Dying Light 2: Stay Human – Recensione

Sviluppatore: Techland Publisher: Techland Piattaforma: PS5 (disponibile anche per PS4) Genere: Azione/Avventura Giocatori: 1 (Online: 2-4) PEGI: 18 Prezzo: 69,99 € Italiano:

Dopo un lungo e travagliato sviluppo durato sei anni e qualche rinvio di troppo, finalmente Dying Light 2: Stay Human è arrivato nelle mani di tutti gli appassionati che lo aspettavano ormai da tempo. L’interesse attorno a questa prima uscita di febbraio – la prima di una lunga serie – dimostra quanto l’utenza sia rimasta affascinata dalla prima esperienza nei panni di Kyle Crane con Dying Light e Dying Light: The Following. Grazie a Techland, siamo riusciti a mettere le mani sul gioco e portarvi la nostra recensione di questo sequel, travagliato ma meritevole.

La strada del pellegrino

Sono passati quasi vent’anni dalle vicende di Harran, la città-stato turca in cui i giocatori toccavano con mano per la prima volta il devastato mondo di Dying Light. Da allora, la variante del morbo che ha trasformato gli umani in zombi ha continuato a diffondersi, costringendo i sopravvissuti a convivere con questa disgrazia. Dying Light 2: Stay Human pone l’accento sui cambiamenti che la catastrofe ha portato all’interno della società, sul come è cambiato il mondo dopo vent’anni di adattamento a una realtà fatta da uomini e creature mutate. Una civiltà, quella di Dying Light 2, che ha dovuto prendere atto di quanto accaduto e regolarsi di conseguenza, che d’altronde è caratteristica propria del genere umano.

Superato il prologo, volto a farci prendere confidenza con il pad, cominciamo a spulciare pian piano l’identità del nuovo protagonista. Aiden è un pellegrino, che dopo aver vagato in lungo e in largo per migliaia di chilometri torna a Villedor spinto dalla voglia di ritrovare sua sorella Mia, della quale non sa più nulla da quindici anni. Tramite un contatto riesce a ottenere una chiave del GRE e a entrare nella prima porzione della città che il gioco ci mette a disposizione. Il mondo di gioco, infatti, è gestito in due aree separate: la Old Villedor e la Linea Centrale. La prima ci farà compagnia per una buona parte delle missioni principali mentre, la seconda, la sbloccheremo soltanto dopo aver trovato il modo di arrivarci in seguito alle vicende portate avanti dalla trama.

Un compito arduo

Giudicare la trama di Dying Light 2 non è semplicissimo. Essa, tolti alcuni riferimenti meno importanti, è completamente staccata dalla storia del primo gioco, in modo da rendere il prodotto fruibile anche a quei videogiocatori che non hanno potuto recuperare il capitolo originale. E’ innegabile che, di base, il prodotto sia fortemente aggrappato alla sua componente narrativa, e l’impegno di Techland in questo senso si percepisce chiaramente con una caratterizzazione dei personaggi non banale e linee di dialogo quasi sempre coinvolgenti. La conferma di quello che stiamo dicendo la ritroviamo nelle missioni secondarie che, pur consumandosi in maniera molto simile tra di loro, riescono a coinvolgere e a fissare bene nella mente del videogiocatore alcuni personaggi.

Ritornando alla trama principale, però, il problema è che molto spesso dovrete prendere per buone le informazioni che vi verranno fornite, senza porvi ulteriori domande. Questo perché i collegamenti fra i diversi eventi e persino la stessa motivazione che spinge Aiden ad attraversare mari e monti danno sempre la sensazione di non convincerci abbastanza. Pur presentando numerosi cliché e nonostante la nostra diffidenza nelle prime ore di gioco, Dying Light 2 ha saputo catturarci il giusto; la trama restituisce troppe volte un senso di incompiuto ma regge grazie ad alcuni colpi di scena e a momenti altamente efficaci.

Lasciano con l’amaro in bocca le conseguenze delle nostre scelte che non sembrano mai incidere più di tanto sul mondo di gioco, rispetto a quanto ci aspettavamo. Scegliere di appoggiare i Pacificatori o i Sopravvissuti ci permette di spostare l’allineamento della città, ma quanto incide? Poco, pochissimo. Probabilmente le fazioni facevano parte inizialmente di un disegno molto più complesso, mutato poi in corso d’opera in seguito alle vicende accadute.

