle del primo si ritrovò un buco in testa.

Dorx salì le scale con la StA-18 tra le mani. Arrivò fino in cima all’edificio, sul tetto. Due cecchini ISA erano lì prima di lui. Si voltarono ed afferrarono in fretta le pistole per far fuori l’Hig. Ma l’”occhi rossi” fu più rapido e fece fuori entrambi, colpendo ognuno con due colpi nel petto. Si avvicinò al bordo del terrazzo e si appostò, sdraiato, col suo VC-32. In un attimo fu ancora invisibile, e pronto all’azione. Tenne il mirino sul gruppo di ISA che stava in Visari Square finché non vide Jatran avvicinarsi, attraverso l’ottica del suo fucile.
Il caposquadra fece un cenno con la mano, rivolto proprio a lui, indicandogli quale bersaglio colpire. Poi un altro gesto, rilassato, mentre ricominciava a camminare, che stava per “quando vuoi”.
Si prese qualche secondo per prendere al meglio la mira, poi fece fuoco, e il soldato ISA designato dall’Infiltratore si ritrovò con un buco in testa.

Quando Jatran fermò Zoran mentre estraeva un segnalatore, Vaqen si accorse del vicoletto alla sua sinistra, che girava poco più avanti e che l’avrebbe potuto portare proprio accanto ai soldati ISA. Puntò la torcia del suo fucile a pompa per vederci meglio. Il caposquadra notò il suo gesto e gli si avvicinò.
-Corri e tieni il più vicino a te sotto tiro. Quando senti lo sparo di Dorx, uccidilo.
Il geniere annuì e corse nel vicoletto. Quando girò l’angolo, però, andò bruscamente a sbattere contro qualcuno. Occhi rossi. Un altro sopravvissuto!
Lo guardò per un istante, incredulo, poi però spostò gli occhi sullo StA-14 che portava (probabilmente rubato proprio ad un Helghast) e capì che era un nemico. Spostò la canna del suo fucile colpendola con il braccio, poi diede una ginocchiata al nemico, il cui camuffamento svanì e tornò quello che era: un ISA. Lo colpì con un pugno sul volto, facendolo sbattere contro la parete del vicolo, poi lo gettò a terra e gli diede un calcio sul volto, uccidendolo definitivamente.
Si diede una mossa e si appostò a pochi metri dal soldato ISA che si trovava più vicino a lui. Improvvisamente il silenzio si spezzò, col boato del proiettile sparato da Dorx. Sparò.



4
Fuga ed estrazione
Accadde tutto in un attimo. Dorx sparò, uccidendo il soldato al centro del gruppo. Quasi nello stesso istante Jatran seccò l’ISA di fronte a lui con una breve raffica di proiettili e Vaqen, improvvisamente riapparso dal vicoletto laterale, fece letteralmente saltare in aria la testa del soldato sulla sinistra, col suo LS-13. Mentre Zoran premeva il grilletto col mirino puntato sul suo bersaglio e Jatran faceva fuori il quinto soldato ISA, però, il rilevatore dell’ultimo arrivato del team Echo rivelò un sesto ISA, fino a poco prima troppo ben nascosto dietro ad uno spesso muro per essere rilevato dai sensori dell’armatura da tattico. Immediatamente ognuno dei compagni di Zoran vide il cerchio con la “X” azzurra a marchiare il sesto nemico, un soldato con un VC-9 sulle spalle. Dorx sentì Jatran imprecare all’auricolare, ma per fortuna riuscì a spostare il suo reticolo di mira in fretta e centrò il soldato come pochi cecchini sanno fare. Tirò la leva d’armamento del VC-32, mentre tornava in piedi e visibile.
-Libera!- gridò Vaqen, che in quel momento aveva la visuale migliore.
Gli Helghast fatti prigionieri si alzarono in piedi, afferrando qualsiasi arma trovassero a terra, poi si diressero verso i loro salvatori, ringraziandoli. Senza badare troppo a loro, Jatran si rivolse a Zoran:
-Liberiamoci di quei bengala, o sarà un Incursore ISA a trovarci, anziché il nostro.
Il ragazzo annuì e corse verso i segnalatori, ma subito prima che potesse abbassarsi per neutralizzarli un forte vento lo costrinse a ripararsi il con le braccia. Due Incursori ISA giunsero proprio in quel momento. Atterrarono in meno di cinque secondi, i soldati nelle loro divise azzurre saltarono giù iniziando a sparare agli Helghast presenti nella piazza.
Mentre questi rispondevano inutilmente al fuoco, Jatran gridò “Ritirata! Muovetevi!” ai propri compagni, attraverso l’auricolare. Zoran estrasse in fretta una segnalatore e se lo lasciò cadere alle spalle. Il piccolo oggetto metallico iniziò subito a brillare di una luce rossa, mentre il tattico del Team Echo era già in fuga verso la salvezza.
I tre Hig corsero verso il punto da cui erano arrivati, mentre i proiettili vaganti schizzavano ovunque attorno a loro. Le deflagrazioni delle granate li stordivano e gli lanciavano incontro i detriti dei muri infranti. Quando i tre voltarono l’angolo, si trovarono di fronte i tre penetranti occhi rossi, che se uniti avrebbero formato un triangolo equilatero, al centro dell’altrettanto inquietante cappuccio nero da Tiratore Scelto Helghast. Zoran sussultò, prima di riconoscere Dorx.
I quattro ripresero a correre tutti insieme, finché non vennero bloccati, davanti, da altri soldati ISA appena giunti sul posto. Arretrarono leggermente, riparandosi dietro a quel che capitava.
Nel centro di Visari Square, intanto, la sentinella chiamata da Zoran era arrivata sul posto e mitragliava i soldati ISA, costringendoli ad arretrare grazie al suo possente fuoco di soppressione.
Un impavido tattico ISA afferrò il VC-9 che ancora si trovava lì a terra, dietro quello spesso muro, ed uscì allo scoperto, mirando alla sentinella. Sparò, ma immediatamente un colpo di Revolver M4 gli crivellò il cranio, spruzzando il sangue del soldato ISA sul muro alle sue spalle e sulle uniformi dei suoi compagni.
Il razzo indirizzato alla sentinella di Zoran raggiunse il suo bersaglio, esplodendo al contatto. Il robot di metallo emise uno stridìo, quasi come il verso di un animale in fin di vita, mentre andava a fuoco e roteava su se stesso perdendo quota. Un attimo dopo andò a schiantarsi contro un muro, mandandolo in frantumi ed esplodendo in pezzi.
Nessuno dei soldati ISA si preoccupò di cosa avesse ucciso il loro compagno e macchiato le loro uniformi, perciò uscirono allo scoperto già sicuri di aver vinto quella battaglia. Ma nuovi colpi esplosero dalla canna della Revolver M4, bucando le teste di quei soldati, uno per uno.
Soltanto un soldato con mitragliatrice leggera M224-A1 rimase in vita, terrorizzato al centro della piazza, circondato dai cadaveri dei suoi compagni.
L’assassino misterioso aveva terminato il caricatore, da soli 6 colpi, della sua revolver. Decise di aspettare il momento più appropriato per ricaricare.
Come previsto, il novellino, colto dal panico, iniziò a sparare all’impazzata con la sua LMG, coprendo qualsiasi altro rumore. L’assassino Helghast, coperto da un mantello nero, ricaricò in fretta, poi esplose un solo, rumoroso, colpo, che mise fine alla raffica di proiettili sparati dall’M224-A1, come alla vita di quel povero idiota dell’ISA.
La figura misteriosa salì le scale dell’edificio più vicino, poi iniziò a correre di tetto in tetto, cercando di individuare quella squadra di Helghast che aveva osservato fino a prima dell’arrivo degli Incursori. Finalmente li trovò: abbastanza in difficoltà, ma ancora tutti e quattro in vita. Dorx era in piedi e senza copertura, ma essendo invisibile nessuno sparava in quella direzione. Più che a sparare con precisione, Zoran si limitava a fornire ai compagni le posizioni esatte dei nemici, tramite i sensori tattici e gli elmetti connessi. Vaqen aveva tempestato la zona di granate, ma senza grandi risultati. I soldati ISA erano davvero tanti, e quella si prospettava una battaglia assai ardua.
Il geniere Helghast mise da parte l’LS-13 per prendere dalle sue tasche il generatore della torretta d’assalto. Uscì dal riparo e si chinò a posizionarlo. Un proiettile lo colpì appena sopra la spalla, facendolo cadere di lato e distruggendo le spalliere della sua armatura. Gli usciva del sangue, ma il proiettile l’aveva preso solo di striscio. Tornò al riparo ed aspettò che a torretta si generasse dal terreno. Non appena si formò, questa iniziò a sparare contro i soldati nemici. Jatran colse l’occasione per uscire dal riparo e bersagliare più ISA possibili con le sue raffiche, svuotando un intero caricatore dello StA-11.
Ma i nemici erano troppi e presto riuscirono ad avanzare. Uno di loro scavalcò il riparo di Zoran e puntò la sua arma contro la testa del ragazzo, ma presto una scarica di proiettili lo disintegrò. Jatran guardò dietro di sé, in alto, individuando subito la figura nera coperta dal mantello che imbracciava un M82 (sicuramente rubato ad un ISA) e che aveva appena salvato la vita al loro più giovane compagno. Il soccorritore sparò ancora, e prima che gli ISA potessero accorgersi concretamente di quella presenza, era già quasi tutti morti. Il Team Echo colse l’occasione per dirigere l’assalto finale: un cecchino ISA mirò verso il tetto da cui provenivano gli spari di M82, ma Dorx lo seccò con rapidità, tornando quindi immediatamente visibile. Passò subito alla StA-18 ed avanzò con passo veloce sparando ai sopravvissuti.
Contemporaneamente Jatran scavalcò il suo riparo e mitragliò qualsiasi cosa vedesse muoversi davanti ai suoi occhi. Un attimo dopo anche Zoran e Vaqen uscirono allo scoperto, uccidendo gli ultimi soldati ISA rimasti.

Libera.

Quando tutto sembrava essersi finalmente concluso, però, un nuovo Incursore ISA si avvicinò al terreno, mentre i soldati a bordo già sparavano verso il Team Echo. Ma subito una pioggia di razzi bersagliò l’Incursore, facendolo esplodere con un’onda d’urto devastante: erano i loro.
Finalmente quel dannato Incursore nero e rosso si faceva vedere, quello che poche decine di minuti prima li aveva portati fin lì. Salirono tutti velocemente a bordo, senza preoccuparsi di controllare la presenza di altri Hig sopravvissuti.
La missione non era affatto andata come previsto, anche se almeno avevano liberato Visari Square e scoperto le intenzioni dei nemici presenti sul posto.
Soltanto Zoran si preoccupò di lanciare un ultimo sguardo verso quel tetto, dove ora però non c’era più nessuno. Jatran colse il suo gesto e si mise di fronte a lui.
-Gli dobbiamo la vita, ma non abbiamo tempo per recuperarlo.
Zoran continuò a guardare fuori, mentre il portello dell’Incursore si chiudeva, tagliando la sua visuale.
-Mi dispiace- continuò il capo squadra, mettendosi seduto accanto al ragazzo.



5
L’assedio
Durante il viaggio di ritorno, Zoran non aprì bocca. Erano appena ripartiti da Visari Square, l’operazione non conclusa nel migliore dei modi, tra l’altro. Ma non era l’esito della missione a perseguitare il giovane Hig. Era il loro salvatore, quell’uomo (o ragazzo.. possibile?) con quel mantello nero, che sparando da quel tetto li aveva salvati.. due volte, se non di più. L’avevano lasciato lì, e forse avevano fatto bene, ma nessuno, a parte lui, sembrava ricordarsi più di quel salvatore. Zoran colse gli sguardi di Jatran, ogni tanto, e capì che, in fondo, loro due erano simili. O lo erano stati. Anche se Jatran era ora a comando del team ed aveva concluso chissà quante operazioni, forse non sperava di finire lì. Lo stesso non si poteva dire per Dorx e Vaqen, ma dopotutto, quanti potevano essercene come lui?
Mentre lui pensava a questo, tra gli altri iniziò a prendere vita un’animata conversazione. Passarono decine di minuti, poi il pilota del loro incursore imprecò ad alta voce. Virarono bruscamente e l’intero team Echo perse l’equilibrio, a bordo del velivolo. Si rimisero in piedi e si affrettarono a guardare di fuori. Da lontano, potevano vedere l’accademia di Radec bruciare, morire sotto i loro occhi. In realtà, l’accademia era ancora intatta, ma il ponte che portava ad essa era un enorme campo di battaglia. Era impossibile dire con certezza quante decine di soldati stessero combattendo dall’una e dall’altra parte. Ma era ovvio che, di lì a poco, l’accademia sarebbe caduta. I rinforzi ISA erano molti, troppi, ed erano quasi giunti al ponte.
Rimasero a guardare per alcuni secondi, senza parole, poi il loro mezzo virò ancora e proseguì in un’altra direzione. Dovevano mettersi in salvo. Sarebbero stati gli ultimi soldati di Radec rimasti in vita? Dove si stavano dirigendo?

Neve.
Erano atterrati ad una delle sedi della Stahl Arms, in mezzo ai ghiacciai. Faceva un freddo tremendo.
Si sistemarono lì, insieme alle guardie della sede e a tutti i ricercatori Helghast. E intanto, gli ISA avanzavano. Probabilmente l’accademia era caduta, ormai. E Radec? Lui si era salvato? Il team Echo non fece in tempo nemmeno a porre una domanda, il giorno seguente, poiché riprese subito gli addestramenti. A quanto pare erano stati ricevuti ordini ben precisi, ordini severi.. e tutto questo faceva pensare che Radec fosse, effettivamente, ancora vivo.
Loro erano i suoi ultimi uomini, escludendo le sue guardie del corpo personali, e voleva, probabilmente, che sgominassero quei Vektan una volta per tutte.

