Narcos: Rise of the Cartels – Recensione

Sviluppatore: Kuju Publisher: Curve Digital Piattaforma: PS4 Genere: Strategico Giocatori: 1 PEGI: 18 Prezzo: 29,99 € Italiano:

Pablo Escobar, il re dei criminali. Il narcotrafficante avrà pur compiuto azioni riprovevoli per amore del suo credo e del suo impero della droga, ma resta indiscusso l’incredibile fascino che circonda la sua storia. Innumerevoli sono stati i tie-in tratti dalla vita del Patrón del Male, tra documentari, film, serie TV e addirittura videogiochi, e proprio queste ultime due categorie si incrociano con Narcos: Rise of the Cartels, lavoro di Curve Digital e Kuju che promette una riproposizione in chiave strategica della caccia a Escobar – quantomeno della versione narrata nell’omonimo show di Netflix – facendo trasparire la complessità delle operazioni realmente accadute negli anni Ottanta da ambo le parti. Il successo internazionale del brand Narcos rende assolutamente intoccabile la serie TV di Netflix, ma si può dire lo stesso della controparte videoludica?

Narcos: Rise of the Cartels

Quando ti avvicini troppo al Sole, i tuoi sogni finiscono per sciogliersi

Come si evince dal filmato di apertura e dalla colonna sonora che l’accompagna, Narcos: Rise of the Cartels cerca di incarnare lo spirito della serie e seguire fedelmente in ogni passaggio chiave la storia come intesa da Netflix, pur prendendosi libertà narrative. Il gioco ci proporrà sorprendentemente due campagne diverse con i rispettivi punti di vista della DEA e dei narcos, mettendoci dunque nei panni degli agenti Stephen Murphy e Javier Peña o in quelli dei sicari del Patrón.

Molto semplicemente, nella campagna DEA dovremo vagare per le mappe di gioco in cerca di prove per inchiodare Pablo Escobar e i suoi compadres e replicare alcune tra le operazioni militari realmente accadute, come gli assalti ai locali di una Medellín notturna o le sparatorie nelle giungle per smantellare i laboratori di Escobar, mentre più banalmente nella campagna Narcos elimineremo chi tradirà il signore della cocaina e, casualmente, avvieremo lotte urbane contro gli agenti della polizia o della DEA stessa. Per entrambe le storie seguiremo un albero di missioni da compiere, nove di queste principali contornate da quattro secondarie per ognuna di esse, necessarie per “raccogliere informazioni” (leggi anche: modo non necessario per allungare il brodo), queste però autoconclusive e normalmente trascurabili per la trama, ma che saremo comunque costretti a svolgere per sbloccare la prossima area principale. Come se non bastasse, la storia come trattata nelle quest secondarie non è in grado di fornire decentemente un contesto né riesce da sola a collocarsi in una linea temporale definita, discorso che qualche volta si applica persino alle missioni principali, dalla struttura svogliata e trascurata nella campagna Narcos. Difficile capire in che punto della storia ci troviamo se non abbiamo prima visto la serie TV.

Abbiamo fortemente apprezzato l’inclusione nelle cutscene di spezzoni presi dalla serie, così come ci ha scaldato il cuore ascoltare gli attori originali prestare la voce per le loro controparti digitali – o almeno è così per gli agenti DEA, Pablo e gli altri narcos hanno nuovi doppiatori che alternano lo spagnolo con un fastidioso inglese dall’accento quasi maccheronico – ma in particolare sono due le scelte dubbie a influenzare negativamente il prodotto finale. La prima è che la storia resta incompleta, fermandosi alla fine (reimmaginata) della prima stagione; la seconda è che non ci si riferisce mai a Pablo Escobar e ai suoi scagnozzi con i loro veri nomi; Pablo diventa “El Patrón” e personaggi come Gustavo oppure Ochoa vengono chiamati “Primo” (cugino in spagnolo) ed “El Mexicano”.

Narcos: Rise of the Cartels

Plata e Plomo

I soldi e il piombo sono, giustamente, il fulcro del gioco, che seppur non brilli per struttura narrativa (per una storia effettivamente già scritta) lascia parecchio sorpresi con il gameplay. Si tratta di uno strategico alla XCOM o This is the Police a tratti ibrido, con alcune piccole sezioni di shooting. Bisognerà gestire al meglio i fondi concessi per assumere nuove unità in caso le presenti dovessero venire a mancare o dare forfait per le ferite e, al contempo, stare bene attenti a quanto denaro investire sulle missioni – che, appunto, avranno un costo – e alla qualità degli agenti reclutati, che vanno dalla polizia al Search Bloc, agli agenti DEA e alle forze speciali (o i sicarios e i mercenari per la storia dei narcotrafficanti).

Quanto al gameplay vero e proprio, giocheremo con una visuale dall’alto e schiereremo nelle operazioni fino a cinque unità e ne affronteremo altrettante a ondate, ma Rise of the Cartels non si limita a scimmiottare gli strategici più blasonati, proponendo infatti una visione più brutale di gioco. Controlleremo massimo un’unità per turno, tenendo d’occhio i punti movimento di cui questa dispone, i suoi tratti, le sue abilità e i vari buff e debuff, con tanto di morte permanente delle unità.

