Bastò una fugace occhiata a quel procione con abilità antropomorfe dal grilletto facile per catturare l’attenzione del pubblico alla gamescom 2017. Da allora, Biomutant parve giocare a nascondino con gli appassionati, mostrandosi a pizzichi e bocconi per poi sparire dai radar della stampa e di internet. Una situazione problematica protrattasi all’incirca fino all’uscita stessa dell’action RPG che segna il debutto di Experiment 101 nell’industria, dopo oltre tre anni di gestazione. Abbiamo allora deciso di modificare il nostro codice genetico e catapultarci nel Nuovomondo per carpire i suoi punti di forza, le sue incongruenze e le sue potenzialità.
Apocalisse mutante
Il rigoglioso e luminoso mondo di Biomutant è sull’orlo dell’apocalisse, la seconda a volere essere precisi. Se in passato la Toxanol Corporation perpetrò una serie di azioni scellerate sgretolando per sempre il Mondo che fu, nel presente si annida una piaga altrettanto minacciosa. L’Albero della Vita al centro del Nuovomondo sta progressivamente morendo, soffocato da tribù di mutanti in guerra fra loro e dai quattro Mangiamondo lungo i suoi rami più lunghi. Come prevedibile, toccherà al nostro smemorato alter ego sconfiggere le abominevoli creature e, nel frattempo, riunire le popolazioni per debellare il pericolo incombente. In alternativa potrà preferire la vittoria di una sulle altre accelerando i catastrofici eventi. Il destino di tutti è infatti nelle mani del giocatore e nelle scelte che compirà nel corso della campagna principale.
Sin dal principio viene messo di fronte a dei bivi, come la scelta tra la luce o l’oscurità o ancora quella di una fazione su quelle rivali. Potremmo avvicinarci ai Jagni, temibili guerrieri con l’obiettivo di lasciare l’albero secolare ai mostri, o ai Miriadi se perseguiamo ideali pacifisti. L’opera di Experiment 101 mette in campo vari nodi narrativi, dal passato del piccolo procione alla scoperta del disastro che cambiò la realtà precedente, dal cammino dell’eroe al futuro del mondo attuale, senza però trovare mai un buon equilibrio tra le parti. La memoria perduta del Nostro riaffiora a poco a poco tramite i racconti dei comprimari e alcuni flashback interattivi, intrecciandosi con la trama in maniera confusionaria, come simili possono apparire le decisioni da prendere: poche saranno quelle concretamente impattanti, tante si riveleranno invece effimere.
Un dualismo congestionato di favola e drammatico scenario post-apocalittico permea Biomutant, sospeso fra questi due temi, incapace di propendere per l’uno o l’altro, per un target di soli giovanissimi o di giovani adulti. Animali dalle capacità umane, termini fanciulleschi e frasi al limite del didascalico propendono verso un immaginario adatto ai più piccoli, eppure i connotati dello scenario apocalittico e serioso sembrano scontrarsi senza trovare mai un degno bilanciamento. Non aiuta la presenza di una voce narrante esterna dal taglio teatrale, onnipresente nelle fasi esplorative come in quelle di dialogo. Queste ultime sono sempre a senso unico – il protagonista è muto – con le parole della creatura parlante tradotte dalla voce fuoricampo. Uno stratagemma che spezza ogni accenno di ritmo, raddoppiando i tempi per concludere una conversazione.
Procioni sfrenati e confusi
Biomutant si apre sull’editor di creazione del nostro simil procione geneticamente modificato. Facendo propri gli stilemi dei giochi di ruolo classici, gli autori hanno imbastito un menù totalmente ad appannaggio del giocatore. Si inizia con la possibilità di cambiare il DNA privilegiando una statistica sulle altre, optando per una classe in particolare tra le sei disponibili. L’indecisione fertile dell’utente viene tuttavia a perdere di senso quando si apre l’opportunità di potenziare un’abilità specifica, ribaltando eventualmente la decisione precedente. Se anche di tale aspetto potrebbe giovarne la rigiocabilità, bisogna considerare che la progressione a livelli e lo sblocco di poteri vari rende ogni personaggio un potenziale tuttofare. Il nostro Sabotatore per esempio – specializzato nelle armi a due zampe – si è avvicinato agli Psicofolli, imparando a padroneggiare talenti magici ogni oltre limite.
Nell’apprendere le dinamiche di Biomutant bisogna tenere a mente vari parametri. Le resistenze, ovvero cinque valori legati alla permanenza in una zona a rischio, come quelle radioattive o senza ossigeno. La componente di pericolo rischia però di perdersi tra equipaggiamento modificato e punti Bio spesi, ottenendo percentuali di resistenza parecchio alte. Parliamo poi dell’Aura, un parametro riguardante l’orientamento verso la luce o l’oscurità. L’idea si traduce in due valori numerici che poco hanno a che vedere con il nostro animo gentile o malvagio, aiutandoci semplicemente a ottenere poteri psionici. Buono il sistema di crafting, che gioca con la fame di esplorazione del giocatore invogliandolo a cercare o a comprare presso appositi mercanti cianfrusaglie da tramutare in pezzi di armi o armature.
Approntate le nostre armi e la nostra corazza, ci catapultiamo alla scoperta dei sette distinti biomi che compongono il quadro open world di Biomutant. Lande desertiche, sotterranei e praterie verdi dai contorni fin troppo definiti tracciano i contorni di un quadro statico, senza possibili interazioni. Come per altri capostipiti del genere, non mancano tanti luoghi su cui investigare, seppure racchiusi in una cornice troppo ampia da riempire degnamente. Il sistema di combattimento risponde positivamente ai canoni degli action RPG, risultando frenetico e abbastanza vario seppure poco appagante. Nel mix di proiettili, botte e poteri manca sempre una certa fisicità dei colpi assestati o subiti. Si ha, insomma, l’impressione di mancare l’avversario, pur colpendolo in piena faccia.
Scorci di un quadro che fu
Così come i titoli più blasonati, anche Biomutant vive di compromessi continui. Con il budget a disposizione, il team di THQ Nordic ha saputo infondere una buona cura nei dettagli, dalle battaglie con i boss, al character design generale. Forse soprattutto alla luce delle dimensioni dello studio – sono venti persone appena – stupisce positivamente la direzione artistica del gioco. Pur con una mole di poligoni non ottimale, gli scorci naturalistici di Biomutant si fanno piacevoli alla vista del giocatore impegnato a scoprirne ogni angolo.
Gli inciampi si palesano invece sul piano puramente tecnico. Su PlayStation 4 il titolo non riesce spesso a reggere neanche i 30 fps e mostra incertezze evidenti tanto nei momenti più concitati di gameplay, quanto in varie transizioni di gioco.
Trofeisticamente parlando: classico open world
Biomutant prevede quarantasette trofei in totale, distribuiti fra trentasette di bronzo, sei d’argento, tre d’oro e l’agognato trofeo di Platino. La caccia a questo traguardo non dovrebbe risultare troppo frustrante e con qualche accortezza sarà possibile completare il gioco in una sola partita. Consigliamo pertanto di scorrere il nostro elenco trofei di Biomutant.