Zoran posò il suo StA-52 e si mise seduto in mezzo alla neve, lo sguardo, dietro la maschera, rivolto verso il cielo.
-Su- gli disse Jatran, appena portatosi in piedi di fronte a lui. -niente pause, dobbiamo addestrarci duramente- nonostante le sue parole e la voce resa profonda dalla maschera, era ben chiaro che il capo team non stesse rimproverando il ragazzo. Anzi, pareva quasi che stesse solo fingendo di spronarlo a rialzarsi.
-Scusa- disse Zoran, rimettendosi in piedi. -ma, sai, senza una motivazione, non credo che servirò a molto nella squadra.
-Non vuoi vendicare il soldato che ci ha salvati a Visari Square?- chiese Jatran, poi gli diede una pacca sulla spalla. E probabilmente, sotto la maschera, stava sorridendo. Quello non era esattamente il genere di motivazione di cui parlava il giovane Hig, ma non trovò il tempo di aprir bocca che il suo capo gli voltò le spalle e tornò dagli altri.
Raccolse il fucile e si rimise all’opera, cercando di resistere al freddo.

Le due guardie si fermarono di fronte alle altre due, equipaggiate con armi e armature differenti. Pochi cenni del capo, poi i soldati a guardia delle porte del Palazzo si fecero da parte ed aprirono l’entrata. La scorta del Colonnello entrò, subito prima di lui. I passi dei nuovi arrivati riecheggiavano ovunque nell’enorme atrio del Palazzo di Visari.
Dopo aver attraversato alcuni corridoi e l’immenso cortile, Radec giunse nella stanza dell’Autarca. Fece il suo inchino, come tutte gli uomini della sua scorta, poi rimase a fissare l’uomo che aveva davanti negli occhi, tenendo le mani dietro alla schiena.
Conversarono a lungo, il Colonnello raccontò per filo e per segno gli ultimi avvenimenti a Visari. Non dimenticò di nominare il team Echo, ora in addestramento in una delle sedi della Stahl Arms.
“Parli del diavolo e spuntano le corna”, pensò Radec, quando, da dove poco prima era arrivato lui, giunse proprio Jorhan Stahl. Dopo i nuovi inchini ed alcune occhiate d’intesa tra il Colonnello e il proprietario della Stahl Arms, ripresero le discussioni.
-Ottimo, Colonnello- concluse Visari, dopo alcuni minuti di ascolto. -E mentre i suoi soldati si occuperanno di Suljeva, il nostro Stahl porterà a termine il suo progetto… l’arma alla petrusite.. l’obelisco!
-Non dimentichi il MAWLR- gli ricordò il diretto interessato.



6
Il villaggio di Suljeva
Suljeva, una sorta di villaggio nel deserto. Era andato in rovina ormai da molto, ma, secondo alcuni ricognitori Helghast, una squadra ISA era giunta sul posto per cercare qualcosa. Qualcosa che, effettivamente, avrebbero trovato. Perciò Radec li aveva mandati lì: per intercettare ed eliminare la squadra ISA.
Le terre desolate di Helghan non erano un posto molto ospitale per chi non le conosceva. Tra l’altro erano piene di enormi, viscidi insetti, e ultimamente alcuni di questi erano stati irradiati dalla Petrusite. Ma ciò non sarebbe bastato, di certo, a fermare una squadra di fottutissimi ISA.
Come ci era finita la Petrusite lì? Semplice, era proprio da lì che l’avevano estratta. Era proprio per quello che avevano praticamente distrutto il villaggio Suljeva. Era un luogo troppo importante per permettere a tanta gente di abitarci. Ed era anche pericoloso, ma quello passava in secondo piano.
Inizialmente la Petrusite era soltanto un’ottima forma d’energia, ma ultimamente veniva utilizzata anche a scopi militari, sia nella Stahl Arms che nella Visari Corporation.
Quelle lande erano state la riserva d’energia di mezzo universo.

Mentre loro arrivavano dalla lontana sede della Stahl Arms, una seconda squadra, più numerosa ma molto meno addestrata, di Hig iniziò il loro lavoro. Non appena furono sul posto, i quattro soldati della squadra Echo saltarono giù dal loro Incursore e fecero fuoco di soppressione: la battaglia già infuriava. Alcuni Hig erano già caduti, ed altri morirono sotto i loro occhi. I nuovi arrivati erano lontani, e il loro fuoco di soppressione servì a ben poco. Jatran li stoppò con un cenno della mano, poi fece loro cenno di seguirli in un’altra direzione, per aggirare gli ISA.

Quando tornarono sul luogo in cui era avvenuto lo scontro, trovarono soltanto i cadaveri dei loro compagni. Quei soldati ISA erano pochi, tre o quattro, ma nessuno di loro era morto. Per ora. Trovarono anche il loro mezzo, con alcuni M82 agganciati ai lati, ma decisero di proseguire alle spalle dei loro nemici.
Camminavano sulla sabbia, in mezzo ai numerosi resti degli edifici che una volta componevano il villaggio. Sabbia e ferro erano le uniche cose che videro. Nonostante l’ambiente, non faceva poi così tanto caldo. Era notte, dopotutto. Le strutture di ferro erano completamente demolite, ma qualche piccolissimo edificio stava ancora in piedi. Tra corde, contenitori e scale metalliche, finalmente i quattro Hig individuarono i loro nemici, intenti ad entrare in una sorta di cabina di controllo dell’energia.
-Entriamo?- chiese Zoran, lo StA-52 saldo tra le mani.
-No- si limitò a dire Jatran in un primo momento, poi fece un cenno a Dorx.
Il cecchino si mise una mano sull’orecchio (sul cappuccio, in realtà) e comunicò col Comando. Infine fece un cenno d’assenso rivolto all’Infiltratore.
-Spegnete i vostri Hud e smontate i mirini laser- ordinò il Comando, ora sentito da tutti. -EMP in arrivo- chiuse la conversazione.
I soldati obbedirono. Spenti i loro elmi (e i loro occhi rossi), erano figure completamente nere nella notte. Zoran guardò gli altri uno per uno. Dorx era ancora più inquietante senza i tre led rossi al centro del suo volto oscurato dal cappuccio.
-Ok, non avremo l’invisibilità, le torrette o altri vantaggi di cui ci serviamo di solito. Ma quando lì dentro si spegneranno le luci, il nostro unico vantaggio basterà a farci completare la missione. Intesi?- domandò Jatran.
Gli altri annuirono, poi s’incamminarono verso la porta, chiusa poco prima dall’ultimo degli ISA.
Improvvisamente, Vaqen imprecò. Un altro soldato ISA era sbucato da dietro l’angolo, e aveva prontamente puntato il fucile e sparato contro di lui. Dorx lo afferrò dal fianco e lo sbatté contro il muro, dopodiché lo infilzò ripetutamente con il suo coltello da combattimento, imbrattando qualsiasi cosa del sangue di quel soldato.
Dall’interno si udirono dei rumori. Gli altri ISA avevano sentito gli spari del compagno e si erano allarmati. Mentre Dorx si metteva accanto alla porta, pronto a fare irruzione, Jatran si accasciò su Vaqen.
-Tutto bene?- chiese, a bassa voce.
Un rumore quasi assordante, che durò per appena un attimo, poi tutto si spense. Gli ISA all’interno della struttura erano rimasti completamente al buio. Nel frattempo, Vaqen si rialzò.
-Sì, tutto ok- rispose, imbracciando di nuovo il suo LS-13, anche se la ferita sanguinante sul suo petto diceva il contrario. Si mise dall’altro lato della porta, poi, mentre Jatran mirava verso di essa e Zoran copriva loro le spalle, lui e Dorx la aprirono con un calcio.
Lì dentro era tutto completamente buio. Ciò che accadde dopo fu completamente inaspettato. ISA ed Helghast iniziarono a sparare nello strettissimo corridoio, dopodiché i due nemici indietreggiarono e la battaglia si spostò nella piccola stanza. Gli ISA erano quattro, come loro. Erano decisamente troppi, per stare lì dentro. I proiettili rimbalzavano dappertutto, Zoran si sentì colpire più di una volta. Avvertì un forte dolore alla testa, poi più nulla.

Riaprì gli occhi e vide Jatran sopra di lui. Niente occhi rossi, doveva essere passato appena qualche minuto dalla battaglia. L’EMP era ancora attivo. Sentì delle urla, e parecchi colpi. Non di arma da fuoco, ma di pugni e coltellate. Si rimise in piedi, a fatica, e guardò cosa stava accadendo. L’ISA che Dorx aveva ucciso fuori era stato trascinato di peso all’interno ed impiccato su una trave di ferro. Gli altri quattro erano accasciati, due contro un muro, uno accanto all’impiccato ed uno su una sedia. Ormai erano tutti morti.
L’odore di sangue era fortissimo.
Dopo aver terminato la tortura, Dorx si precipitò di corsa fuori dall’edificio. Anche Vaqen doveva essere fuori.
-Zoran, sei messo male. Stai qui a controllare la situazione, io vado con gli altri, il capitano di questa squadra ISA sta fuggendo, e può servirci vivo- disse, in fretta. Arrivò sulla soglia dell’altra porta, poi si voltò ancora verso di lui. -Stai attento, se arrivano dei nemici contattaci e fuggi. Non farti ammazzare.
Zoran avrebbe voluto rispondergli, ma solo poi si rese conto che era davvero messo molto male. Aveva due ferite sul petto, una sulla spalla. Un proiettile l’aveva preso di striscio su una gamba e.. ed era senza elmo. Per fortuna lì dentro poteva respirare abbastanza bene. La testa gli faceva ancora male. Il suo elmo era saltato, colpito da quel cazzo di proiettile.
Guardò i cinque soldati morti. Nonostante in quel momento li maledicesse, già sapeva benissimo che si sarebbe rimproverato a vita per quello che aveva contribuito a fare. Non se lo meritavano.
Improvvisamente la porta alle sue spalle si aprì. Zoran si voltò di scatto, la Revolver M4 puntata, e la figura che ora era di fronte a lui fece lo stesso.
Non era un ISA, né aveva gli occhi rossi. Ma doveva essere un Hig come lui; dopotutto l’EMP era ancora attivo. Solo dopo lo riconobbe: era l’Helghast dal mantello nero, quello che li aveva salvati e coperti a Visari Square.
Il ragazzo dai lunghi e malmessi capelli abbassò l’arma, sperando che l’altro avrebbe fatto lo stesso.
E così fece.
Zoran tirò un sospiro di sollievo.
-Sono felice che tu sia vivo.. non ti ho ancora ringraziato a dovere- disse, continuando a guardare la sagoma nera e immobile che aveva davanti. Ma non arrivò nessuna risposta. -Cosa c’è? Sei.. muto?- aggiunse, dopo qualche secondo di totale silenzio.
L’Hig davanti a lui fece cenno di no con la testa. Perciò non voleva parlare con lui, era quello che stava dicendo? O forse era sordo e stava cercando di farglielo capire?
Ma a cosa diavolo pensava? Si portò una mano sulla testa, ancora dolorante. In quel momento l’Helghast col mantello riprese a camminare. Esaminò i cadaveri degli ISA, poi guardò ancora Zoran.
Il giovane tattico ipotizzò che quel salvatore avesse più o meno la sua età. Non aveva un gran fisico, almeno in relazione alla sua altezza. Dopotutto era agile e scattante, un po’ come lui, al contrario, per esempio, di Vaqen.
Zoran aprì bocca per parlare di nuovo, ma il tipo misterioso gli fu subito addosso, a coprirgli una bocca con la mano. Si portò l’indice di fronte al volto, per dirgli di fare silenzio, poi uscì con cautela dalla porta sul retro.
Zoran lo seguì. Cosa c’era che non andava? Altri ISA, ovviamente. Non erano previsti. L’Hig col mantello nero gli fece un cenno, poi scattò nella direzione opposta a quella da cui era arrivato il Team Echo. Zoran continuò a stargli dietro, e si rese conto che, dopotutto, stava eseguendo esattamente gli ordini di Jatran. Troppi ISA per loro due da soli, così stavano fuggendo. Ma i loro passi stonarono nell’innaturale silenzio di quella notte, così gli ISA si accorsero quasi immediatamente di loro e li inseguirono. Zoran imprecò, mentre arrivavano ad un buon riparo.
-Ti vuoi decidere a parlare?!- chiese, quasi irritato. -Senza comunicazione siamo fottuti!
L’altro sembrò pensarci un po’ su, poi, infine, scosse la testa varie volte. No, non voleva parlare.



