Dragon Ball Z: Kakarot – Recensione

Sviluppatore: CyberConnect2 Publisher: Bandai Namco Piattaforma: PS4 Genere: Action RPG Giocatori: 1 PEGI: 12 Prezzo: 69,99 € Italiano:

E’ quando risuona in TV con il volume a mille quella sigla, Cha-La Head-Cha-La, che ci si rende conto di essere tornati bambini. E’ vedere quei colori, quei personaggi e quell’incredibile mondo, antico e futuristico al tempo stesso, dove umani, alieni e dinosauri convivono, dove città tecnologiche coesistono con foreste, deserti e piccoli villaggi di campagna e sentire quelle indimenticabili musiche, che ci hanno cresciuti e ancora ci accompagnano, che ci fanno sentire nel passato, come se ci fossimo di nuovo sintonizzati su Italia 1. Ma questa volta, accendendo la TV, non troviamo le repliche trite e ritrite di Dragon Ball Z (che si fanno ancora guardare con piacere). Adesso l’avventura appartiene davvero a noi. E’ nelle nostre mani ed è esattamente come da piccoli immaginavamo un videogioco su Dragon Ball, dove noi possiamo volare ed esplorare, dove noi possiamo andare a pesca e sempre noi possiamo gridare “Nuvola d’Oro” e aspettare che ci accompagni verso il cielo.

E’ impressionante come ancora oggi, nel 2020, ci si meravigli di un videogioco su Goku e compagni. Escono quasi tutti gli anni e a bizzeffe, alcuni convincono di più e altri meno, eppure tutti i titoli basati sul manga di Akira Toriyama vengono mossi dai fili del fanservice, che Bandai Namco ha lavorato e affinato nel corso degli anni al punto che ancora abbiamo la volontà e la passione di immergerci in quell’universo. Dopo i classici si è sperimentato con il progetto Xenoverse, capace di raccontare la tipica storia di Dragon Ball inserendo un nostro avatar al suo interno, e con il maestoso Fighter Z, che sente di voler tornare al picchiaduro arcade vecchio stile e con stampo moderno, frenetico al punto giusto. Entrambi i lavori si sono appellati alla fanbase pulsante del brand, ma con Dragon Ball Z: Kakarot – magari seguendo il modello adottato da Activision negli ultimi anni – il publisher ha fatto all in sull’effetto nostalgia, riproponendo lo spirito dell’anime nel videogioco a partire dall’opening iniziale e investendo su una campagna marketing formidabile, capace forse più delle clip di gameplay a fomentare l’hype. Dragon Ball Z: Kakarot però non è mai spudorato, l’opera di CyberConnect2 è un gioco fatto dai fan per i fan, che abbiano seguito o meno il Dragon Universe negli ultimi anni.

Dragon Ball Z: Kakarot

What’s my destiny

Non c’è bisogno di raccontare la storia che ormai conosciamo tutti, basta sapere che Dragon Ball Z: Kakarot ripercorre, per l’appunto, la storia della serie Z dall’inizio alla fine, dall’arrivo di Radish sulla Terra alla sconfitta definitiva di Majin Bu, ma riesce a trattare le finestre narrative come mai nessun videogioco di Dragon Ball è riuscito a fare. Siamo abituati ai classici (ma formidabili) picchiaduro e brawler che si limitano a riportare la storia dietro gli scontri più importanti della serie; con Kakarot invece si va oltre, si segue la visione iniziale di Toriyama. Dragon Ball non è solo calci, pugni e onde di energia, il fumetto nasce con il piccolo Goku che a poco a poco scopre il mondo, viaggiando, lottando e crescendo. Lo stesso concetto viene egregiamente riproposto in formula videoludica da CyberConnect2, visivamente appassionati del brand, al punto da riuscire ad aggiungere dettagli verosimili alle sottotrame dell’universo narrativo. Molti personaggi, in particolar modo i secondari, in Dragon Ball Z: Kakarot ricevono il trattamento che hanno sempre meritato, traguardo che a volte neppure Akira Toriyama è riuscito a raggiungere con il manga né Toei Animation con le tonnellate di filler dell’anime.

