Life is Strange 2 – Episodio Finale: Wolves – Recensione Completa

PlayStationBit ha deciso di non valutare più, singolarmente, ogni singola uscita che forma titoli “a episodi”. Piuttosto, il corpo dell’articolo sarà aggiornato di volta in volta, di capitolo in capitolo, così come il voto, facendo una somma di tutto quanto visto finora.

In prima pagina troverete un paragrafo relativo all’ultimo episodio uscito, al comparto audio-visivo e ai trofei, mentre in quelle seguenti il nostro parere in merito a quanto già visto.

Quando uscì nel 2015, Life is Strange registrò un eccezionale successo di critica e di mercato che probabilmente qualcuno ancora non sa spiegarsi. La serie in cinque episodi sviluppata da Dontnod Entertainment seppe farsi largo nei cuori dei videogiocatori per un ingrediente spesso trascurato dalle grandi produzioni: le emozioni. Pur volendo criticare alcuni aspetti del titolo (la trama, l’elemento soprannaturale, il ritmo lento), nessuno potrebbe però negare la centralità dei sentimenti, trasmessi attraverso le vicende quotidiane di persone normali nelle quali chiunque potrebbe immedesimarsi. In questo senso, anche il potere di riavvolgere il tempo appare come un pretesto per esplorare le diverse vie del destino, i punti di snodo delle nostre vite e il senso di responsabilità crescente che sancisce il nostro salto dall’infanzia all’età adulta e alla piena maturità.

Forti di questo marchio di fabbrica ormai caratterizzante, come dimostrato dal successivo esperimento di Life is Strange: Before the Storm (a dire il vero sviluppato da Deck Nine Games) e del recente Le fantastiche avventure di Captain Spirit, gli sviluppatori tornano con un attesissimo sequel che, dichiaratamente, si inserisce nell’universo del suo predecessore per ampliarlo orizzontalmente, abbandonando Max, Chloe e Rachel e puntando l’obiettivo su personaggi e storie nuovi.

life is strange 2 wolves

Episodio 5: Wolves. La fine del viaggio

Era settembre 2018 quando mettevamo mano per la prima volta al nuovo Life is Strange, con tante attese e qualche timore. A oltre un anno di distanza, siamo giunti insieme ai due protagonisti, Sean e Daniel, al termine di un viaggio dal nord-ovest degli Stati Uniti al Messico. A conti fatti, però, si è trattato più di un viaggio emozionale che di una vera e propria fuga fisica, di una serie di micro-eventi, incontri, situazioni e stravolgimenti che hanno fatto crescere i due fratelli molto più di quanto la camminata tra strade, foreste e deserti abbia consumato le loro scarpe.

Dopo essere sfuggito ancora una volta alla lunga mano della legge e dopo aver recuperato il piccolo Daniel, salvandolo da una pericolosa setta religiosa, il nostro Sean ha ritrovato una parvenza di normalità. Insieme a un altro personaggio chiave legato alla sua sfera familiare, a nuovi volti e ad altri già noti che accenderanno un sorriso malinconico nei fan di lunga data della serie, il giovane Diaz vive da oltre un mese in un accampamento di emarginati nel deserto dell’Arizona, a poche ore dal confine con il Messico. Si tratta solo di un periodo di relativa quiete prima del salto finale, dell’ultimo atto della fuga che condurrà lui e Daniel a Puerto Lobos.

Tralasciando, per ovvie ragioni, i dettagli della trama, possiamo dire che ci risiamo. Anche Wolves, come il suo predecessore e come il secondo episodio, cade subito nell’errore di impantanarsi, di avvolgersi su sé stesso superando il sottile confine che delimita una narrazione lenta, riflessiva e profonda da una ristagnante. Nella prima metà abbondante dell’episodio saremo di fatto immobili, confinati tra i limiti invisibili dell’accampamento (infinitamente meno potente, a livello di coinvolgimento, di quello nelle foreste di sequoia del terzo capitolo) e schiacciati dal peso di un’esplorazione piuttosto fine a sé stessa e di dialoghi lunghi, eccessivi e poco funzionali.

Life is Strange è la serie del sentimento, non dell’azione, questo è vero. Ma ciò non significa che il ritmo debba diventare quasi sonnolento. Dopo alcuni dialoghi praticamente obbligatori, l’unica cosa da fare per non correre superficialmente verso il finale è attivare altri dialoghi, con il rischio di risultare saturati di parole e concetti e di non cogliere, o di recepire con noia, le tematiche e i messaggi che il gioco vuole lanciare.

Molti sono i temi affrontati, alcuni inediti e altri già visti. Dall’amore omosessuale e dal problema di essere accettati da tutti all’emarginazione sociale, al conflitto tra ciò che è moralmente e legalmente giusto; dal razzismo alla questione, attualissima, delle migrazioni e dell’accoglienza. Questi ultimi aspetti, in particolare, sono trattati in una delle scene più forti e meglio riuscite del capitolo e forse dell’intera serie, nella seconda metà, ossia quella che risolleva le sorti del nostro giudizio.