7
Le Ombre di Helghan
Zoran era affannato, accucciato dietro alla lastra di ferro che gli forniva riparo dai proiettili. Accanto a lui c’era il misterioso Hig che l’aveva salvato.. ancora una volta. Proprio mentre lo guardava, gli occhi di questo tornarono a brillare di rosso. Un momento dopo anche l’HUD del ragazzo si resettò. Mentre i proiettili ancora si scontravano contro il metallo, Zoran mise mano alle tasche e montò di nuovo il mirino sullo StA-52. Poi guardò l’altro, che imbracciava una Revolver M4.
-Intendi combattere un’orda di ISA con quella?
L’altro fece semplicemente cenno di sì. Dopotutto, Zoran l’aveva già visto in azione, no? Doveva solo fidarsi di lui. Senza alcun preavviso, il suo compagno corse via dal riparo, iniziando a sparare colpi di revolver. Zoran lo seguì, sparando raffiche brevi e precise verso i nemici.
Ma quelli non erano ISA.
Non proprio, almeno. Le divise erano molto simili, ma erano state, in qualche modo, modificate. Le luci erano verdi chiaro, non più celesti. Chi diavolo erano? Erano lì per la Petrusite?
Alcuni proiettili gli sfrecciarono accanto, così decise che sarebbe stato più saggio trovarsi un nuovo riparo. Si voltò e riprese la corsa sulla sabbia, poi si gettò in scivolata sotto ad una trave di ferro incurvata. Si rialzò e si portò dietro a un muro semi-distrutto, sporgendosi quanto bastava per tener d’occhio il suo compagno.
Quest’ultimo non aveva alcuna intenzione di arretrare, così Zoran gli fornì fuoco di copertura. Mentre il giovane metteva alle strette i nemici, il combattente avvolto dal mantello nero corse verso di essi, uccidendoli in rapida successione con colpi di M4 ravvicinati e diretti dritti nei loro crani.
Il sangue era sparso ovunque, ormai. Zoran si guardò intorno con attenzione, per assicurarci che non ci fossero cecchini o altri soldati in agguato. Si portò una mano sul casco ed attivò la sua abilità di ricognizione da tattico. Nessun rilevamento, a parte il suo compagno. Si avvicinò a lui, allentando, finalmente, la tensione. Poi si chinò su uno dei soldati morti.
Erano Vektan, poco ma sicuro. E quelle divise erano, originariamente, appartenute a degli ISA. Chi erano, però? Tutte le targhette e i simboli dell’Interplanetary Strategic Alliance erano state strappate via, ed erano state messe, al loro posto, delle targhette con un simbolo completamente nero, composto da quello ISA, ma simmetrico, e, al centro, dalle tre freccie che appartenevano alla Triade di Helghast.
Sotto vi era scritto: “Helghan Shadows Army”. Anche su altre zone della divisa c’era scritto HSA.
Alcuni ronzii si insinuarono nella testa di Zoran, poi ci fu solo la voce di Jatran.
-Zoran, mi ricevi?!- era abbastanza allarmato.
-Sì, ti sento.
-Stai bene? Dove diavolo sei finito? Noi abbiamo fatto prigioniero il capitano della squadra ISA e siamo tornati al punto di raduno, dove ti sei cacciato?- chiese ancora il capo del team.
-Sì, tutto bene. Sono dovuto fuggire, sono stato attaccato da.. degli ISA.. Più tardi ti spiego tutto. Ho anche un compagno con me- aggiunse.
-Un sopravvissuto?
-Più o meno.. ricordi il..- iniziò, ma mentre parlava si voltò, e l’Hig dal mantello nero era scomparso.
-Zoran?
-No, niente, lascia perdere. Sì, c’era un sopravvissuto con me, ma è ferito troppo gravemente. Tornerò da solo- mentì, prima di incamminarsi di nuovo verso la stanza con la squadra ISA morta.



8
L’ultimo giorno
Sbatté con forza il pugno sul tavolo, digrignando i denti. Il suo occhio sinistro lanciava sguardi maligni, che avrebbero fatto rabbrividire il peggiore dei mercenari; il destro, invece, era coperto da una benda nera. Aveva capelli dello stesso colore, lisci e unti che gli ricadevano a ciocche ben distinte sulla fronte. Afferrò di nuovo il coltello e sferzò l’aria debolmente, per cercare di sfogarsi.
-Come diavolo hanno fatto a non accorgersi che stavano combattendo i loro compatrioti?!- sbraitò, la voce roca ma più giovane di quanto ci si potesse aspettare.
Il soldato davanti a lui lucidava il suo VC-32. Portava un’uniforme HSA. -Non lo chieda a me, Capitano. A quanto pare qualcuno aveva attivato un EMP, e i nostri hanno scambiato quei due Hig per la squadra di ricognizione ISA che doveva trovarsi da quelle parti- spiegò, senza distogliere lo sguardo dal fucile e masticando le parole, esattamente come faceva col suo sigaro. Nonostante fosse un subordinato, sembrava più anziano dell’altro. -Suppongo, comunque, che gli ISA siano stati fatti fuori da quegli altri.
-Già, da quei due che hanno ucciso la nostra intera squadra- aggiunse un terzo individuo, ridacchiando. -Ora si è convinto, spero, che noi siamo i migliori. Noi siamo l’HSA.
Il capitano dell’organizzazione lo guardò torvo. In quel momento il soldato non scherzava più. -Dimostratemelo. Impedite agli ISA di raggiungere il Palazzo. Ma soprattutto, impedite agli Helghast di attaccare gli Incrociatori.
Il cecchino annuì, rivolgendo per la prima volta lo sguardo al suo capitano, il volto ancora diretto verso il VC-32, ormai perfettamente lucido.
-Siete capaci di fare tutto questo.. in tre?- domandò ancora l’uomo con la benda sull’occhio, il capitano dell’HSA, accennando un sorriso di scherno.
Dall’ombra uscì un’altra figura, una ragazza dai capelli a caschetto che reggeva uno StA-11 con una mano, appoggiandolo sulla spalla e puntandolo verso l’alto.
-Prepari le nostre ricompense- disse avidamente. -andiamo a fare fuori quei bastardi.. che siano fratelli o Vektan.

Zoran camminava nei corridoi della Stahl Arms. Lì dentro c’era praticamente solo vetro. Tranne i muri principali e le porte, tutto il resto era trasparente. Non c’erano finestre, ma la luce che proveniva da fuori attraversava comunque tutte le stanze, rimbalzando da una superficie trasparente all’altra. Su ogni sottile lastra c’era il simbolo che Stahl aveva affibbiato agli Helghast: una soltanto delle tre frecce che componevano la Triade.
Un soldato di guardia lo fermò con una mano.
-Dove credi di andare?- chiese, con un tono non molto simpatico.
-Sono della Echo, ho tutti i permessi per girare qui dentro- rispose prontamente il ragazzo, che non era affatto in vena di litigare. Ma non ebbe successo.
-Permessi o no, il tuo compito è addestrarti. O se gli ISA si presenteranno qui, dovrò prenderti a calci in culo.
-O potresti cercare la definizione di “buone maniere”.
Zoran pensò che l’altro si sarebbe arrabbiato sul serio e l’avrebbe colpito, ma la guardia si esibì in una sonora risata. Altri Helghast si avvicinarono a loro. La guardia si voltò per tornare a fare quel che doveva.
-Sì, ignorami, idiota!- esclamò Zoran. -Ma quando gli ISA saranno qui, perché sì, ci arriveranno, io non ti parerò il culo! Né a te, né ai tuoi fottuti colleghi.
La guardia si voltò di nuovo, e questa volta era chiaro che non fosse per ridere. Strinse la mano a pugno e fece per colpire il ragazzo, ma un’altra mano lo bloccò, dalla sua sinistra. Jatran aveva afferrato il braccio della guardia e ora lo spintonava via. Quando gli altri Helghast che si erano riuniti lì intorno capirono che non ci sarebbe stata alcuna rissa tornarono ai propri compiti, sbuffando.
Zoran provò a ringraziare il suo capo, ma questo lo afferrò per le spalle e lo diresse in un luogo isolato, per poi sbatterlo contro una parete.
-Ascoltami bene, ragazzo. Condivido i tuoi principi e soprattutto ti permetto di agire di conseguenza. Ma non tollererò altre scenate del genere- disse, severo.
-Ho afferrato. Scusa, è solo che..
-Non scusarti, non dovevi farlo e basta. Trattieni la tua rabbia per quando dovrai combattere davvero.

Radec era tornato, in un certo senso, sconfitto. Visari, tuttavia, non l’aveva presa troppo male. O almeno, finché non seppe che alcuni ISA avevano messo a ferro e fuoco (letteralmente) Tharsis. Dopo una animata conversazione con Stahl, il Colonnello Helghast si recò dal suo Autarca.
Poteva esserci qualcosa di positivo in tutto ciò? Doveva esserci. Anche una minuscola stupidaggine. O Visari non avrebbe tollerato altri errori.
Red Dust era pronta ad esplodere, mancavano solo i codici.
Niente. Però, si ricordò di quella notte, al deposito di Tharsis. Il ragazzo che aveva scovato quella notte.
Non era forse uno dei sopravvissuti, uno del Team Echo? Sorrise, tra sé. Il suo team era perfetto, o quasi. Quel ragazzo era dotato di grande abilità, ma non era motivato. E se avesse scoperto che la sua famiglia era morta per mano degli ISA che avevano assaltato Tharsis?
Era una storia irrilevante, in fondo, ma era sempre qualcosa in più da dire a Visari, perché alleviasse la rabbia dovuta agli ultimi fallimenti. Era ciò che poteva fare lui, in quel momento. Stahl avrebbe pensato al resto. L’Obelisco era pronto e a breve anche il MAWLR.
La morte della famiglia del ragazzo l’avrebbe motivato.
Anche se era soltanto una storia inventata da Radec.



9
Ombre in fiamme
Zoran continuava a fissare le proprie ginocchia, su cui era poggiato il suo StA-52. I suoi lunghi (e malmessi) capelli scuri gli ricadevano ai lati del volto, completamente bagnati. Chiuse gli occhi e respirò lentamente. Poi una mano gli toccò la spalla e lentamente si voltò verso il suo compagno.
Quasi non lo riconosceva. Senza la sua uniforme da geniere, Vaqen era un giovane soldato dai corti capelli castani e dagli occhi di un azzurro impressionante. Perché un ragazzo come lui doveva vivere indossando una maschera uguale a quella di tutti gli altri, differenziata solo per il ruolo che il soldato che vi era sotto era destinato a svolgere?
La mente offuscata da tutti questi pensieri, Zoran non trovò le parole da rivolgere all’amico. Ma lui lo capì, e non si offese nel non ricevere nessuna risposta, neanche un cenno.
-Tu pensi che sia giusto?- chiese il tattico dopo una decina di secondi, mentre ancora si guardava le ginocchia.
-No- rispose l’altro, bruscamente, quasi come se avesse bestemmiato. Neanche ci fu bisogno di chiedere di cosa l’altro stesse parlando. -Ma ti consiglio di non parlarne così apertamente.
-Noi siamo compagni, devo fidarmi di te.
Vaqen lo guardò, poi gli si avvicinò ulteriormente, parlando a voce più bassa. -Essere compagni non significa essere amici, nelle schiere degli Helghast. Non ti consiglio di fare a Dorx la stessa domanda.
Zoran restò in silenzio per qualche altro secondo. Poi, finalmente, guardò ancora il geniere negli occhi. In quegli occhi azzurri e brillanti. -Non sarebbe d’accordo?- chiese.
-Forse sì, ma certo è che non lo direbbe. Ti condanneresti da solo. Nessuno, qui, può permettersi di andare contro la volontà di Visari.
-Bastardo…
Improvvisamente la loro conversazione fu interrotta. La porta di metallo si aprì con un botto incredibile, e in meno di un secondo Jatran era in piedi di fronte a loro, con una sorta di computer futuristico in una mano.
-Ragazzi, preparatevi in fretta, abbiamo un compito importante da svolgere.
Senza fare domande, i due si alzarono ed iniziarono ad imbracciare le armi e a riprendere le proprie armature.
I caschi erano sempre l’ultima cosa che indossavano. Per principio.
-Dov’è Dorx?- chiese Zoran.
Esattamente tra lui e Jatran il cecchino si materializzò, un centimetro per volta. Era dannatamente vicino.
-La mimetica funziona bene- osservò Vaqen.

-Uno di quei fottuti ISA è morto. Dante Garza.- spiegò Radec, camminando, come suo solito, con le mani dietro la schiena.
Stahl sorrise.
-Mi servono i codici- aggiunse il Colonnello Helghast.
-Vai su quell’Incrociatore.. e riprenditeli! O no?- osservò l’uomo, facendo congiungere le punte delle dita, attraverso la pesante stoffa dei guanti scuri.
-Sicuro. Porterò con me un intero esercito. E l’intero Team Echo.
Il sorriso sul volto di Stahl riuscì ad allargarsi ancor di più. -Allora pensi davvero che sia l’ultimo atto?
Radec si fermò e lo guardò, attraverso l’inquietante maschera. -Quando avremo i codici e Red Dust potrà esplodere, sarà finita. Non potranno fare niente.. per sconfiggerci! Inoltre, toglieremo di mezzo una volta per tutte quel bastardo di Jan Templar.

Mentre si preparavano a partire, Jatran prese Zoran da parte. Non appena furono soli e lontani dalle orecchie degli altri, il capitano della squadra si sfilò il casco e gli parlò.
-Ascolta, ragazzo. Prima che partiamo, ho il dovere di riferirti qualcosa che mi ha comunicato il Colonnello- spiegò.
Cosa voleva Radec da lui?
Jatran prese un respiro, poi continuò. -Gli ISA hanno combattuto a Tharsis.
-Sul treno, e nella raffineria, lo so- tagliò corto Zoran. Ma capì che sotto c’era qualcosa che non gli sarebbe piaciuto.
-Già, ma.. i mortai hanno devastato tutto.. anche..
Il cuore del ragazzo perse qualche battito.
Kara…
Quella orribile baracca in cui aveva sempre vissuto.. era stata distrutta? Lui doveva morire lì, doveva far mettere in salvo la sorella.. oppure doveva starne fuori, come aveva fatto? Il casco non lasciava trapelare nulla, ma sulla sua vera pelle scorrevano le lacrime.
Da lontano, alcuni Hig fecero cenno a Jatran di raggiungerli. Il capitano si rimise il casco e diede alcune pacche a Zoran.
-Coraggio, dobbiamo andare.
-Sì.. solo un momento- sussurrò il giovane tattico, la voce smorzata dalla sofferenza.
I portelli stavano per chiudersi, così imbracciò il suo StA-52 e si incamminò. Il resto della squadra era già dentro. Da lontano incrociò lo sguardo di Vaqen. E, sotto la maschera nera, vide il volto di quel giovane ragazzo. Improvvisamente, però, qualcosa afferrò Zoran per il collo e lo portò con sé nell’ombra. Vaqen, dentro all’Incursore, si allarmò e scattò verso l’uscita, ma i portelli si chiusero davanti a lui.