Già si percepisce la voglia di approfondire la storia regalando scene e dialoghi inediti a Radish, il fratello di Goku, oppure dall’intelligente scambio di battute tra Yamcha e Piccolo o dai dialoghi in-game tra Gohan e Crilin, che vanno ad arricchire i rapporti tra i personaggi. Ricoprono questo ruolo molteplici missioni principali e gli intervalli tra una saga e l’altra, modo ingegnoso di trasmettere al giocatore l’effettivo scorrere del tempo.

Dragon Ball Z: Kakarot

Insomma, Dragon Ball Z: Kakarot è l’unico videogioco di questa serie a prendersi il tempo necessario prima di ingranare, pensa alla narrazione e alle relazioni tra i personaggi prima delle sceniche e iconiche battaglie, addirittura curandosi delle lacune e delle criticità che più hanno colpito l’operato del mangaka, prima fra tutti una giusta crescita del rapporto padre-figlio tra Goku e Gohan. La gustosa glassa sopra l’enorme torta che è Dragon Ball è fatta di passione e fedeltà che traspare dapprima nel mondo di gioco; il fan più attento cercherà di spulciare ogni minimo dettaglio della geografia del Dragon World di Toriyama e non rimarrà deluso.

Siamo solo dispiaciuti che un prodotto di questo calibro, curatissimo in ogni dettaglio, abbia relegato soltanto vignette “segrete” alla prima serie (e dunque alle vere origini di Kakarot), così come speravamo in qualche richiamo in più al Serpentone – magari giocarlo come avveniva in Legacy of Goku su Game Boy Advance – o all’allenamento di re Kaioh. Siamo però lieti che si sia scelto di ispirarsi più al manga che all’anime, tagliando sezioni inutili come il finto Namecc e riempitivi in favore di contenuti originali. Un’ulteriore nota negativa salta fuori solo dopo aver vissuto la saga dei Saiyan, tuttavia, e riguarda l’eccessiva libertà narrativa di alcune sezioni principali, l’omissione di dettagli importanti (quantomeno per un fan) o la reinterpretazione di alcune scene. Ci si passa tranquillamente sopra vista la qualità del prodotto, ma il fan più accanito non potrà fare a meno di storcere il naso di tanto in tanto.

Sei tu il numero uno

L’esperienza di CyberConnect2 maturata in particolar modo con i capitoli di Naruto si è mostrata all’altezza del progetto, nonché la scelta più appropriata per far funzionare il progetto come visto da Bandai Namco: meno combattimenti, più gioco di ruolo. Seppur mantenga in piccola parte lo scheletro di Dragon Ball Xenoverse, Kakarot riesce a espandere la sua aura grazie alla forte componente esplorativa e alle battaglie rapide, sceniche e più tattiche di un normale action, il tutto confezionato con una struttura di gioco quasi basilare ed essenziale, eppure efficace. Il combattimento in Kakarot è semplice e al tempo stesso colmo di ramificazioni. Avviato uno scontro, che sia story related oppure “casuale” (incontrando i nemici a zonzo per la mappa del mondo) avremo la possibilità di attaccare corpo a corpo con Cerchio, con colpi dell’aura (o Ki, se siete fan hardcore) premendo Quadrato oppure, premendo insieme L1 e R1 più il tasto assegnato, potremo servirci delle intramontabili tecniche quali Kamehameha, Masenko e svariati impeti, mosse addirittura potenziabili nel corso della storia – con gli allenamenti mentali è possibile trasformare una Kamehameha in Super Kamehameha o ancora in Kamehameha Guidata, ad esempio.

