Ash of Gods: Redemption – Recensione

Sviluppatore: AurumDust Publisher: Buka Entertainment Piattaforma: PS4 Genere: Strategico Giocatori: 1 PEGI: 16 Prezzo: 29,99 € Italiano:

Una storia di spade, sangue e cenere, di cruda realtà medievale mista ai classici fantasy. Poteri divini, vessilli che garriscono al vento, uomini valorosi e banchetti dei corvi sono all’ordine del giorno in Ash of Gods: Redemption, peculiare creazione di AurumDust, un’unione tra videogioco e romanzo, a metà tra The Banner Saga e un gioco di carte. Un’approfondita componente strategica mista a dialoghi e grafica da visual novel fanno di Ash of Gods un ibrido di tutto rispetto, anche se il risultato della miscela finale ha qualche controindicazione.

Ash of Gods: Redemption

La spada nella roccia

Ambientato nel mondo di fantasia Terminus, basato sulla geografia medievale europea, la storia ci fa vestire panni e armature di tre diversi eroi, un tempo Umbra, alle prese con una calamità nata settecento anni prima, la Mietitura. I particolari effetti di questa minaccia la rendono simile a un’epidemia di pazzia e sete di sangue, che colpisce indistintamente tutte le persone non munite della limitata magia degli Strix. Lo scenario perfetto, per le creature immuni, per seminare panico e distruzione e conquistare le terre di Terminus. I tre protagonisti, Thorn Brenin assieme a sua figlia Gleda, Hopper Rouley e Lo Pheng, affronteranno a modo loro la Mietitura in scenari distinti, dalle ambientazioni e dai ritmi narrativi diversi.

La storia in generale è ben concepita; seppur di tanto in tanto cada nei cliché, risulta estremamente godibile per la sua dettagliata scrittura e per la personalità degli scenari, anche se alcuni spiccano più di altri. La più curata è forse quella di Thorn. E’ tangibile il rapporto profondo che ha con sua figlia e la stima reciproca tra lui e i suoi soldati, rispetto tuttavia soggetto alle numerose scelte che ci accompagneranno per l’avventura. Per tutte le diciotto ore circa di eventi, in base alle circostanze, ogni scelta che effettueremo avrà un peso effettivo (la meccanica è dallo scheletro migliore rispetto ai giochi Telltale, dove invece ogni scelta conduceva allo stesso finale o quasi). Una mossa inutile e sconsiderata può far ferire le nostre truppe, causando infortuni che avranno anche un peso in battaglia e, con il loro susseguirsi, potranno portare alla dipartita dei protagonisti. Ma anche a quel punto non sarà game over, the show must go on. La specialità di Ash of Gods è appunto l’inclusione di un continuum, di una storia alternativa in caso di morte dei protagonisti, un’idea brillante ma difficile da conseguire, e gli ostacoli su cui gli sviluppatori sono incappati ne sono la prova. L’accoppiata tra troppa ambizione e poca forza lavoro non porta mai a nulla di buono, e infatti tutte le storie che seguono questo apocalittico filo narrativo risultano poco curate, scontate e snaturate. Un gran peccato.

Ash of Gods: Redemption

I problemi di scrittura affliggono, tuttavia, anche la storia di Lo Pheng, assolutamente godibile ma visibilmente non al passo con le altre. Resta comunque magico potersi accampare durante il viaggio per parlare con i propri soldati e determinare dalle discussioni – di cui, ancora, avremo potere decisionale – il morale del gruppo e il rendimento in battaglia dei soldati. Il concept narrativo calza a pennello con la struttura di gioco, cupo e cruento al punto giusto, anche se proprio le suddette tematiche rendono più pesanti da digerire le migliaia e migliaia di dialoghi, che premiamo per la cura nel dettaglio, ma la quale prolissità evidenzia la caratterizzazione superficiale di molti personaggi secondari. La componente narrativa è sicuramente la punta di diamante di Ash of Gods: Redemption, che premiamo per l’impegno e per le ambizioni, ma che rimane vittima delle stesse.

Comincia a pregare

Non solo per il comparto narrativo, anche per il gameplay la parola chiave durante lo sviluppo è stata “osare”. Cupidigia che, allo stesso modo, non ha portato a nulla di buono. Chiunque metta mano al gameplay di Ash of Gods: Redemption vedrà riflettersi sullo schermo The Banner Saga, Fire Emblem o XCOM, anche se in versione un po’ più risicata. Navigheremo tra i punti di interesse del mondo dalla mappa, decidendo una tra le destinazioni proposte e spendendo punti Strix tra una marcia e l’altra verso l’obiettivo, valore da tenere in considerazione per non perdere membri del proprio party. Tra un viaggio e l’altro, oltre alla possibilità di accamparci per parlare con i nostri compagni, è possibile imbattersi in eventi casuali, tra personaggi incontrati, mercanti giramondo da cui acquistare oggetti e magie da equipaggiare ai soldati e battaglie da vincere.

Pena e panico

Proprio parlando delle battaglie, il paragone con Fire Emblem è inevitabile. Con una visuale dall’alto, muoveremo le nostre truppe su una scacchiera una alla volta con un rigido sistema a turni. Saremo noi a decidere chi muovere prima e chi dopo, ma nonostante la semplicità di questo concetto la sua esecuzione sarà tutt’altro che intuibile. E’ impossibile con l’HUD individuare chi ha già svolto il proprio turno nel round, una mancanza che va a braccetto con il terrificante sistema di puntamento per la versione PlayStation 4. Il DualShock 4 non è per nulla ottimizzato per il gameplay di Ash of Gods, che sembra rimappato con strumenti di fortuna per console.