Zoran si dimenò per liberarsi, e finalmente ci riuscì. Davanti ai suoi occhi l’enorme Incursore partì, con tutto il resto della sua squadra all’interno.
Che diavolo era successo?!
Si rimise in piedi e si voltò, puntando il fucile d’assalto contro l’ombra alle sue spalle. Ma, in mezzo ad essa, spiccavano due occhi rossi, e mettendo bene a fuoco la vista, Zoran individuò la nera figura con le mani alzate, una delle quali stringeva una Revolver M4.
L’Hig con il mantello, l’Hig dei tetti di Visari Square.. l’Hig che l’aveva salvato a Suljeva.
-Che diavolo fai?! Perché mi hai impedito di imbarcarmi?
Per tutta risposta, l’altro, anziché parlare, gli porse un foglio. Era una mappa. L’Accademia di Radec.
Perché voleva che andasse lì? L’Accademia era andata distrutta dopo il combattimento con gli ISA, dopo l’assalto dell’ATAC alle balconate.
L’Hig col mantello nero si voltò e s’incamminò, e Zoran si sentì in dovere di seguirlo.
Dietro alla mappa c’era scritto dell’altro. HSA.

-Ehi, Manny, ridammi il sigaro- fece il cecchino, tendendo una mano verso la ragazza coi capelli a caschetto che imbracciava lo StA-11.
-Sicuro, Kab.
Il terzo soldato HSA, relativamente basso e dalla pelle scura, imbracciava una mitragliatrice leggera StA-3. La pesantissima arma lo rendeva ancor più goffo nei movimenti di quanto non lo fosse già. Ma era comunque un soldato eccezionale, altrimenti non sarebbe stato lì.
-Sam- lo chiamò Kab. -dì la verità. Lo fai per soldi o sei davvero d’accordo con i principi dell’HSA?
-Sai, Kab, io ce li ho, dei principi- rise.
-Sei l’unico mercenario- precisò Manny, saltellando attorno al cecchino, almeno venti centimetri più alto di lei. Sembrava una ragazzina.
-A proposito, tu quanti anni hai detto di avere, di preciso?- chiese Sam, voltandosi verso di lei.
-Quasi diciannove!
-Attenzione, abbiamo una vera donna guerriera- la prese in giro Kab, masticando il sigaro e regolando l’ottica del VC-32.
Attorno a loro, tutto era distrutto. Quello che un tempo era stato il cortile interno della grandiosa Accademia di Radec, ora era un ammasso di rovine. Tuttavia, le strutture principali erano rimaste quasi intatte, solamente poco danneggiate dall’attacco degli ISA.
Solo, inspiegabilmente, gran parte dell’Accademia era perennemente in fiamme.

Erano appostati sopra ad un enorme ammasso di rottami. Pietra e metallo non si distinguevano più, sotto ai loro piedi. Mentre Zoran si guardava intorno con lo StA-52 pronto a fare fuoco, l’Hig col mantello nero scalava le rovine dell’Accademia con un’agilità invidiabile. Poi si fermò e tese le orecchie.
Si sentivano delle voci, ma ciò che dicevano era indistinguibile. Dopo alcuni secondi qualcuno parlò con più enfasi, e i due infiltrati colsero l’esclamazione “quasi diciannove!”. Poi seguì dell’altro, infine delle risate. C’erano maschi e femmine.. ma chi erano? E che motivo avevano di ridere, delle persone in un luogo devastato come quello?
Forse l’HSA si rifugiava davvero lì dentro? Ma chi erano?
Zoran non perse altro tempo a farsi domande ed iniziò a seguire il suo compagno d’avventura nella scalata di detriti. Infine, giunsero su quello che una volta era il balcone che dava sul cortile interno.
Cazzo, se chiudo gli occhi lo vedo come era un tempo…
Nonostante odiasse quel posto con tutto sé stesso, ormai Zoran si era “affezionato” anche a quello.
Ancora una volta dovette uscire dal mondo della fantasia per tornare bruscamente alla “missione”; da lì potevano vedere le persone che parlavano e ridevano.
E le fiamme. L’Accademia, ora soltanto rifugio dell’Ombra, bruciava.



10
Due bravissime spie
-Che cazzo significa che è rimasto fuori?!- gridò un soldato della scorta di Radec all’interno del mezzo di trasporto del suo esercito personale, giunto di fronte a Vaqen.
Jatran si intromise tra i due, prendendo le difese del proprio compagno di squadra. -Non è riuscito a raggiungerci, qualcuno glielo ha impedito- disse, calmo.
La guardia stava perdendo definitivamente le staffe, ma fu costretta a lasciar perdere quando venne chiamata dalla sala comandi.
Non appena fu abbastanza lontana, Jatran si voltò di nuovo ed afferrò Vaqen per le spalle, sbattendolo contro la parete. -Spiegami cosa diavolo è successo!- ringhiò. -Chi c’era lì fuori?
-Non! Lo! So!- scandì il geniere, convincendo il caposquadra a lasciarlo andare. -Lo giuro, ho soltanto visto che qualcuno lo tratteneva lì.
Jatran si fidava di tutti i suoi compagni, Vaqen compreso. Ma quella storia era a dir poco ridicola, non aveva ragione di esistere. Era inammissibile.
Una voce annunciò l’imminente scontro con l’Incrociatore ISA. I soldati caricarono le armi.
-E va bene, ne parliamo dopo. Ma voglio vederci chiaro.

La risata di Manny venne bruscamente interrotta da Kab. Il cecchino gli spinse una mano guantata contro la bocca per zittirla, mentre tendeva le orecchie. Sam impugnò saldamente lo StA-3 e rimase in silenzio, guardandosi intorno.
La giovane ragazza HSA morse la mano di Kab, che fu perciò costretto a lasciarla andare. -Che ti prende?
-Zitta!- il cecchino divenne poco a poco invisibile davanti ai loro occhi, il VC-32 puntato verso i tetti delle strutture dell’Accademia.
Senza preavviso, arrivarono gli spari. Sam si era già portato dietro a una colonna, mentre Manny dovette saltare e rotolare sul terreno duro per non finire crivellata. Imprecò ad alta voce e tirò la leva d’armamento dello StA-11. Si sporse quanto bastava per avere una visuale, poi iniziò a sparare brevissime raffiche verso i tetti, non sapendo dove fare fuoco. Dall’altra parte del cortile, Sam forniva fuoco di copertura, mitragliando con insistenza ogni zona accessibile.

Quando Zoran sparò, l’Hig col mantello nero abbassò la canna del suo fucile mettendoci una mano sopra. Gli ultimi colpi del ragazzo si piantarono per terra, in mezzo ai suoi piedi. Entrambi si abbassarono appena in tempo. Diverse raffiche proruppero verso la loro posizione, martellando le loro orecchie.
Zoran non poteva vedere oltre gli occhi rossi del compagno, ma se quel tizio avesse detto qualcosa, sarebbe di certo stato un insulto, o comunque una ramanzina. Quel che fece, però, fu voltarsi ed iniziare a strisciare nella direzione opposta. Zoran lo seguì.
Le raffiche erano terminate da almeno una decina di secondi, ma era meglio non rischiare. Non appena raggiunsero una zona più coperta tornarono accovacciati, fino a raggiungere un buco nel terreno.. che poi era il tetto.
Si fiondarono all’interno dell’Accademia. In una delle cucine, per la precisione. La stanza andava a fuoco, tutto andava a fuoco; i due si mossero con cautela ma velocemente, le armi puntate ad ispezionare ogni angolo. Uscirono di lì e si trovarono su un lungo corridoio. Zoran si accorse immediatamente che per il suo compagno quel luogo era nuovo. Ma lui lo conosceva come le sue tasche, perciò stavolta avrebbe fatto strada lui.
Si mossero a lungo, finché, svoltando un angolo, non incapparono in un fuoco di sbarramento. Dai loro ripari fecero fuoco ed eliminarono il nemico, un soldato semplice reclutato dall’HSA.
Avanzarono ancora e ancora, trovando sempre più resistenza. Nonostante Zoran conoscesse con esattezza quel posto, spesso i tetti erano crollati e le vie risultavano inaccessibili. Dovettero fare più volte su e giù per i vari piani per poter proseguire. La resistenza che incontravano non era molta né molto marcata; sì, quell’HSA aveva molti uomini, e Zoran ancora non capiva come avesse fatto a rimanere nascosta così a lungo, ma non era poi una tale minaccia.
Almeno credeva.

L’Incrociatore ISA risplendeva di blu e rosso ovunque. I tre soldati del team Echo scendevano con un ascensore ad uno dei piani più bassi, per sabotare le attrezzature nemiche. Ormai le battaglie infuriavano ovunque; sopra di loro si sentivano spari ed esplosioni. I corazzati Helghast stavano facendo il loro lavoro. Ma, come al solito, ai guerrieri d’Elite come Jatran, Dorx e Vaqen spettavano lavori meno “rozzi” che il semplice combattere. Loro avrebbero dovuto infiltrarsi.
L’ascensore si fermò proprio davanti a due soldati ISA, in procinto di portarsi ai piani superiori per combattere. Questi fecero per sparare, ma Jatran fu più veloce. Due colpi, due morti.
-Andiamo

Zoran correva senza tregua. Si trovavano su una delle balconate che davano sul cortile centrale. Le colonne non erano ripari sicuri, e un dannatissimo cecchino lo bersagliava, così non poteva permettersi di fermarsi. Il suo compagno gli stava dietro, il mantello nero ondeggiante nell’aria.
Non appena giunse alla fine della balconata, Zoran si gettò in scivolata verso un riparo degno di quel nome, individuando subito alcuni soldati nemici. Prima ancora di poter riprender fiato, prese una granata a frammentazione dalla cintura e strappò l’innesco con la mano. Aspettò qualche secondo, poi, mentre i BEEP del congegno si facevano sempre più vicini e dal ritmo incalzante, si sporse dal riparo e la lanciò.
La deflagrazione fu devastante, e nello stesso attimo il suo compagno lo raggiunse, gettandosi accanto a lui al riparo.
-Porca..-
L’altro lo guardò, senza dire nulla. Ovviamente.
Zoran si concesse un attimo per togliersi il casco e respirare, nonostante a pochi metri da lui i soldati e il terreno ancora bruciavano e, un po’ più su, un cecchino continuava a cercare di ucciderli.
Mentre il tattico Helghast si prendeva il suo meritato momento di riposo, notò che l’altro continuava a fissarlo.
-Perché non ti togli quella maschera e mi fai vedere chi sei?- gli chiese, ancora ansimante.
Per tutta risposta, il suo compagno si voltò dall’altra parte. Un gesto che fece quasi sorridere Zoran, ma che risultò estremamente sprovveduto. Un colpo di calibro 50 mancò per pochissimo il ginocchio del suo compagno, che fu costretto a stringersi ancora al tattico.

Un altro colpo. Ricaricò.
Dannazione, questa volta ci sono andato davvero vicino.
Kab si rimise il sigaro in bocca per tornare a mirare. Quei due bastardi si erano accampati dietro a un riparo bello solido. Beh, potevano anche prenderci l’affitto, ma lui non avrebbe distolto lo sguardo per un attimo.
-Uscite fuori, stronzetti… vi faccio saltare il cranio!
Alcuni ronzii nelle orecchie, poi ricevette delle comunicazioni.
-Li stai tenendo sotto tiro, Kab?- era la voce di Sam. -Io e Manny rimaniamo in difesa del QG.
-Sì, li ho a portata di tiro- seguì qualche secondo di silenzio. -E pensavo che l’Accademia fosse il QG.
-Hai capito cosa intendo, Kab. Fatti risentire.

-Però, siamo bravissimi come spie. Ci hanno scoperti solo.. subito?- fece Zoran.
L’altro non distolse lo sguardo.
-Ok, lo so, lo so.. è tutta colpa mia. Scusa- aggiunse. Arrivarono alcuni spari, pericolosamente vicini.
Velocemente, il suo compagno prese il casco e glielo mise di nuovo in testa, prima di far sporgere la canna della Revolver e sparare un paio di colpi alla cieca. Ritrasse subito la mano, già sapendo cosa sarebbe seguito.
E infatti accadde. Il cecchino esplose un nuovo colpo di calibro 50.
Zoran guardò ancora il compagno. -Siamo messi male.
Ignorando la sua affermazione ovvia, l’altro Hig mise mano alla sua cintura e prese un’altra granata. Gli fece un cenno, poi la innescò e la lasciò cadere fin troppo vicino.
Ma Zoran aveva capito perfettamente il suo piano. Quando arrivò l’esplosione si fiondarono fuori dalla copertura, correndo e sparando verso il nemico. Il cecchino sparò, tentando la fortuna, ma il fumo provocato dalla granata gli impediva di vedere qualsiasi cosa. I due Hig giunsero dall’altra parte della balconata anche questa volta. Fecero fuori i nemici in pochi secondi, poi scesero delle scale, tornando, finalmente, al coperto.

Mentre Kab imprecava a raffica nell’auricolare per aver perso i bersagli, Manny sgusciava di angolo in angolo nei meandri dell’Accademia.
-Attenta, ragazzina- era la voce di Sam, questa volta. -sono diretti dal tuo lato.
-Ricevuto- rispose lei, improvvisamente più seria. Si rimise il casco, coprendo i capelli scuri a caschetto, e si mise in copertura.