Giocano un ruolo centrale la schivata con X, ogni volta fantastica da vedere, e la parata con L2, meglio ancora se combinate in un contrattacco con teletrasporto o una parata esplosiva. Non è solo button mashing, è un gioco al pianificare bene come, quando e chi colpire e con quale tecnica e con quanti colpi. Su questo Kakarot è riuscito a stupirci e a rappresentare l’essenza della Scuola della Tartaruga: pensare prima di agire (ma magari è solo il fan che c’è in me a vedere questa chiave di lettura).

Anche in termini di gameplay Kakarot riesce a restare fedele all’opera originale, cosa che traspare anche solo dalle trasformazioni in Super Saiyan e dall’uso del Kaioken, che rispettivamente prosciugano Ki e vita in cambio di un ulteriore incremento di potenza. Ciò si traduce in esagerate dimostrazioni di qualità tecnica e grafica; sbloccata la massima potenza caricandosi con il Ki e colpendo i nemici ripetutamente si potrà assistere a scene quasi nascoste e visivamente trascendentali. Vediamo come un punto a favore più che una mancanza l’impossibilità di giocare nei panni di personaggi secondari come Crilin e Tenshinhan e di averli solo come supporto; a pensarci è proprio questo ciò che fanno durante la serie, supportare i protagonisti. In combattimento avremo fino a due alleati in contemporanea, che ci aiuteranno a stordire gli avversari a suon di combo o con le tecniche più iconiche del loro catalogo, come il Kienzan o il Taiyoken, utilissime per ritagliarsi momenti per picchiare brutalmente i nemici oppure pensare alla prossima mossa. Entrambi i personaggi assist sono controllati dalla CPU per tutto il tempo, ma decideremo noi quando far eseguire loro le tecniche di supporto e le mastodontiche combo Z, mosse devastanti e concatenate tra tutti i personaggi sul campo, create forse sul modello delle Rising Rush di Dragon Ball Legends.

Dragon Ball Z: Kakarot

E’ lui il leggendario Super Saiyan?

Come ogni RPG che si rispetti, anche Dragon Ball Z: Kakarot è ricco di missioni da completare, tra principali, secondarie e opzionali. Come scritto di sopra, che siano main o subquest, narrativamente parlando le missioni non annoiano mai; sono capaci di offrire nuove chiavi di lettura per i caratteri dei personaggi così come riescono a introdurne di nuovi, come farebbe il maestro Toriyama, il più delle volte a suon di gag e situazioni comiche, ma senza trascurare l’alone di mistero. Eppure, sfortunatamente, la struttura giocata delle missioni secondarie non ha mai troppo spessore: sono tutte fetch quest. Si viaggia in lungo e in largo in cerca di ingredienti da raccogliere, persone con cui parlare o affrontare determinati gruppi di nemici per poi tornare al mittente e ricevere esperienza e premi. Carine in ambito storia, ma non troppo entusiasmanti da vivere. C’è da ridire anche sull’amara gestione della crescita del proprio personaggio. E’ discutibile la quantità esigua di punti esperienza donati dai nemici sparsi per la mappa, sbilanciata dai level up istantanei pretesi dall’avanzare della storia. E’ inutile, ad esempio, cercare di far crescere di esperienza Gohan durante l’intervallo pre-Namecc; la sola missione di preparazione per il pianeta di Piccolo e Dio regalerà al personaggio svariati livelli per bilanciare la sua forza a quella dei villain della saga. E’ una cosa giusta se si guarda alla fedeltà, ma è tremendamente sbagliata spostando l’occhio verso il genere di appartenenza del gioco.