Open world, e che open world!

Squadra che vince non si cambia, come si suol dire, e Techland in questo senso ha sfruttato sapientemente i punti di forza del suo primo capitolo per sorreggere un’impalcatura ludica che è il vero fiore all’occhiello di quest’opera. Quello che ci fa dimenticare, per un momento, tutti i problemi. I soliti stereotipi che capita sentire sugli open world vengono completamente smentiti in Dying Light 2, grazie a un mondo divertente da esplorare, innumerevoli attività secondarie e la possibilità di cambiare (solo superficialmente) la conformazione della mappa.

Come per il suo predecessore, le fasi esplorative di Dying Light 2 sono un riuscitissimo mix fra Assassin’s Creed e Mirror’s Edge, con un mondo di gioco fortemente ispirato e un level design curatissimo – e ci mancherebbe! – per sfruttare al meglio il parkour. A questa meccanica è rivolto proprio un albero di progressione a sé stante ideato proprio per espandere ancora di più le capacità del protagonista. A tutto questo, poi, si aggiungono un’infinità di oggetti recuperabili in ogni angolo della mappa. Dopo una quindicina di ore a saltare da un tetto all’altro nei quartieri di Old Villedor, ci sposteremo verso i grattacieli della Linea centrale e scopriremo due nuovi strumenti: il parapendio e il rampino. Entrambi consentono, nel bel mezzo dell’avventura, di movimentare ancora di più il gameplay e di ammortizzarne la ripetitività.

Ripetitivo, comunque, non un termine che ci piace usare troppo. Come già accennato le attività nella mappa sono innumerevoli, dalle anomalie del GRE ai semplici piccoli eventi, passando per la riattivazione di strutture chiave come le centrali elettriche, le torri dell’acqua e i mulini. Ogni quartiere ha il suo bel numero di punti di interesse, ognuno con piccole variazioni nel gameplay che contribuiscono a rendere il tutto meno simile. Con progressione del personaggio, raccolta di materiali e crafting troviamo anche una manciata di elementi ruolistici neanche eccessivamente insistenti.

Zombi, umani e randellate

Come nel primo capitolo avremo a che fare principalmente con nemici ormai infetti che non vedono l’ora di ucciderci. Il giorno è notoriamente la parte più tranquilla della giornata mentre, nella notte, dovremo essere silenziosi e non farci beccare da un urlatore pronto a scatenarci contro un’orda di infetti. Con il buio assistiamo anche a un cambiamento delle attività da svolgere sulla mappa, ma l’impressione è che l’ansia dell’esplorazione notturna del primo Dying Light sia stata in parte persa. Di notte, stavolta, dovremo stare attenti anche a mantenere alta l’immunità di Aiden; sì, il protagonista è infetto e non può restare troppo tempo lontano dalle luci UV, altrimenti sarà game over. Insomma, siamo stati abbastanza sintetici su questo aspetto, ma ciò che deve essere chiaro è che il gioco riesce a divertire e, ribadiamo, a offrire un open world riuscitissimo.

Altra nota più o meno dolente dell’opera (spoiler: non sarà l’ultima) è il sistema di combattimento. L’assenza di armi da fuoco – ovviamente – ci porterà a usare randelli, asce e tanto altro per affrontare faccia a faccia i nostri nemici in duelli all’ultimo sangue. Un buon numero di abilità che, come per il parkour, hanno un proprio albero di progressione, movimentano l’esperienza mettendo a disposizione alcune sfiziose combo. Ad arricchire queste fasi si aggiungono le armi da lancio, le armi a distanza e la possibilità di buffare in vari modi la nostra arma principale. Peccato che ogni arma si logori fino a rompersi, senza alcuna possibilità di essere recuperata.

In fin dei conti, il combat system si è evoluto praticamente pochissimo. Le fasi in cui saremo chiamati a lottare risultano veramente basilari con le classiche azioni di parata e schivata e poi via di legnate sui nemici. Anche l’I.A. ci mette del suo, con i nemici umani che aspettano il loro turno per attaccare uno alla volta e che eseguono quasi sempre le stesse mosse. Sostanzialmente gli approcci sono due: contro gli umani è conveniente aspettare, dare un colpo e allontanarsi mentre con gli zombi (mostroni a parte) è più appagante attaccare all’impazzata, stando sempre attenti al vigore. Insomma, le fasi di combattimento restano comunque divertenti, ma il passo in avanti rispetto al suo predecessore, di fatto, non c’è.