L’ISA di guardia al garage B camminava tranquillamente di fronte all’entrata. Dopotutto, che pericoli correva? Nei piani sopra di lui stava soltanto scoppiando una guerra tra nazioni.
Ad un tratto, un altro ISA, con l’uniforme identica alla sua, lo raggiunse di corsa.
-Che succede?- chiese il soldato di guardia.
-Ho bisogno di accedere a questa zona! Sono un pilota di ESO!
-Mi spiace, nessuno è autorizzato a…
-Fottitene dell’autorizzazione! E’ Templar a mandarmi qui! Dannazione, non ti sei accorto che ci stanno attaccando?!
Spiazzato, l’ISA di guardia si voltò e digitò dei numeri sul pannello dei comandi. Non appena ebbe finito non poté voltarsi, il suo collo era già spezzato. L’aspetto dell’ISA che l’aveva soggiogato mutò fino a tornare quello che era realmente. Jatran si voltò e fece segno agli altri di seguirlo.
Via libera.
Piazzarono cariche D ovunque. Qualche tonnellata di C4 sarebbe bastata a distruggere tutti quei fottutissimi ESO, allineati all’interno del garage.

C’erano quasi, ormai. Avanzarono lentamente, sparando a destra e a sinistra contro i soldati HSA che gli si piazzavano davanti. Ad un tratto, però, una figura più bassa sfrecciò di fronte a loro, scaricando quasi mezzo caricatore della sua arma verso i due infiltrati. Zoran cadde di lato, accasciandosi contro un muro. Il suo compagno lo aiutò a reggersi, poi lo trascinò di peso dietro a una parete, al riparo dai colpi. Era stato preso da più di un proiettile in quell’ultimo conflitto a fuoco.
Si rialzò subito, dicendo che era tutto ok. Aveva solo qualche livido sul petto. Ma, quando provò a rialzarsi, si accorse che le ferite alla gamba si facevano sentire. L’altro lo spinse di nuovo giù.
-Ce la faccio!- insistette lui, ma era ovvio che sarebbe caduto dopo qualche metro. Arrivò altro fuoco di sbarramento; la soppressione era pesantissima. L’Hig col mantello prese un bel respiro ed uscì dal riparo, mentre Zoran gridava “No!”. Sparò qualche colpo con un M82 preso da terra, ma quasi subito venne colpito alla spalla, ricadendo all’indietro e accasciandosi a terra. Zoran poté vedere il sangue schizzare via dal suo braccio, in quel singolo istante. Aveva fatto una cosa davvero stupida. Si mosse verso di lui, ma l’Hig si rialzò poggiandosi su un gomito. Afferrò saldamente l’M82 e sparò contro tutti i nemici, poi si rialzò. Nonostante il braccio ferito, non rinunciava a combattere. Ma presto dovette cedere, gettò l’arma, priva di munizioni, ed alzò le mani guantate, la testa abbassata, sperando di essere risparmiato. In quegli ultimi momenti, Zoran avrebbe voluto provare a salvarlo, a ricambiare il favore che lui gli aveva fatto più e più volte, ma il suo compagno gli fece un ultimo, unico cenno.
Così, Zoran si trascinò via, nascondendosi in una piccola stanza ed aspettando che tutto finisse.

La losca figura camminava avanti e indietro per la stanza scarsamente illuminata. La benda che gli copriva l’occhio destro e i vestiti malmessi rendevano quel giovane uomo ancor più terrorizzante. I capelli neri, lisci e unti, erano sempre più sporchi.
-L’abbiamo preso- esordì Sam, che insieme a Manny teneva per le braccia l’Hig dal mantell nero.
-Due Helghast hanno cercato di annientare l’HSA…- disse il capo, a voce bassa. Si avvicinò al suo prigioniero, poi gli gridò in faccia: -cosa diavolo credevate di fare!? Lo sai che avete appena impedito a noi di compiere la nostra missione?!
In quel momento anche Kab giunse nella stanza. Si accese un sigaro e si appostò in un angolo buio ad osservare la scena.
L’Hig col mantello non rispose.
-Legatelo alla sedia, vediamo se decide di parlare!- sentenziò il capo dell’HSA.
Manny e Sam obbedirono. Un altro soldato entrò lì dentro. -Capitano, gli Helghast stanno attaccando l’Incrociatore. Mi dispiace, non abbiamo fatto in tempo.
L’uomo con l’occhio bendato sospirò. -Muovetevi, allora, e tentiamo almeno di non far avvicinare l’esercito ISA al Palazzo di Visari.
-Sissignore. Comunque, forse non ce ne sarà neanche bisogno. Stiamo già mettendo in atto i piani, e presto disporremo di tutta l’attrezzatura per l’attacco.



11
Una giornata decisamente fuori dal comune
Dopo essersi stretto la fascia improvvisata attorno alla gamba, Zoran riprese a camminare, seppur zoppicando, con una sola chiara intenzione. In mano aveva soltanto una StA-18 con pochi colpi, ma gli sarebbe bastata. Svoltò un angolo e si trovò faccia a faccia con un soldato dell’HSA. Questo fece per colpirlo con un pugno, ma il giovane Helghast scansò l’attacco con una mano, mentre con l’altra estraeva il coltello. Pochi rapidi movimenti, poi l’HSA si accasciò a terra grondando sangue dal collo. Zoran ripose la StA-18 e si abbassò, con fatica, a raccogliere l’arma che quel soldato morto portava sulla schiena. Un lanciagranate M327. Zoran sorrise tra sé; gli sarebbe servito più in là.

-Non vuoi parlare, eh?- fece il capitano dell’HSA, continuando a girare intorno all’Hig dal mantello nero e alla sedia alla quale era legato. Manny osservava la scena divertita, camminando a sua volta, mentre Sam e Kab erano come fantasmi.
-Questa è l’ultima occasione. Poi dovrò passare alla violenza.
Ancora nessuna risposta. L’Hig era completamente immobile e teneva il capo chino, gli occhi rossi coperti dal cappuccio.
-Bene. Vediamo chi si nasconde sotto a questo cappuccio nero- allungò la mano ed afferrò il bordo del cappuccio dell’Hig, ma in quello stesso istante Zoran si fiondò nella stanza, calciando la porta.
Loro erano quattro, e lui era uno e ferito. Ma in quel momento era l’unico a tenere un’arma (la StA-18) tra le mani. I tre membri della squadra HSA alzarono le mani, mentre il capitano mantenne la calma.
-Arrivi giusto in tempo, stavo per smascherare il tuo amico- si portò alle spalle dell’Hig, cosicché se Zoran avesse sparato, avrebbe probabilmente colpito il compagno anziché il capitano.
La mano sporca e coperta di graffi dell’uomo afferrò di nuovo il cappuccio e lo tirò via. L’ultima cosa che si aspettava era che lunghe ciocche di capelli biondi gli ricadessero di fronte. Dall’altra parte della stanza, Zoran rimase senza parole. Nonostante avesse ancora la maschera a coprirle metà del volto, quella era chiaramente una ragazza.

Negli istanti successivi accadde tutto talmente in fretta che Zoran riuscì a malapena a capire la situazione. La ragazza si era data una spinta con i piedi, facendo cadere la sedia (e se stessa) addosso al capitano dell’HSA. Un sigaro era volato via da un angolo buio della stanza e ora la figura correva verso il fucile da cecchino appoggiato al muro. Dall’altra parte, l’uomo di colore tirava su la mitragliatrice leggera e la ragazzina (la stessa che gli aveva procurato tutte quelle ferite poco prima) correva verso uno StA-11 appoggiato su una sorta di scrivania. Zoran fu più veloce di tutti loro; puntò e sparò. Ferì il mitragliere alla spalla, che si accasciò e si lasciò cadere la pesantissima arma dalle mani, poi sparò allo StA-11, molto più vicino a lui che a Manny, e l’arma schizzò via rotolando nell’aria. Il cecchino non poteva fare molto, da quella distanza, così gli corse incontro (sempre per quanto potessero permetterglielo le ferite). Nel frattempo, la ragazza Hig (al momento praticamente a testa in giù) sfilava il coltello dalla cintura del capitano dell’HSA. Lo ferì al braccio con questo, poi lo utilizzò per tagliare le corde che la tenevano legata e ricadde a terra. Zoran era giunto di fronte a Kab. Il VC-32 sparò, ma il proiettile calibro 50 andò a conficcarsi nella parete alle spalle di Zoran. Il ragazzo colpì il cecchino sul volto, ma questo contrattaccò immediatamente, facendo piegare l’Helghast con una ginocchiata nel petto. Poi strappò la pistola di mano al ragazzo e gliela puntò contro. Sparò, ma Zoran era ancora lì.
-Non soltanto i cecchini sono abituati a contare i colpi che sparano- disse il ragazzo mentre colpiva ripetutamente Kab allo stomaco con i suoi pugni. Poi si riprese la pistola scarica e la lanciò contro Sam, distraendolo quanto bastò per permettere alla sua compagna di sottrargli la sua arma da sotto il naso e puntargliela contro. L’uomo di colore alzò le mani e rimase in ginocchio, e mentre Kab cadeva al suolo stremato dai pugni di Zoran, quest’ ultimo afferrò Manny alle spalle e calciò via lo StA-11 che la ragazzina aveva quasi raggiunto.
Tutto si fermò, finché il capitano dall’HSA non riemerse da dietro la sedia con le mani alzate, una delle braccia coperta dal taglio infertogli dalla ragazza Hig. Aprì la bocca per dire qualcosa, più di una volta, ma non trovò nulla da dire. La ragazza dai lunghi capelli biondi puntò la mitragliatrice leggera verso di lui. A quel punto, l’uomo bendato si decise a parlare.
-Sappiate solo che uccidermi non fermerà il mio progetto- disse con voce roca, poi si esibì in un’insana risata.
Alcuni spari, poi l’uomo cadde a terra, in una pozza di sangue.
Kab si rialzò e camminò verso il centro della stanza, le mani alzate -ascoltatemi, voi due. Complimenti davvero per quanto siete riusciti a fare. Ma noi tre siamo solo dei mercenari, non c’entriamo niente con questa storia. Eravamo qui solo perché volevamo i nostri soldi.
Zoran lanciò uno sguardo alla compagna; lei annuì. Lasciarono stare i tre mercenari e si avvicinarono alla porta per andarsene dall’Accademia distrutta. La ragazza mise una mano sulla maniglia per aprirla, ma l’avvertimento di Sam la fermò.
-Fossi in te non lo farei- disse. -Sono sicuramente tutti là fuori con le armi puntate.
-Allora spostatevi dalla traiettoria- disse bruscamente Zoran, mettendo mano all’M327. Caricò la granata in canna, poi fece un cenno alla ragazza e lei aprì la porta.
Come previsto, una miriade di proiettili sfrecciarono all’interno della stanza, lungo una traiettoria sgombra. Non appena ci fu un attimo di pausa, Zoran si sporse col lanciagranate imbracciato e sparò. Senza perdersi in saluti o roba del genere, corse tra le fiamme dell’esplosione, seguito dalla sua compagna.

Erano fuori. Il mantello della ragazza bruciava, così se lo strappò dal collo e lo gettò a terra. Indossava un’armatura leggera da donna. I due rimasero lì fuori a fissarsi per interi minuti, poi lei si portò le mani dietro la nuca e si tolse la maschera. Zoran rimase subito colpito dal suo volto e dai suoi grandi occhi verdi. Dopo qualche altro momento di silenzio, decise che forse non era una scelta saggia rimanere lì a vita. Ma c’era comunque qualcosa che dovevano dirsi, prima di andare.
-Almeno vuoi dirmelo come devo chiamarti?- domandò il ragazzo, questa volta quasi imbarazzato.
Lei allungò la mano guantata verso di lui e gli sorrise. -Sono Sarah- disse, e sentire la sua voce colpì Zoran quasi più che vedere il suo aspetto. Le strinse la mano continuando a fissarla negli occhi.
-Io direi di muoverci- aggiunse lei dopo qualche secondo, visto che il ragazzo sembrava essersi dimenticato di essere in territorio ostile.

Jatran, Dorx e Vaqen fecero ritorno alla sede della Stahl Arms. La missione era andata, tutto sommato, a buon fine. Radec aveva i codici e Jan Templar era morto, ma come ultimo atto della sua vita aveva condannato centinaia di Helghast. Tra l’altro, uno di quei figli di puttana aveva abbattuto qualche decina di navi Hig dalla sua postazione anti-aerea. Ma l’importante erano i codici. Ora Red Dust poteva esplodere. In realtà, non era una cosa tanto felice, per gli Helghast, sapere che una carica nucleare sarebbe potuta esplodere sulla loro capitale in qualsiasi momento, per ordine del loro stesso Autarca. Pyrrhus era condannata, in ogni caso.
Ad ogni modo, ben presto ogni membro del Team Echo tornò ai propri piccoli problemi, primo tra tutti il dannatissimo freddo che caratterizzava perennemente quella zona innevata di Helghan. Il giorno seguente ricominciarono anche gli addestramenti, ma tutti e tre continuavano a chiedersi dove fosse andato a finire Zoran.
Jatran sperò solo che non fosse tornato a Tharsis, magari per vendicarsi degli ISA che avevano ucciso la sua famiglia.