Discutibili anche gli spawn point allineati dei nemici nelle saghe più avanzate, che spinge inevitabilmente i giocatori a sfruttare l’exploit di “investire” in corsa i nemici più deboli per vittoria e punti esperienza istantanei; nulla che una buona patch non possa risolvere, intendiamoci, ma al momento non riusciamo a promuovere il gioco per la componente RPG. Anche se ci piace come, meglio di qualunque altro titolo del brand, Dragon Ball Z: Kakarot riesca a dare un perfetto livello di potenza ai vari personaggi e a tal proposito uno strabiliante senso di crescita di potere a ogni level up e il vero gap tra più personaggi. E’ tangibile la superiorità iniziale di Radish così come l’incredibile differenza tra Goku e la squadra Ginyu, elemento spalleggiato dalla precisione del livello di potenza del proprio party – i BP degli scouter, insomma – che riportano con estrema fedeltà il grado dei protagonisti in un dato momento della storia.

Dragon Ball Z: Kakarot

Apprezziamo le possibilità offerte dal titolo per potenziare ulteriormente i guerrieri Z oltre il level up, tra oggetti di potenziamento o di cura da assegnare, cibo da consumare per aumentare temporaneamente o permanentemente le statistiche (che Chichi avrà premura di cucinare per noi in una cutscene, quasi prendendo spunto da Final Fantasy XV) e il sistema di comunità. Quest’ultimo si basa sull’assegnazione in una data tabella di alcune medaglie raffiguranti i personaggi di tutta la serie, tra Goku e compagni fino ad arrivare a Ottone e Taobaibai, che si attivano e si potenziano in base alla vicinanza con altre medaglie. Goku attiverà più bonus di attacco o difesa se posizionato vicino a Gohan, che a sua volta ne attiverà di più se affiancato da Piccolo e così via, un modus operandi che ricorda il funzionamento dell’intesa in FIFA Ultimate Team, per capirci. La peculiarità sta nel poter donare alle medaglie determinati oggetti che le potenzieranno ancora di più e nella possibilità di farle interagire l’una con l’altra, innescando dialoghi inediti, interessanti e plausibili. Come non menzionare la gigantesca Enciclopedia Z, una cornucopia di documenti su tutto il mondo di Akira Toriyama, composto da sezioni di storia, alberi delle relazioni tra i personaggi, collezionabili esclusivi e addirittura dalla riproduzione delle musiche di gioco.

Il migliore della Galassia del Nord

Visivamente parlando, nello stile Dragon Ball Z: Kakarot si rifà sia all’anime che al manga generando uno tra i migliori comparti grafici in cel-shading, forse secondo solo al predecessore Dragon Ball FighterZ (che per contro ha avuto meno elementi di cui occuparsi). Impossibile non perdersi nell’immensità dell’esplorazione proposta dal titolo, che rifiuta – con ragione, secondo noi – la struttura di open world per adottare le macro-aree, grandi sandbox ricchi di punti di interesse che riescono a non risultare mai dispersivi. Ciò che invece potrebbe far storcere il naso è la presenza delle Sfere Z, monete fluttuanti sparse per il mondo intero che i giocatori dovranno raccogliere durante le sessioni di volo e usarle per apprendere nuove tecniche o potenziarne altre. Le sfere sono presenti in quantità industriale e saranno persino donate ai giocatori al termine di qualsiasi battaglia, pertanto il nostro consiglio è di godervi il mondo di gioco senza pensare troppo a raccoglierle manualmente.

Volare è una sensazione difficile da descrivere, anche se basterebbe scrivere che è esattamente come i fan hanno sempre sognato. Si può volare a diverse velocità, scattante o naturale – questa arricchita dalle giravolte che fungono da calamite per gli oggetti – e addirittura con veicoli e oggetti. Fin dalle prime battute sarà possibile sperimentare il volo con la Nuvola d’Oro, andando avanti con la storia sbloccheremo le auto volanti e in futuro, come bonus previsto per gli acquirenti della Ultimate Edition, si potrà viaggiare anche sull’iconica colonna di Taobaibai. Il volo è complementare ai minigiochi per incrementare la già potentissima aura dell’immedesimazione; con le suddette auto è possibile partecipare a gare in città e recandosi ai moli i giocatori possono indossare la coda finta e pescare (o usare la canna da pesca se si usano Vegeta o Piccolo) per ottenere sempre più ingredienti con cui far preparare pasti rinvigorenti a Chichi. Certo, il tutto si svolge in maniera basilare e a suon di quick time event, ma nonostante la semplicità i minigiochi riescono a far sentire il giocatore parte del mondo di Dragon Ball molto più di quanto abbia fatto un semplice avatar in Xenoverse.