Dolore, immenso dolore

Ed eccoci arrivati all’aspetto più deludente riscontrato durante la nostra analisi di Dying Light 2: il comparto tecnico. Innanzitutto, bisogna distinguere bene due cose; da un lato troviamo un prodotto fantastico dal punto di vista stilistico, dall’altro una realizzazione tecnica non in linea con le produzioni di pari livello su PlayStation 5. Ci aspettavamo una grafica profondamente ancorata alla natura cross-gen del titolo, ma non così tanto.

Su PlayStation 5 abbiamo la possibilità di scegliere fra tre modalità: Risoluzione, Qualità e Prestazioni. La prima garantisce una risoluzione 4K a 30 fps e le ultime due rispettivamente 1080p a 30 fps con ray tracing su luci e ombre e 1080p a 60 fps senza ray tracing. Una volta provati i sessanta frame al secondo è stato difficile giocare con le altre due modalità, tant’è che nelle nostre cinquanta ore di prova totali abbiamo praticamente usato sempre la modalità Prestazioni.

Il prezzo da pagare, però, è stato davvero alto. In cambio di un frame rate granitico e di una fluidità assolutamente necessaria per il tipo di esperienza, la qualità dell’immagine subisce un contraccolpo non indifferente. Sfocatura eccessiva, texture di bassa qualità e un po’ di difficoltà nel distinguere bene gli elementi in lontananza non fanno di certo parte di questa generazione di console. Su PlayStation 4 e PlayStation 4 Pro Dying Light 2 si comporta tutto sommato bene, girando a 900p sulla prima e a 1080p sulla seconda, entrambe a 30 fps.

Buono anche il comparto audio, che accompagna bene il gameplay. La localizzazione in italiano, come già saprete, è solo sui testi. La mancanza del doppiaggio nella nostra lingua – presente nel primo capitolo – non pesa più di tanto sulla godibilità dell’opera.

Trofeisticamente parlando: cinquecento ore… no aspetta!

Non serviranno, forse, le cinquecento ore dichiarate in fase di lancio per platinare Dying Light 2: Stay Human. Ne basteranno circa ottanta per ottenere ogni trofeo e completare quasi tutte le attività che l’opera mette a disposizione. I collezionabili da trovare sono tantissimi (ci sono due mancabili proprio nella prima ora di gioco) ma non ci sono trofei relativi alla difficoltà. Come nel precedente capitolo, la componente multiplayer cooperativa permetterà di completare la storia insieme ad altri tre amici. Ovviamente, sono presenti dei trofei ottenibili solo in questa modalità! A breve sarà disponibile la guida ai trofei completa sul nostro forum.

VERDETTO

Se il primo Dying Light era un piccolo capolavoro in grado di definire un nuovo modo di vedere i videogiochi a tema zombi, questo seguito si aggrappa a quelle basi solide aggiungendo alla formula davvero poco. Non è un male, ma le aspettative erano ben altre. Dying Light 2: Stay Human merita comunque tantissimo perché offre ore e ore di divertimento vero e una trama che recita la sua parte (anche se con palesi magagne). Dall’altro lato, però, abbiamo un comparto tecnico pesantemente old-gen anche su PlayStation 5, un sistema di combattimento fin troppo semplice e quella sensazione di incompiuto che lasciano l’amaro in bocca. Badate bene, un sette non è né una punizione, né una bocciatura. Volendo i più appassionati possono alzare tranquillamente il voto di un punto, consapevoli di trovare un "more of the same" con qualche piccola novità.

Guida ai Voti

Salvatore Terlizzi
Scopre i videogiochi con Monkey Island e Indiana Jones, per poi rimanere legato a vita al genere delle avventure grafiche. Grazie a PlayStationBit scopre, quasi per caso, la serie Yakuza e finisce per innamorarsene. Ha ancora l'immenso piacere di farsi sorprendere da un settore in continua evoluzione. Ehi guarda laggiù! Sisi, c'è una scimmia a tre teste...