12
Polvere Rossa
Le cose non stavano affatto andando nel migliore dei modi, quasi per nessuno, tra gli Helghast. Dopo l’attacco subito al New Sun, l’ISA aveva scagliato un contrattacco devastante. Avanzando anche con degli ESO, i Vektan erano giunti fino a Pyrrhus. Zoran si trovava con Sarah; camminavano ormai da ore, diretti a Tharsis. Dopo lo scontro con l’HSA, il giovane Hig aveva ceduto alla tentazione di raggiungere la sua vecchia baracca e vedere con i suoi occhi… qualsiasi cosa fosse effettivamente accaduto. Ripensò a Kara, vide il suo volto nella propria mente, e delle lacrime gli colarono lungo le guance. Ad un tratto dovette fermarsi, Sarah si era piazzata di fronte a lui, impedendogli di proseguire.
-Ehi, sei stranamente silenzioso- disse la ragazza.
Senti chi parla, avrebbe voluto ribattere lui, ma non era davvero il momento adatto.
-So a cosa stai pensando- continuò l’altra. In effetti, Zoran le aveva raccontato di ciò che gli era stato riferito da Jatran poco prima che lei lo… sequestrasse. -se proprio vuoi arrivare fino a Tharsis, non te lo impedirò. Però, ti prego, pensaci. Non lasciarti distruggere, ho bisogno di te.
-Hai bisogno di me?- fece lui, quasi arrabbiato. -Spiegami a cosa ti servo, perché io non l’ho ancora capito. Combattiamo gli ISA, ma sappiamo bene che sono mille volte migliori di noi, come persone. Abbiamo ucciso il comandante dell’HSA, ma non ho neanche capito quale fosse il loro scopo. Hai delle cose da spiegarmi, Sarah- si mise seduto su una roccia, e la ragazza fece lo stesso.
-Riportare la pace su Helghan, ecco cosa. E’ questo che i membri dell’HSA credono di fare, ma è ovvio che non è così. Certo, combattono da entrambe le parti proprio per bilanciare la guerra, ma in realtà lo fanno soltanto per allungarla.
-Cosa ci guadagnano?
-Hanno contatti con i mercenari, come quei tre; guadagnano per ogni minuto di guerra in più che noi, qui fuori, passiamo.
-Lo fanno soltanto per soldi?
-No, figurati. Investono su armi devastanti; come hai visto, hanno trasformato l’Accademia in una sorta di forgia infernale. Sembra che lavorino direttamente per Visari, in verità. Red Dust ti fa paura?
Zoran dovette pensarci per alcuni secondi. Perciò, Visari gli permetteva tranquillamente di uccidere i propri compagni? Non ci pensò e tornò a rispondere alla domanda. -Sì, credo di sì.
-Beh, Red Dust sarebbe nulla in confronto a quel che stanno creando lì sotto. Per questo ti ho trascinato con me per fermarli; non c’era neanche il tempo di spiegare.
-Ma ora che il loro comandante è morto…
-Non era di certo l’unico a conoscenza del progetto- passarono alcuni secondi in silenzio, poi Sarah si alzò. -beh, ti ho dato le mie spiegazioni. Ci rimettiamo in marcia?
Anche Zoran si rialzò, ma non appena fu in piedi i capelli gli schizzarono in avanti, lui stesso per poco non travolse Sarah. Un boato tremendo, un vento fortissimo; il ragazzo si voltò, e di fronte a lui, nel cielo, si innalzava un enorme fungo atomico. Il cielo si colorò immediatamente di un inquietante rosso scuro, la polvere radioattiva era già giunta fin lì. L’intero cielo era diventato marcio. Lì, ora, gli incursori ISA in lontananza risplendevano del loro caratteristico blu.
Red Dust.
I due ragazzi si guardarono. Zoran si voltò ancora verso Tharsis, che da lì, ormai, si vedeva. Poi guardò ancora verso Pyrrhus, verso l’esplosione atomica. Prese un respiro; qualsiasi strada decidesse di prendere, avrebbe dovuto percorrerla in fretta. La nazione o la famiglia?
Sarah gli posò una mano sulla spalla. Zoran lanciò un ultimo sguardo verso la raffineria, poi, insieme alla compagna d’avventure, iniziò a correre a perdifiato verso la capitale di Helghan. Di lì a poco, tutto sarebbe potuto finire.

I proiettili già iniziavano a schizzare in tutte le direzioni; Jatran dovette gridare ordini a tutte le unità che gli erano state affidate da Radec. Centinaia di Hig erano stati mandati in prima linea, mentre l’Echo era stata messa a capo dello squadrone a difesa del Palazzo di Visari, ovvero nel pieno della nuvola radioattiva. In lontananza già si potevano vedere decine di incursori illuminati di blu avvicinarsi alle difese antiaeree. Molte altre unità dell’ISA, invece, arrivavano via terra, correndo in gruppi o con i loro temibili ESO. Per fortuna, il Palazzo era difeso bene.
Jatran non sapeva come sarebbe andata a finire, ma sapeva che, in ogni caso, avrebbe combattuto fino alla fine. Qualcuno gli afferrò la spalla, e lui si voltò. Era Vaqen; insieme a lui c’era anche Dorx, già con il VC-32 carico tra le mani.
-ISA!- gridò qualcuno nelle vicinanze. Da lì, tutto cominciò.

Non sembrava molto intelligente correre dentro una nube radioattiva. Quando furono più vicini, divenne sempre più difficile vedere in lontananza. L’aria era completamente corrotta. E così, Radec faceva sul serio; Visari faceva sul serio. Aveva fatto esplodere Red Dust, una potente carica nucleare, sulla sua stessa capitale, al solo scopo di decimare i suoi nemici. Ma gli ISA erano ancora lì, anche se in numero molto ridotto, e sicuramente la battaglia stava già infuriando al Palazzo. Nonostante corressero da interi minuti, i due Hig ancora non si fermavano. Perdere un secondo di più avrebbe potuto davvero fare la differenza.

Vaqen caricò l’LS-13 e si gettò nella mischia. Non era nel suo stile rimanere nelle retrovie, così si fiondò in prima linea a difesa delle torri. Individuò una squadra di Hig e ne prese il comando. Si misero in posizione all’interno della torre. Uno degli Hig era un cecchino e si appostò per difendere gli altri. Passò del tempo, durante il quale gli spari si facevano più vicini e le esplosioni più spaventose, fin quando gli ISA non furono alla torre. Vaqen era lì, pronto a tendere un agguato a chiunque avesse salito quelle scale. Vide il cecchino sparare alcuni colpi di seguito, poi cadde all’indietro, il cranio perforato dal piombo. I soldati di fronte a lui iniziarono a sparare verso l’entrata della torre, e uno ad uno vennero a loro volta massacrati. Il geniere si alzò in piedi e fece fuori, con un solo colpo di shotgun, il primo degli ISA che salivano. Ricaricò ed aspettò il secondo, ma un ticchettio lo fece allarmare. Si gettò dietro una lastra di metallo appena prima che la granata lanciata da fuori esplodesse in mille schegge mortali. Un momento dopo gli ISA irruppero in gran numero, falciando ogni Hig che era sopravvissuto all’esplosione. Vaqen giaceva lì, scambiato per un cadavere, in realtà ancora cosciente, anche se in condizioni tutt’altro che buone.

Arrivando dalla direzione opposta a quella dello scontro, Zoran e Sarah riuscirono a cogliere alle spalle una squadra ISA. Silenziosamente si avvicinarono ai nemici; Sarah ne afferrò uno per le spalle e con un rapido gesto gli spezzò il collo, poi prese la sua arma e, con una precisione incredibile perforò altri due soldati. Nel frattempo Zoran si portò di fronte a un altro dei nemici. Estrasse il coltello e glielo piazzò nel collo, per poi afferrare il suo corpo ed usarlo per ripararsi dai proiettili dei suoi compagni. Una volta finite le raffiche, estrasse la pistola dalla fondina dell’ISA e, brandendola attraverso il cadavere, uccise tutti i nemici. Senza perdere un secondo di più, proseguirono.

Attraverso l’ottica del VC-32, Dorx vedeva diversi ISA avvicinarsi al suo raggio d’azione. Quando allontanò l’occhio dal fucile, vide soltanto l’arma appoggiata al bipede, davanti a sé. Il suo corpo era completamente invisibile, fino alle mani. O almeno sarebbe rimasto invisibile finché non si fosse mosso. Tornò ad utilizzare il mirino e finalmente iniziò a sparare. Ad ogni colpo il rinculo gli premeva contro la spalla, facendolo spostare all’indietro e rendendolo perciò di nuovo visibile. Tirò la leva d’armamento, facendo cadere il bossolo a terra, il quale rimbalzò con un tintinnio e poi iniziò a rotolare lentamente. Riportò la leva avanti, mettendo in canna il prossimo proiettile. Abbassata la leva, presa ancora la mira, premette di nuovo il grilletto; un’altra vita si era appena spezzata.
E tirò di nuovo la leva d’armamento.

I due giovani Hig si ritrovarono a sgusciare furtivamente tra gli incursori ISA. Per fortuna la polvere e il buio permettevano loro di non essere visti. Passare di lì con le armi spianate sarebbe stato un vero e proprio suicidio; dopotutto, loro erano soltanto in due. Camminando da abbassati, superarono un altro dei soldati ISA, che continuavano a muoversi per rifornirsi e prepararsi ad attaccare. Ormai erano parecchio vicini al Palazzo, da lì già si sentivano le esplosioni e si vedevano i lampi della battaglia.
Zoran passò di fronte a un nemico, mettendolo in allerta. Accorgendosi di ciò, si affrettò a svoltare l’angolo, ma si ritrovò faccia a faccia con un altro soldato ISA.
-E tu chi cazzo..?!- il soldato puntò l’M82 contro di lui, ma morì prima di poter posare l’indice sul grilletto. Prima che la carcassa potesse toccare terra, il suo assassino la fermò, poi la adagiò delicatamente.
L’uomo che aveva davanti, Kab, era uno dei mercenari dell’HSA, ne era sicuro. Anche loro, dopo l’esplosione di Red Dust, si erano diretti verso il Palazzo. Zoran sentì altri spari silenziati, quindi si voltò: c’erano anche Sam e Manny, e stavano facendo piazza pulita. Finalmente incrociò di nuovo Sarah, e una volta che si furono accertati di aver eliminato tutti i nemici, si riunirono al centro della zona.
Si scambiarono un cenno veloce, poi tornarono in marcia. Non c’era molto da aggiungere. Erano pur sempre tutti Helghast, e ora combattevano per la loro nazione.

Jatran uscì dal proprio riparo, sparando raffiche brevi e precise con la sua StA-11. Si affacciò ancora e ancora, falciando un ISA dopo l’altro, finché non ne vide alcuni morire di fronte ai propri occhi. Si guardò di lato, ma i suoi compagni non si erano mossi un solo momento dalla propria posizione. All’improvviso, una squadra di ISA illuminati di un verde chiaro sbucò da un’altra direzione, uccidendo a loro volta gli ISA. Chi diavolo erano? Alcuni degli Hig uscirono dal riparo e presero di mira i soldati dell’HSA, ma vennero immediatamente uccisi, travolti da proiettili calibro 50. Jatran spostò lo sguardo verso l’alto, verso la posizione di Dorx. Immediatamente rotolò di lato, mettendosi al riparo dal fuoco del cecchino.
Che cazzo stava succedendo? Perché Dorx stava proteggendo quegli strani soldati, e soprattutto, perché per farlo stava uccidendo anche i propri compagni Helghast?
Uno ad uno, Dorx fece fuori tutti gli Helghast della sua squadra, aiutato dal fuoco di copertura dell’HSA che, dopo aver fatto ciò, si mise a sua volta a difendere il Palazzo.
Tutto ciò, per Jatran, non aveva alcun senso.
Poi, dalla polvere e dal tetro orizzonte rosso, la figura di quello che sembrava un generale emerse, guidando altre truppe HSA.
Il capo dell’ex squadra Echo dell’Accademia riuscì a mettersi in salvo e si unì ad un altro squadrone. Spiegò la situazione ad un generale di brigata, e, mentre più in là la guerra tra Helghast e ISA continuava, lì ne iniziò un’altra, tra Hig ed HSA, una battaglia di cui nessuno, a parte i presenti, seppe mai più nulla.



13
Redenzione
Gli ISA non dovettero neanche ricorrere a tutte le loro forze per raggiungere il Palazzo di Visari, pronti a fare irruzione e ad uccidere l’imperatore di Helghan. Ma quando furono lì, dell’HSA non ce n’era già più alcuna traccia; Zoran, insieme ai suoi quattro compagni, Sarah e i tre mercenari, era arrivato prima dei soldati in divisa grigia e blu, dando man forte a Jatran e agli squadroni di Hig a difesa del palazzo contro le ondate di soldati HSA, provenienti dall’Accademia in fiamme. Non appena ebbero raggiunto il capitano del Team Echo, ormai sciolto, questo disse loro di Dorx, che aveva tradito gli Helghast alleandosi con quei soldati in divise ISA dai Led verdi, non sapendo però che l’HSA era sotto il comando diretto di Visari, che ovviamente aveva mantenuto segreta la cosa. Insomma, persino Visari non era stato del tutto fedele al suo popolo; ormai doveva aver capito che c’erano ben poche speranze di respingere gli ISA.
Anche su questo non aveva completamente ragione, poiché, poco dopo la sua morte, Orlock e Stahl avrebbero quasi messo alle strette i nemici della loro terra. Ad ogni modo, Zoran aveva combattuto gli HSA insieme ai propri compagni fino a debellare la minaccia, sebbene non fosse rimasta alcuna traccia di Dorx. Così, insieme a Sarah, tornò in prima linea a combattere gli ISA.

