E’ da un po’ che si sente rimbalzare, nel “mondo videoludico”, questa idea. Quella del puro non-sense dell’utilizzo del termine “indie”, se non in termini di massima genericità e superficialità. In primis, sul tanto acclamato Edge, ma, senza scomodare tanta imponenza e rimanendo nel nostro piccolo, pure nell’intervista che ebbi la fortuna di fare all’ottimo Massimo Guarini, attualmente al lavoro su un titolo PlayStation 4, ancora da svelare, con Ovosonico. L’alba dei tempi (e degli indie) Ma facciamo prima un po’ di storia. Fenomeno principalmente riguardante il mondo PC, dal 2007 i titoli “indie” – terminologia che, avrete capito, non ci convince ma su cui torneremo in seguito – sbarcano anche su console. Su console PlayStation. FlOw di thatgamecompany, Everyday Shooter di Queasy Games, i PixelJunk di Q-Games, poi Braid, fanno quasi gridare al miracolo: finalmente i Call of Duty sono messi a tacere, e questo sistema di self-publishing, o quasi, permette agli sviluppatori di dare piena libertà alle proprie idee, senza dovere obbedire a logiche di mercato per via dei budget ristretti di cui si servono. Arrivano poi i Flower, i Velocity, i Limbo, i Papo & Yo, i Journey, i Dust: An Elysian Tail, gli Hotline Miami e tanti, tanti altri, fino ad arrivare al recentissimo Shovel Knight, ad esempio, che ho estremamente apprezzato e che, non a caso, se la giocava, alla sua uscita, con Bloodborne, per il Metascore più alto su PlayStation 4. Il fenomeno “indie” sembra non avere limiti, non conosce freni, e i publisher stessi, come Sony, Microsoft e Nintendo, ci scommettono tantissimo sopra, dedicando sezioni intere delle proprie conferenze – E3 o GamesCom, non importa – a questa tipologia di videogiochi. Poi però hanno cominciato ad arrivare i Project Root. E gli Infinity Runner. E i Toren. E gli Wander. Emmobbasta. Titoli sviluppati spesso da incapaci, da non addetti ai lavori, da sviluppatori a tempo perso, magari con le migliori intenzioni del caso (un po’ come la Nazionale delle isole Far Oer: falegnami prestati al calcio, di cui non discutiamo la professionalità… Anzi, un po’ sì). Ma, da che mondo è mondo, la Storia non si fa con le buone intenzioni. Individui sprovvisti di qualsivoglia forma di realismo, intenzionati a cavalcare l’onda del “Tanto ormai un videogioco è capace di allestirlo anche una scimmia urlatrice, dunque proviamoci anche noi”, ma destinati ad amare delusioni. Per nostra fortuna il fenomeno si sta ridimensionando, o meglio logicizzando, e i Project Cars, i The Witcher 3: Wild Hunt e i Batman: Arkham Knight stanno finalmente tornando al ruolo che gli compete, dopo che in tempi recenti il mercato è stato decisamente saturato da “giochini” di infima qualità. L’equilibrio del mercato videoludico si sta riassestando, e in ottica futura sembra in grado di soddisfare sia chi voglia titoli ad alto che a basso budget, con tutte le conseguenze che la cosa può comportare.

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