Con i punti mosse, chiave del gameplay, le unità possono eseguire le varie azioni, come muoversi tra le caselle e sparare a un nemico vicino oppure stare fermi e aprire il fuoco per poter ricaricare l’arma o, potenzialmente, sparargli più volte in un solo turno per eliminarlo con il Killshot o con il contrattacco, appunto la meccanica che ci farà mirare e sparare personalmente un avversario in fin di vita o assaltare a mo’ di attacco di opportunità un soldato che entrerà nel nostro cono visivo. Spesso e volentieri bisognerà far finire i turni in anticipo per guadagnare punti azione; paradossalmente i turni fermi saranno essenziali per farci essere sempre pronti all’azione. Quasi tutti i tipi di unità, proprio per evitare di restare a bocca asciutta, disporranno di una o più abilità, come il lancio di una granata, e di due tipi di arma che potranno cambiare in qualunque momento senza costi in punti movimento. Solitamente l’arma in dotazione principale è ovviamente più debole, ma comunque utile per contrattaccare.

Vivere è difficile, morire è facile

Oltre alle dotazioni, le unità hanno singolarmente anche delle precise statistiche e potranno salire di livello vincendo missioni o spendendo punti SP, ottenibili terminando le quest con voti alti; a ogni level-up le statistiche saliranno e lo stesso soldato apprenderà due tra tre abilità a nostra scelta, ma è consigliato non accanirsi sul potenziare una singola unità in quanto, se dovesse morire in battaglia, tutti i progressi ottenuti andranno persi. Si tratta sicuramente di uno strategico ben studiato e con forte personalità, semplice e intuitivo grazie alle meccaniche ridotte e mai complesse; considerando la struttura di un turno per volta e la facilità di gioco nonostante le tante unità sul campo di battaglia, è quasi come giocare a scacchi.

Rise of the Cartels ha però alcune falle anche in ambito gameplay, a cominciare dal range delle armi mai esplicito né comprensibile (uno shotgun in alcune circostanze riesce ad arrivare più in profondità di un fucile d’assalto) e dalla potenza sbilanciata di alcune armi. Sfortunatamente poi le quest secondarie non riescono a dare giustizia alla profondità delle vicende e del gameplay stesso, tra storie lasciate al caso e del tutto riempitive e obiettivi sempre uguali, tra missioni di scorta, di sopravvivenza, di eliminazione e di raccolta di informazioni che quasi si ripetono in cerchio; Narcos: Rise of the Cartels è un gioco forte che inciampa su sé stesso, cade nella ripetitività dopo già un paio d’ore. Non avrebbero guastato partite arcade a modello schermaglia o modalità di gioco più vivaci.

Narcos: Rise of the Cartels

Pedro Digital

Va riconosciuta a Narcos: Rise of the Cartels l’intenzione di ricreare con estrema fedeltà volti e scenari visti nello show di Netflix, se si tralascia il problema del doppiaggio dei narcotrafficanti. Curve Digital ha ricostruito con precisione e al contempo con fare cartoonesco i volti delle star della serie, in particolare Wagner Moura, Boyd Holbrook, Pedro Pascal e Juan Pablo Raba, ricreando persino gli scenari più iconici della serie analizzandone il dettaglio e aggiungendone di originali, elemento che nel dare personalità al gioco ha contribuito però a ritorcerglisi contro. Ci riferiamo alle aree di Medellín al chiuso; gli edifici da ispezionare sono veramente tanti e la telecamera fa del suo peggio quando, all’interno di una struttura, il frame rate comincia a balbettare e i movimenti di camera e cursore risultano meno precisi del normale. Data però la cura maniacale di ricreazione delle location, era scontato ritrovarsi uno spudorato riciclo delle stesse nelle due campagne, e proprio per questa ragione consigliamo di giocare una trama per volta ed evitare di alternare le run.

Coraggiose, ma a volte oscene, le cutscene prerenderizzate che precedono le missioni principali, mute e fatte per darci un contesto all’ultimo minuto, e che certo non fanno gridare al miracolo per realizzazione grafica. La situazione migliora ispezionando il comparto audio, l’intera colonna sonora è costruita sul formidabile tema principale di Narcos, capace con poche note di richiamarne la natura. Tracce molto brevi, ma sempre un piacere da ascoltare.

Trofeisticamente parlando: vada come deve andare

L’elenco trofei di Narcos: Rise of the Cartels, a differenza del gioco stesso e della storia a cui s’ispira, è tutt’altro che brutale. Le sedici coppe di bronzo, quattordici d’argento e quattro d’oro ci condurranno a un Platino accessibile che, essenzialmente, ci chiederà di svolgere precise azioni in-game, come uccidere un certo numero di nemici con determinate armi e in circostanze fattibilissime, e di completare il gioco due volte, una run con i narcos e l’altra con la DEA. Nessun collezionabile e nessuna sfida impossibile ci separano dal premio massimo che il gioco ha da offrire.

VERDETTO

Narcos: Rise of the Cartels è una scoperta agrodolce. Il gameplay ha carattere grazie alla sua struttura precisa, innovativa e brutale nonostante la sua semplicità, eppure inciampa su sviste tecniche legate alla ripetitività degli obiettivi da compiere e da un allungamento frustrante e non necessario della campagna, per non parlare dell'incapacità di raccontare coerentemente una storia già scritta e ripetuta. Il prezzo originale è poco permissivo per quel che il titolo ha da offrire, ma non fatevelo sfuggire, se scontato.

Guida ai Voti

Andrea Letizia
Cresciuto a pane, Kamehameha e Crash Bandicoot, inglesizzato grazie a Kingdom Hearts. Grande amante degli action RPG e dei platform, dei cani e del wrestling.