Avanzarono in mezzo al fuoco nemico crivellando i soldati provenienti da Vekta (e non solo) e tentando di riprendere il controllo delle torri di avvistamento. Impresa assai ardua, ma almeno ci avrebbero provato. Zoran si portò fino al riparo successivo, coperto dal fuoco di Sarah che era rimasta dietro di lui. Una volta giunto a destinazione si sporse di lato, allineò l’occhio con le tacche di mira del fucile e prese in pieno il cecchino ISA semi-occultato. Scavalcò la cassa dietro alla quale si era nascosto, innescò una granata e la lanciò di lato, mentre con la coda dell’occhio teneva sotto controllo i movimenti di Sarah. La ragazza, finalmente, lo raggiunse, continuando a fare soppressione con la sua arma, quindi entrarono nella torre est, uno alla volta, con le armi spianate.
La stanzetta era libera, ed improvvisamente calò il silenzio; tutt’a un tratto i semplici movimenti delle loro armi sembravano molto più rumorosi di quanto fossero realmente. Lì, però, in mezzo ai cadaveri, qualcuno era ancora vivo: Zoran si accovacciò accanto a una lastra di metallo crivellata dai proiettili e scheggiata da più di una granata e la rimosse. Vaqen, completamente esausto e ferito gravemente, cadde sulle ginocchia del ragazzo. Lui gli tolse la maschera e lo guardò in quegli occhi azzurri, ordinandogli di rimanere sveglio e cercando di rimetterlo in piedi, mentre Sarah proteggeva la postazione sparando dalla postazione fissa.
Pochi minuti dopo erano sulla via di ritorno, verso il Palazzo, con Vaqen al loro seguito. I due Hig lo protessero finché non furono giunti all’entrata, ancora presidiate dalle truppe Helghast, quindi lo aiutarono a portarsi dentro.

Di nuovo erano nel silenzio.
Non appena varcarono la soglia dell’enorme stanza centrale del palazzo, di fronte a loro si materializzò una figura: un cecchino Helghast, la StA-18 puntata sulla testa di Vaqen; era proprio Dorx.
-No!- gridò Zoran, ma era troppo tardi; il cecchino aveva sparato, uccidendo il compagno ferito.
Prima che potesse fare altro, Sarah gli colpì il braccio, facendogli cadere lontano la pistola, quindi lo colpì nel fianco. Ma l’Hig reagì, bloccandola e spingendola contro la parete di metallo. Mentre la ragazza si accasciava, anche Zoran aveva tirato fuori la pistola e sparò due colpi verso il traditore, mancandolo entrambe le volte: il cecchino, quasi completamente invisibile, era già giunto di fronte a lui e, con un rapido gesto, gli prese la pistola e lo spinse a terra, quindi puntò l’arma contro di lui.
-Stai calmo, ragazzo- disse, la voce inquietante e profonda proveniente da sotto la maschera.
Zoran volse lo sguardo alla propria destra, vedendo che Sarah faticava anche a rimettersi in piedi. -Sei uno stronzo!- gridò quindi all’ex-compagno.
-No, sono solo un ISA.
Le parole del cecchino colpirono Zoran dritto al cuore; improvvisamente, la situazione era cambiata, il ragazzo non sapeva più cosa pensare. -Co.. cosa…?
-Avrei potuto uccidervi tranquillamente- continuò l’altro, tornando visibile e rinfoderando la pistola, quindi tese la mano verso Zoran. -ti ho tenuto d’occhio per molto tempo, ragazzo. Tu non accetti questa schiavitù; tu sei come me.
Zoran era ancora riluttante: Dorx aveva comunque appena ucciso Vaqen! Intanto, alle spalle della spia ISA, Sarah era tornata in piedi, ma era a sua volta presa dalle parole del cecchino.
-Allora perché hai ucciso lui?- chiese la ragazza, facendo un cenno con la mano verso il cadavere di Vaqen.
-Era molto, molto bravo- rispose Dorx. -come spia- continuò. Zoran non credeva più alle sue orecchie. -I suoi discorsi da bravo Hig, i suoi occhi brillanti, la sua povera vita…
-Cosa vuoi dire?- lo interruppe Zoran. -Era un Helghast… poteva anche non pensare quel che diceva, anche se stento a crederci, ma cosa intendi dire con “spia”?
-Era come me- rispose l’uomo. -Visari ci aveva scelti come uomini dell’HSA in incognito tra gli Hig. Per questo, quando venne a sapere degli ISA che stavano arrivando a Salamun, ci mandò in missione a Visari Square: per metterci in salvo dal disastro.
-Aveva… aveva già in mente di far usare l’Accademia come quartier generale per l’HSA?- domandò Sarah, incredula.
-Esatto.
-Perciò, mentre lui era un doppiogiochista in quel senso, tu in realtà stai dalla parte degli ISA?- continuò Zoran.
-Sì, chiamalo triplo gioco, se vuoi. Voi due la pensate come me- allargò le braccia. -aiutatemi ad uscire vivo di qui e vi porterò sull’Incrociatore ISA. Ce ne andremo su Vekta, una volta finita questa inutile guerra, a goderci la morte di Visari.
I due ragazzi si guardarono: in effetti, quelli erano i loro propositi fin dall’inizio.
-Va bene- rispose Zoran. -ma prima voglio passare per Tharsis. C’è qualcosa che devo fare, lì.
-Se ti riferisci alla morte della tua famiglia, è tutta un’invenzione di Radec- spiegò Dorx.
Zoran si rialzò, finalmente, in piedi, un nuovo barlume di speranza negli occhi; incrociò lo sguardo di Sarah, che si era tolta la maschera e i cui capelli ora le ricadevano sulle spalle. Sorrideva.
Un applauso; tutti e tre si voltarono verso la cima dell’enorme scalinata, dove il Colonnello Radec, mentre batteva lentamente le mani, tornava visibile.
-Davvero commuovente- disse, fermandosi e mettendosi le mani dietro la schiena. Da dietro di lui arrivarono decine di Helghast con gli StA-52 spianati. -Ora, però, se non vi dispiace, morirete tutti.
Gli Hig presero la mira, ma un attimo dopo le porte alle spalle dei tre “traditori” si spalancarono di nuovo, in un mare di proiettili, varcare da Thomas Sevchenko e Rico Velasquez. Zoran, Sarah e Dorx si misero al riparo in un angolo mentre la battaglia infuriava nell’ampissimo salone; si privarono delle loro armature Hig e raccolsero quelle di tre ISA morti. Le indossarono, quindi iniziarono a combattere per qualcosa in cui credevano davvero.

Zoran riaprì gli occhi. Tutto, davanti a lui, era sfocato. Accanto al suo braccio, poco distante dalla pozza del suo sangue, stava il suo LS-13, o meglio, l’LS-13 di un Hig a cui l’aveva sottratto. Quel manipolo di soldati dell’ISA era penetrato nel palazzo di Visari e li aveva uccisi tutti. Tutti, anche il colonnello Radec. E lui aveva combattuto insieme a loro.
Dov’era Sarah?
Zoran era accasciato contro la parete della stanza. Poteva vedere il corpo di Radec in cima alla scalinata, in fondo, l’armatura ricoperta di bruciature e la pistola ancora stretta dalla mano. Si rialzò, respirando a fatica. Udì delle voci più avanti. Delle voci che urlavano. Qualcuno gridò un “NO!”, poi uno sparo.
Zoran zoppicò nella direzione opposta, intento ad andarsene da quell’inferno. Perché era quello che era. Red Dust era esplosa, ma almeno Radec era morto. E chi era stato appena ucciso? Uno degli ISA aveva gridato, ma era impossibile che Visari, da solo, avesse ucciso uno di loro. Quelli erano armati fino ai denti, si erano aperti la strada fin da Corinth. Erano fottutamente bravi.
Per fortuna lo erano. Visari era morto.
Si guardò intorno, nella stanza, ma insieme a lui c’erano soltanto cadaveri; avrebbe voluto rimanere lì a cercare la sua compagna, ma le lacrime già gli solcavano il viso.
Uscì dal palazzo e guardò in cielo, dove gli incrociatori ISA erano l’unica cosa ad essere rimasta intatta, o quasi. Lì, di fronte a lui, tutto era in fiamme. I corpi di decine di Hig giacevano a terra, crivellati o bruciati. O entrambe le cose.
Era l’inferno.

Ma qualcuno gli tese la mano: era Dorx, appena saltato giù da un Incursore ISA, pilotato da Kab. A bordo c’erano anche Sam e Manny; poi lo sguardo di Zoran incontrò il sorriso di Sarah, viva e vegeta.
-Ringrazia questi tre mercenari, ci hanno portati in salvo- disse Dorx, mentre faceva cenno al ragazzo di salire sull’incursore, diretto, ovviamente, all’Incrociatore ISA. Quando salì si mise subito di fronte a Sarah, accanto alla quale c’era un’altra ragazza, molto più giovane.
-Kara!- gridò Zoran, felice di aver ritrovato la sorellina, quindi la abbracciò.
-Andiamo a Vekta, vero?- gli chiese.
-Certo, andiamo a Vekta- le rispose, poi la lasciò e tornò a guardare Sarah. -Grazie- le disse di nuovo, intanto l’incursore ripartiva.
-Sono io che devo ringraziare te- disse lei, quindi gli mise le mani attorno al collo e gli diede un bacio. -Non avrei mai pensato che sarei fuggita davvero da quell’inferno.
-Fuggita?- fece Sam, seduto lì accanto, intromettendosi nella conversazione. -La guerra non è ancora finita, dobbiamo dare agli Helghast una bella lezione!- in molti risero, ma non Zoran. Ripensò a Jatran, che probabilmente era morto lì; lui era una brava persona, a differenza di quel che si era rivelato essere Vaqen. Ad ogni modo, prestò si tirò di nuovo su, o meglio, ci pensò Sarah.
Tornare a combattere o meno, ancora non lo sapeva. Ma intanto, la destinazione era Vekta.



Call of Duty

Operation Kingfish
From official Call of Duty live action short movie

John “Soap” MacTavish era seduto di fronte al piccolo tavolo in metallo, sul quale erano poggiati il suo M4A1, la sua M9 ed alcuni caricatori, come quello che aveva in mano e che stava riempiendo, un proiettile per volta. Nella piccola stanza buia, il rumore dei colpi inseriti nel caricatore risuonavano in modo quasi inquietante.
Il volto di Soap era impassibile, lo sguardo fisso sui proiettili rimasti in modo disordinato sul tavolo. A parte lui, in quella stanza c’era soltanto un uomo: il generale Shepherd. Al contrario del capitan MacTavish, che indossava soltanto una t-shirt nera, il generale era completamente in uniforme. Il suo volto si perdeva nel buio della stanza.
Con voce ferma, pronunciò soltanto una frase. –Comincia dall’inizio.
Gli occhi di Soap s’illuminarono di qualcosa che solo lui, in quel momento, poteva percepire. L’avrebbe fatta pagare ai responsabili, in un modo o nell’altro.