Sì, perché da quando abbandoniamo l’accampamento qualcosa cambia. Gli eventi si susseguono rapidamente e qualche colpo di scena ci coglie impreparati, soprattutto in uno dei possibili finali. Vengono introdotti un minimo di azione e di spettacolarizzazione, anche se non sono elementi fondamentali, ma soprattutto Dontnod torna a parlare al nostro cuore senza usare solo le parole come nei lenti dialoghi iniziali. Arriviamo così al termine di Wolves, forse uno dei capitoli più brevi, senza quasi renderci conto del precipitare degli eventi.

life is strange 2 wolves

Resta però ancora un po’ di amaro in bocca, per due ragioni. La prima è l’eccessiva fretta con cui scorrono le drammatiche scene finali. Trattandosi dell’epilogo di un lungo e travagliato viaggio ci saremmo aspettati qualcosa di più. La seconda è il finale stesso, che accenna senza approfondire, una scelta che forse vuole lasciare aperte porte sul futuro e supposizioni nei giocatori, ma che di fatto si accompagna anche a molti dubbi e domande senza risposta.

Complessivamente, il quinto episodio racchiude in sé pregi e difetti dell’intera serie. Life is Strange 2 ha brillato più in alcune scene specifiche che nel quadro complessivo, trasportandoci in un viaggio sulle montagne russe in cui coinvolgimento, emozioni ed efficacia di alcune scelte narrative si sono rivelati altalenanti. Il picco, come più volte segnalato, è stato raggiunto dal terzo episodio, che ha risollevato i primi due capitoli più che tiepidi e che ha acceso grandi speranze per la conclusione. Conclusione che, tra Faith e Wolves, non ha saputo mantenere tutte le promesse, mostrando una Dontnod forse sopraffatta dalla responsabilità di coniugare i piccoli sconvolgimenti di un microcosmo familiare con la vastità e la varietà geografica e culturale di un ambiente come l’intera West Coast americana.

L’impressione, insomma, è che gli sviluppatori siano arrivati con il fiato un po’ corto alla sequenza finale, i cui esiti logico-narrativi erano resi più che spinosi da una serie di eventi ormai troppo intricata. Non solo, ma la già citata scelta di parlare con la voce dei personaggi più che con le loro azioni o con gli eventi di cui erano testimoni, ha influito troppo sull’incedere di buona parte degli episodi e ha fatto risultare alcune tematiche forzate e, di fatto, meno incisive.

Realismo non fotorealistico

La grafica di gioco ha fatto sicuramente passi avanti rispetto al predecessore, pur mantenendo uno stile unico e riconoscibile. I modelli dei personaggi risultano realistici e nello stesso tempo arrotondati, morbidi, cartooneschi, come un perfetto ibrido tra un film con persone in carne e ossa e un lungometraggio di animazione. Davvero affascinanti le location di montagna, con scorci mozzafiato e ricchissime di dettagli, capaci di immergerci ancor di più nella storia e nel nostro personale viaggio. Altissimo livello anche per la colonna sonora, con brani inseriti sempre al momento più opportuno e pienamente capaci di espletare la massima funzione della musica, ossia toccare le corde dei sentimenti e dare più colore a tutta la storia. E’ difficile resistere persino alla tentazione di rialzarsi durante una scena in cui Sean osserva il cielo, semplicemente riflettendo.

Non manca qualche piccolo difetto tecnico. Abbiamo rilevato in particolare un paio di bug nel movimento di Daniel, che, ad esempio, si è teletrasportato istantaneamente da un punto a qualche metro di distanza mentre scendeva lungo un sentiero. Qualche leggero effetto pop-up sui dettagli delle ambientazioni di montagna, nella fase di caricamento di un paio di scene, e personaggi che parlano con un labiale solo accennato completano i poco rilevanti “segni meno” dell’episodio.

Trofeisticamente parlando: la solita storia

I trofei di Life is Strange 2 ricalcano quelli già visti negli altri giochi della serie. Niente di mancabile e niente di difficile, con trofei legati al completamento di un episodio, alla raccolta di collezionabili per personalizzare lo zainetto di Sean e alla realizzazione di disegni nel corso di ogni episodio. Parliamo di un set composto da trenta coppe di bronzo, quindici d’argento, una d’oro e una di Platino, per le quali potete consultare la nostra imperdibile guida.

Jury Livorati
Classe ’85, divido il tempo tra la moglie e i tre figli e le più svariate passioni. Amo la lettura, la scrittura e i videogiochi e recito dal 2004 con l'Associazione Culturale VecchioBorgo. Eterno bambino, amo la vita e guardo sempre allo step successivo, soprattutto se è più in alto del precedente. Sono grato a PlayStationBit per avermi fatto scoprire la (sana) caccia ai trofei e i Metroidvania.

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