I comandi non sono per nulla trasparenti, anche muoversi ed eseguire semplici attacchi può rivelarsi una tortura a causa dell’inadeguatezza degli indicatori a schermo. Lo spoglio tutorial fa sì che non ci si focalizzi sul costo delle tecniche speciali né offre panoramiche sulle capacità dei singoli soldati – che ne hanno, e anche troppe. Essenzialmente in battaglia tutti i soldati dispongono di una barra della vita e una dell’energia (o stamina) che si completano a vicenda; ogni nostro colpo potrà essere indirizzato a scelta a una delle due barre con effetti e conseguenze diverse, ma degna di menzione è la possibilità di svuotare la barra dell’energia e infliggere ai nemici danni aggiuntivi e impedirgli di utilizzare determinate abilità.

Le abilità in questo gioco prevengono l’abuso di attacchi speciali grazie a un ingente (ma proprio enorme) prezzo da pagare in HP per infliggere danni doppi o tripli, al punto che li si dovranno usare solo in situazioni disperate o per chiudere completamente uno scontro. Nonostante ci siano numerosi tipi di abilità, tra contrattacchi, respinte, difese e attacchi disperati, le skill saranno sempre un’arma a doppio taglio, una scelta di game design che troviamo un po’ esagerata, ma saggia e capace di alzare i livelli di difficoltà nella strategia. Una scelta che va a compensare ciò che si lascia alle spalle l’intelligenza artificiale.

Ash of Gods: Redemption

Vale la menzione, ma solo per dovere di cronaca, alla spoglia e bistrattata meccanica delle carte. Intrigante nel concetto l’utilizzo di carte magiche in battaglia, capaci di stordire o ferire tutti i nemici o di curare e proteggere gli alleati, ma le cui migliori, oltre a consumare un prezioso turno come le comuni, saranno accessibili solo nelle fasi più avanzate delle battaglie. Proprio quando non vi serviranno più. Raramente ci si ritroverà a sacrificare un turno per usare una carta. Ogni struttura di gioco che va oltre l’attacco e la difesa diventa un azzardo. Segnaliamo, inoltre, una certa lentezza generale in battaglia; forse complici le animazioni particolari, i movimenti dei personaggi sono estremamente legnosi e per nulla adatti a un vero scontro tra più eserciti. Il timer per ogni mossa avrebbe dovuto incentivare la velocità degli scontri, invece dà circa cinque minuti a turno.

Dona un soldo al tuo Umbra

Tra i pregi e i difetti di natura tecnica di Ash of Gods: Redemption rientra in una categoria a parte il comparto sonoro, forte di musiche stratosferiche composte nientemeno che da Krzysztof Wierzynkiewicz, Adam Skorupa e Michał Cielecki, compositori delle più iconiche soundtrack di The Witcher e Max Payne. Le tonalità delle musiche si adeguano a ogni contesto, in particolar modo in battaglia, anche se alcune tracce spiccano più di altre. Non siamo ai livelli di, appunto, The Witcher, ma il sonoro fa la sua sporca figura. Per quanto riguarda l’aspetto grafico, lo stile si rifà a The Banner Saga, ciononostante risulta agrodolce. Le animazioni sono particolari, ben curate e disegnate in maniera impeccabile, eppure la loro velocità sembra avere qualcosa che non va. Che sia una scelta voluta o meno, non ci ha fatto impazzire.

Le ambientazioni soffrono degli stessi alti e bassi. Si passa da scenari ispirati, colorati ed evocativi a paesaggi spogli e dalle tonalità spente, per nulla all’altezza del resto del quadro. Molto buono il character e l’art design in generale, curato nei particolari anche nei personaggi secondari.

Trofeisticamente parlando: la vera Mietitura

La difficoltà del gioco, se non si misurano bene i singoli passi, è certamente alle stelle, ma l’esperienza diventerà ancora più tragica se punterete al Platino. Trentotto coppe di bronzo, cinque d’argento e tre d’oro castigheranno il vostro cammino fino al trofeo magno, con richieste assurde, disparate e disperate. Secondo il set di trofei, la caccia al Platino è punitiva e, in tutta onestà, mina l’esperienza di gioco originale. Basti pensare a dover finire il gioco senza mai usare una carta, mai perdere una battaglia, uccidendo o derubando tutti i mercanti e senza mai far combattere Gleda. E, come se non bastasse, sono tantissimi i trofei legati alla storia che vi costringeranno a ripetere più volte il gioco. Poi c’è l’assurdo trofeo (non ottenuto da nessuno al mondo, mentre scriviamo) che richiede di uccidere nella storia tutti i personaggi possibili. Insomma, è chiaro, Ash of Gods: Redemption è il peggior candidato per una sana caccia ai trofei. O magari la sfida definitiva. Un Platino da incubo.

VERDETTO

Ash of Gods: Redemption è un prodotto agrodolce. Riesce in tutto quello che fa, ma non risalta in nulla. La narrativa è forte e matura, ma è lenta e tende a scoprire il fianco a svariati buchi e incongruenze, nonostante la caratterizzazione, quantomeno dei protagonisti, sia alle stelle. Il gameplay è arduo e frustrante, tra difficoltà generale e di puntamento con il controller, ricco di elementi, sì, ma tutti snobbabili. Un gioco da tenere d'occhio, ma con le dovute aspettative.

Guida ai Voti

Andrea Letizia
Cresciuto a pane, Kamehameha e Crash Bandicoot, inglesizzato grazie a Kingdom Hearts. Grande amante degli action RPG e dei platform, dei cani e del wrestling.