Karkonosze Mountains, in Ucraina, era quella la destinazione. Dopo essere atterrati con l’elicottero alla ZA prestabilita, il team della Task Force imbracciò le armi e si preparò all’operazione.
Operazione Kingfish, trovare (e uccidere) Makarov. Ma loro non conoscevano la sua identità.
Come al solito, Soap era equipaggiato di tutto punto, e non aveva rinunciato al suo fedele fucile d’assalto M4A1 con lanciagranate annesso sottocanna. Insieme al capitano Price, era l’unico della squadra ad avere il volto scoperto.
Corsero nel mezzo della foresta, facendo attenzione ad ogni minuscolo movimento. Arrivati in prossimità dell’obiettivo, si divisero, come previsto. Oltre il soldato che puntava il suo G36C verso gli alberi, Soap poté vedere il sergente Maxwell, equipaggiato con un Barrett calibro 50, e il suo spotter, Dowd, correre verso la cima del pendio. Entrambi indossavano una mimetica tipica da cecchino, che a prima vista sarebbe sembrata soltanto un mucchio di foglie cadute.
Il capitano Price superò MacTavish, avanzando velocemente ma senza provocare il minimo rumore. Anche lui imbracciava un M4A1, e scorgeva attraverso gli alberi nonostante il cappello gli coprisse metà del volto. –1-4-1, mantenete le posizioni- disse il capitano, rallentando il passo. Gli altri soldati iniziarono a guardarsi intorno. Dopo pochi secondi, attraverso gli auricolari di tutta la squadra, arrivò la risposta di Maxwell. –Abbiamo quattro obiettivi, sono sul tetto delle baracche a est e ovest- mentre comunicava le posizioni dei nemici, il cecchino puntava i bersagli con l’ottica del suo fucile di precisione; questi erano chiaramente uomini di Makarov, e tutti equipaggiati con AK-47.
Maxwell aveva designato la sua prima preda. Soffermò il mirino sul nemico, mentre con la mano guantata calibrava l’ottica del fucile per la distanza del tiro. –Bersagli agganciati- disse immediatamente dopo. –Delta è pronta a ingaggiare, chiudo.
Soap era ora fermo, come tutto il resto della sua squadra, l’occhio sinistro in linea con il mirino del fucile d’assalto, il volto ricoperto di perle di sudore, il respiro affannato. Sempre la stessa sensazione; pensava che ci si sarebbe abituato. Invece, ogni volta era la stessa storia. Ma fino ad ora non aveva mai fallito, no? Avevano ucciso Imran Zakhaev.
Ma ora doveva restare concentrato su Kingfish.
-Ricevuto, Delta, siete autorizzati all’ingaggio- fu la risposta da Baseplate. –Dipende tutto da voi, non mancateli.
Mentre loro erano lì sotto, un AC-130 (nome in codice: Baseplate, appunto) voleva sopra le loro teste, scansionando l’area con visuali termiche.
-Fuoco, fuoco, fuoco!- sussurrò Dowd, il binocolo attaccato agli occhi, sdraiato appena accanto a Maxwell. Pochi secondi dopo, dal Barrett del cecchino fuoriuscì una fiammata incredibile; il rinculo spinse indietro la spalla del sergente per appena un secondo.
Il soldato russo andò giù, come previsto, con un proiettile ben piantato nel cervello, sempre che non fosse passato oltre. Il corpo del soldato cadde dalla sporgenza, ormai senza vita. Immediatamente, Maxwell cambiò bersaglio. Premette ancora il grilletto.
Un altro colpo alla testa, un altro nemico a terra.
-È morto- confermò Dowd, che non aveva mai staccato gli occhi dal binocolo.
Un altro colpo ancora.
-Ne manca uno, vedi di colpirlo- fece ancora lo Spotter.
Morto.
-Spectre 6-4, siete liberi di ingaggiare- comunicò ancora una volta Dowd. Il loro turno era concluso, ora toccava all’artiglieri dall’AC-130.
-Qui Spectre 6-4, iniziamo. Facciamoli saltare in aria.
Soap alzò immediatamente lo sguardo al cielo. Un istante dopo, il cannoncino da 25mm dell’AC-130 emetteva una scia di proiettili distruttivi che andarono ad abbattersi sulla zona che i membri della Task Force avevano di fronte. Nonostante provenisse da molto in alto, il rumore del cannone si sentiva forte e chiaro, ma non quanto le esplosioni che provocava lì giù. Tra non molto sarebbero entrati in azione anche loro. Lanciò un’occhiata a Price.
Anche se loro da lì non li vedevano, i soldati di Makarov correvano disperatamente per il campo, e venivano puntualmente falciati dai proiettili da 25mm.
-Bel colpo, bel colpo- era sempre Spectre 6-4 a parlare.
I soldati russi corsero ai ripari. Negli edifici presenti nella zona decine di soldati di Makarov si avvicinavano alle finestre, pronti a sparare con i loro fucili o RPG. Un attimo dopo, molti di questi si ritrovarono all’altro mondo. Il proiettile da 105mm sparato dall’AC-130 era certezza di morte. L’edificio a due piani esplose letteralmente, con un boato tremendo, sparando fumo da ogni porta o finestra. Tutti morti.
All’interno dell’AC-130, l’uomo il cui nome in codice era Spectre 6-4 sorrise, scorrendo con la visuale termica. –Kaboom- disse all’auricolare. –1-4-1, vi forniamo copertura. Fateci divertire- aggiunse, inquadrando gli omini lampeggianti che stavano ad indicare i membri della Task Force 141.
Senza farselo ripetere due volte, la squadra avanzò. In testa al gruppetto c’era Price, seguito da Soap e poi dagli altri. Per ultimo c’era Ghost (o Simon Riley, per il capitano Price) a coprire loro le spalle, con ovviamente sempre indosso la sua maschera scheletrica e i suoi occhiali.
Avanzarono verso la copertura successiva, la parete di un edificio della zona est. Price falciò il russo che presidiava la zona con i proiettili del suo M4. I membri della Task Force si appiattirono contro il muro, aspettando l’ordine di ripartire. Price si mise la mano sull’auricolare, volgendo lo sguardo verso l’edificio dall’altra parte della zona.
-Spectre 6-4, sparate sulle baracche ad ovest- ordinò.
-Subito- fu la risposta, e un secondo più tardi l’edificio designato esplose, proprio come il precedente.
Non appena Price si sporse dal riparo, decine di proiettili si fiondarono su di lui; tornò immediatamente al coperto, mentre i colpi si schiantavano contro la parete, sferzando l’aria e sibilando. Soap, accovacciato accanto al capitano, prese un bel respiro e si fece avanti, l’M203 sottocanna carico a sparare la granata. Sparò, affumicando i nemici che bersagliavano il team 141.
Price ripartì immediatamente, uscendo dal riparo e seguito a ruota dagli altri. –Spectre 6-4, dateci un’entrata- ordinò, correndo col mitra puntato. Percorsero una ventina di metri, passando accanto ad alcuni ordigni esplosivi, finché non arrivò la risposta dall’AC-130. La risposta che fu semplicemente un colpo da 40mm, che mandò in frantumi la parete dell’edificio di fronte a loro, creando la loro entrata.
Questa volta era Ghost a correre in testa al gruppo. Svanì nel fumo dell’esplosione per spuntare di fronte ai soldati nemici, all’interno.
-Granata!- comunicò, e tutti gli altri si appiattirono contro le due pareti ai lati. Qualche urlo in russo, poi l’esplosione, e il soldato nemico piombò proprio di fronte a Soap e Price. Senza esitare, il MacTavish gli piantò due proiettili nel cranio. Alla sua sinistra, Ghost riprese a camminare, ispezionando il corridoio di destra. –Destra libero- disse, poi proseguì. Fece fuori altri due russi, poi girò l’angolo e si stoppò. –Tutto ok, libero!
Lasciò passare gli altri, tornando di nuovo in coda al team. Camminò lungo il corridoio all’indietro, nel caso fosse stato necessario coprire le spalle ai compagni.
Per le situazioni come questa, a Price bastava la sua pistola. Percorse il corridoio con passo moderato. Quando, dalla porta alla sua sinistra, spuntò un nemico pronto ad ucciderlo, si limitò ad afferrare la canna del suo fucile con la mano e ad alzarla, facendolo cadere all’indietro. Al suo passaggio, fu Ghost a tramortire il russo. Soap ne uccise un altro, con un colpo di M9 dritto in mezzo agli occhi.
Arrivati al bivio che dava sull’altro corridoio, i soldati si accucciarono contro la parete.
-Lancio una granata- disse Price, innescando il piccolo ordigno. Tirata via la spoletta, la lanciò.
L’esplosione fu il segnale. Si rialzarono ed entrarono nel corridoio. –Muovetevi- ordinò il capitano, mentre passavano in mezzo al fumo provocato dalla deflagrazione.
-È arrivata l’1-4-1- fece ancora Price, mentre uno dei soldati piazzava il C4 sulla parete e gli altri si posizionavano ai lati.
Boom.
Il muro esplose, spazzando i detriti verso l’interno della stanza e facendo fischiare le orecchie di tutti i presenti.
-9-Bang lanciata!- esclamò Price.
La speciale Flashbang in dotazione alla Task Force volteggiò nell’aria, per poi atterrare al centro della stanza presidiata dai soldati russi.
Come suggerito dal nome, nove bang, i soldati furono costretti a coprirsi gli occhi; un istante dopo seguirono altri “bang”, quelli dei fucili dell’1-4-1, che li uccisero immediatamente.
Ghost entrò per primo. Per sicurezza, sparò un altro colpo alla testa di uno dei tre soldati russi a terra. Nessuno notò la telecamera posizionata all’angolo della stanza che li osservava. –Libero- disse Simon Riley, mentre si accertava che fossero tutti morti.
A quel punto, anche Price entrò nella stanza, con la mano sull’auricolare. –1-4-1 è arrivata all’obiettivo. Non c’è traccia di Kingfish. Ripeto, non c’è nessuna traccia di Kingfish.
La risposta da Baseplate arrivò immediatamente. –Ricevuto, 1-4-1, raccogliete tutti i dati che potete. Se non è lì, scoprite dove sta andando.
Mentre sentiva questo dal suo auricolare, Soap guardava le foto appese alla bacheca nella stanza. Il Terminal.
-Price- chiamò, senza distogliere lo sguardo dalle foto che aveva davanti. –Questo devi vederlo- in alto a sinistra, c’era una foto con tutti i membri di una vecchia squadra. –Sta prendendo di mira Bravo-6- su tutti i membri c’era una “X” rossa. Tranne che su uno. Price.
I beep si facevano sempre più forti. Il C4 posizionato sotto al tavolo stava per esplodere. Soap avrebbe voluto gridare “E’ una fottuta trappola!”, ma non c’era tempo neanche per quello.
-Bomba!- si limitò a dire Price. –A terra!
Tutti si gettarono sul pavimento, il più lontano possibile dal tavolo.

Nella stanza buia, durante il racconto di MacTavish, Shepherd si era preso a sua volta una sedia e si era seduto alla sua destra, rivolto verso di lui. Si accendeva un sigaro, mentre Soap si voltò verso di lui.
-Era una trappola.
Il generale mosse il sigaro nell’aria, disegnando delle linee con il fumo. Senza smettere di guardare il sigaro appena acceso, disse semplicemente: –Lo so- si avvicinò il sigaro alla bocca, poi aggiunse: –Parlami di Price.
Soap aveva smesso di inserire i proiettili nel caricatore. Si voltò di nuovo verso il tavolo; chiuse gli occhi.

I membri dell’1-4-1 correvano a perdifiato tra gli alberi, in fuga dall’imboscata preparata per loro dal nemico. Quel bastardo sapeva del loro arrivo.
-Via, via, via!- gridava Price, poi chiese a Baseplate di atterrare per portarli in salvo.
Mentre la corsa per la salvezza continuava, l’AC-130 continuò a sparare proiettili da 40mm, facendo saltare in aria tutto il perimetro della prateria, e mettendo in salvo, almeno per il momento, 1-4-1.
Purtroppo per loro, però, alcuni dei russi erano muniti di RPG, e non esitarono ad usarli.
-Quello è un razzo?!- gridò Spectre 6-4. –Cazzo, spara i flare, spara i flare! FUOCO! FUOCO!
Non ci fu abbastanza tempo; l’ala destra dell’AC-130 era andata, e un altro razzo partiva dalle schiere degli uomini di Makarov. Il razzo passò sopra alla squadra in fuga e filò dritto verso l’AC-130.
-Oh, cazzo, un altro razzo, ne abbiamo un altro. Vira a destra, VIRA A DESTRA!
L’AC-130 esplose in una miriade di scintille e piccole palle di fuoco nei cieli sopra alla Task Force.
-Spectre 6-4 è a terra. Ripeto, Spectre 6-4 è a terra- ripeteva una voce femminile nei loro auricolari, ma non c’era alcun bisogno di dirglielo, quando l’AC-130 era esploso proprio sopra di loro. Ad ogni modo, i soldati continuarono a correre, nella speranza di riuscire a salvarsi.
-Continuate a correre!- gridò Price.
Soap era davanti a tutti gli altri, impegnato solo nella sua corsa contro la morte. Appena dietro di lui, il suo compagno faceva fuori i russi che cercavano di prenderli dai lati. Uno di questi russi, però, riuscì a sparare con un altro RPG.
-RPG!- gridò Ghost, ma era troppo tardi per fare qualsiasi cosa. Per fortuna il razzo non esplose molto vicino, ma Soap restò coinvolto nell’esplosione e rotolò a terra, avvolto dal fumo.
Immediatamente, tutta la Task Force si fermò. Uno dei soldati si accovacciò ed iniziò a sparare alla spalle del gruppo. –Fuoco di copertura!- gridò.
Nessuno voleva lasciare indietro il loro compagno. Nessuno l’avrebbe fatto.
-Muovetevi!- gridò un altro di loro, mentre altri due soccorrevano Soap, il volto ricoperto di sangue.
-Vai!- scandì Price, accovacciato accanto a Ghost per coprire i compagni –è un ordine!
-Cazzo!- urlò Ghost, alzandosi e andandosene, obbedendo agli ordini.
Mentre Soap veniva trascinato via, con sempre più sangue sul volto, riuscì a vedere Price farsi sempre più lontano. Il capitano era rimasto lì, accovacciato, per coprire la loro fuga. Uno ad uno, faceva fuori tutti i russi che tentavano di avvicinarsi. La vista di Soap iniziò ad annebbiarsi.
Poi sentì il metallo sotto al proprio corpo. Lo stavano portando a bordo, solo ora si accorse del rumore delle pale che giravano. Un elicottero era venuto a prenderli, e loro stavano per andarsene. Ma Price era lì, era ancora lì in mezzo ai russi che non finivano più.
Soap tentò di rialzarsi e correre di nuovo lì, per salvare il suo capitano, ma non aveva abbastanza forze. Il soldato che l’aveva portato in salvo lo lasciò a terra e afferrò la spalla al pilota, furioso.
-No, abbiamo ancora un uomo lì fuori!- esclamò, ma fu ignorato. Gli ordini erano ordini, e i piloti avevano ricevuto l’ordine di andarsene immediatamente di lì.
Mentre alle sue spalle il soldato e il pilota gridavano l’uno contro l’altro, Soap tirò su la testa. Finalmente riuscì a tirar su anche il resto del corpo, ma ormai era troppo tardi. Ghost lo spinse sul sedile, impedendogli di fuggire. Intanto il pilota ancora litigava con l’altro soldato. Diceva qualcosa riguardo agli ordini, diceva che dovevano partire, e mentre diceva questo, l’elicottero decollava.
Soap gridò, allungò la mano verso il portello posteriore che si chiudeva. Ad un tratto, non vide più Price. Il portello si chiuse del tutto, ma lui ancora gridava e si dimenava.
Lì fuori, il capitano venne colpito. Cadde sull’erba, dolorante, ma ancora non si arrese. Tirò fuori la pistola e, da terra, continuò a falciare i russi in arrivo.
L’elicottero di soccorso era ormai decollato, e Price ancora sparava gli ultimi colpi. Alla fine, dovette arrendersi. Rimase steso a terra, mentre decine e decine di soldati russi correvano verso di lui imbracciando i loro AK-47.

Soap riaprì gli occhi. Ora a Shepherd era chiaro perché fosse tornato con una cicatrice lungo tutta la faccia. Si tolse il sigaro dalla bocca e guardò MacTavish. -È tutto?- chiese, fissando il nuovo capitano della TF141.
Soap sbatté entrambi i pugni sul tavolo di metallo, facendo saltare tutti i caricatori e i proiettili rimasti sopra ad esso.
-CHI È KINGFISH?!- chiese, con rabbia, volgendo lo sguardo verso Shepherd. Il generale gli lanciò un fascicolo sul tavolo, con una foto spillata sul davanti.
-Lo prenderemo- disse, osservando ancora il capitano.
Soap estrasse il coltello e lo piantò nella foto di Makarov.

franzau96
04/02/2013, 07:17
Prenoto post per Bit Chronicles

franzau96
04/02/2013, 07:17
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