Dragon Ball Z: Kakarot

Nonostante il mondo non brilli più di tanto per realizzazione tecnica, a causa di alcune texture fuori posto e alcuni problemi di prospettiva, la grafica in cel-shading dà il meglio di sé durante le cutscene, capaci di richiamare le scene viste nell’anime e di avere contemporaneamente una personalità propria, ma non sono da sottovalutare nemmeno un po’ le animazioni in-game. E’ già sbalorditivo vedere come, controllando la mappa del mondo, il personaggio tiri fuori il Radar del Drago dalla tasca, ma è da far girar la testa la qualità degli intermezzi durante le battaglie con i boss. Come se non bastasse, il comparto sonoro garantisce ai fan un tuffo nelle proprie emozioni grazie al ruolo ripreso dai doppiatori originali – o almeno da chi ha potuto -, alla storica colonna sonora firmata da Shunsuke Kikuchi (esatto, le musiche originali dell’anime) e al resto della soundtrack costruita attorno alle tracce più iconiche, ottime per dare un senso di continuità tra le composizioni. Impossibile non notare come persino la traduzione miri all’effetto nostalgia e si sia scelto di stare dalla parte della fanbase più che agli adattamenti corretti e verificati negli ultimi anni. Nonostante qualche ricorrente errore di battitura, è evidente come l’adattamento in italiano sia interamente basato sulla traduzione italiana del manga di Dragon Ball, tra dialoghi presi parola per parola e nomi riscritti di conseguenza, come sono arrivati in Italia (re Kaioh o grande mago Piccolo, per fare un esempio). Spesso si parla di come un gioco sia “quasi come l’anime” oppure “esattamente come il cartone”, eppure secondo il nostro parere questo gioco è diverso, va oltre. Dragon Ball Z: Kakarot è meglio dell’anime.

Trofeisticamente parlando: datemi la vostra energia

Salvare il mondo per Goku è sempre un’impresa, ma per fortuna il Platino di Dragon Ball Z: Kakarot non richiede gli stessi sforzi. Il set di trofei richiede essenzialmente di finire la storia, eliminare trenta gruppi di nemici pericolosi (con il Ki rosso), vincere la battaglia contro un certo boss secondario, completare le sfide allenamento e ottenere cento attacchi speciali o maestrie nello schema abilità e finire solo dieci missioni secondarie. Fortunatamente non c’è nulla di impossibile né frustrante, non c’è bisogno di completare tutte le missioni secondarie così come non figura nessun trofeo legato al raggiungimento di un livello. Si tratta di un Platino estremamente fattibile, come testimonia anche la nostra guida ai trofei.

VERDETTO

Dragon Ball Z: Kakarot si può considerare il successore spirituale di Xenoverse e The Legacy of Goku, quasi una fusion. Si tratta dell'apoteosi della fedeltà al brand di Akira Toriyama, una gustosa opera celebrativa fatta dai fan per i fan, ottimo se non fosse per la componente ruolistica poco curata e con molteplici sviste che rende difficile mettere Kakarot sullo stesso piano di action RPG più blasonati. Non è un RPG perfetto, ma è assolutamente il gioco di cui i fan di Dragon Ball sentivano il bisogno.

Guida ai Voti

Andrea Letizia
Cresciuto a pane, Kamehameha e Crash Bandicoot, inglesizzato grazie a Kingdom Hearts. Grande amante degli action RPG e dei platform, dei cani e del wrestling.

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