Sinner: Sacrifice for Redemption – Recensione

Sviluppatore: Dark Star Game Studios Publisher: AnotherIndie Piattaforma: PS4 Genere: Action RPG Giocatori: 1 PEGI: 16 Prezzo: 18,99 € Italiano:

Inutile negarlo, Dark Souls ha fatto scuola nel mondo dei videogiochi creando e perfezionando i souls-like, che appunto prendono il nome dal titolo stesso. Visto l’immane – nonché giusto – apprezzamento da parte dei videogiocatori nei confronti del genere, non potevano mancare altre produzioni a esso ispirati. Questo è il caso dell’indie Sinner: Sacrifice for Redemption, che sorprendentemente mostra una propria essenza evitando di limitarsi a copiare e incollare le opere di From Software, proponendo una visione distorta e al contempo funzionale e intrigante del genere di gioco.

I sette peccati della lore

In Sinner controlleremo Adam, uno spadaccino del regno in rovina di Cavanis alla ricerca di redenzione per un grave peccato commesso. Il guerriero solitario, con la mente offuscata e il suo passato ormai dimenticato, si ritrova su una misteriosa spiaggia, spinto da una forza inarrestabile che lo induce a rimediare ai suoi errori. Nel disperato tentativo di fare ammenda, Adam dovrà affrontare le raccapriccianti personificazioni dei sette peccati capitali e decidere se redimerli o bandirli dalla sua vita, per concludere con una letale battaglia contro un’ultima misteriosa e potente entità. Non ci dilunghiamo, altrimenti oltrepasseremmo la linea dello spoiler.

I nostri nemici nel gioco saranno solo queste otto entità (ed eventualmente qualche servitore), cosa che rimanda molto facilmente e per stessa ammissione dello studio allo Shadow of the Colossus di Fumito Ueda. Nonostante la longevità esigua, Sinner: Sacrifice for Redemption presenta una trama di fondo intrigante, una storia zeppa di retroscena non ben definiti, piena di riferimenti, ed elementi di scenario che lasciano al giocatore la libertà assoluta di interpretare ogni suo aspetto. Meglio approfonditi i background dei boss, narrati con intermezzi disegnati a mano poco prima di ogni incontro. La lore del gioco tuttavia tende a essere un po’ troppo pretenziosa, arrivando a influenzare anche il finale della storia, facendolo risultare breve e per nulla conciso, con addirittura un messaggio dalla dubbia moralità.

Il guerriero iracondo

Come già accennato nell’incipit, Sinner: Sacrifice for Redemption si presenta come un action RPG souls-like fluido, con meccaniche di gameplay fortemente ispirate a quelle di Dark Souls. Il nostro personaggio impugnerà due armi diverse, un gladio accompagnato da uno scudo e uno spadone ondulato a due mani che si potrà intercambiare a piacimento anche durante gli scontri, a seconda dello stile di gioco che si predilige tra velocità e potenza. Come da copione, sarà possibile schivare gli attacchi nemici, pararli oppure deviarli con il parry, premendo il tasto assegnato alla parata al momento giusto, mossa che tuttavia servirà solo a sbilanciare l’avversario e non a infliggere un colpo critico (eccezion fatta per il boss finale, azione da cui ne deriva anche un trofeo).

Tuttavia l’ira sarà all’ordine del giorno. Gli sviluppatori di Dark Star e la loro visione alternativa dei comandi ci impongono di dover imparare da capo i primi passi del gameplay a causa di una mappatura dei tasti relativamente scomoda e non personalizzabile e della totale assenza di shortcut per utilizzare gli oggetti, questi ultimi non bilanciati a dovere. Non essendo rinominati in alcun modo, per comodità ci prendiamo la libertà di elencarveli ispirandoci a una ben più nota terminologia: ci sono le pozioni curative, le lance del fulmine, le bombe di fuoco e la resina infuocata. L’utilità di questi ultimi due è dubbia, in quanto la bomba è lenta a colpire e farà ben pochi danni, mentre la resina che infuocherà la nostra spada aumenterà di pochissimo i danni dei nostri colpi ma, paradossalmente, infliggerà a noi lo status bruciatura, facendoci perdere gradualmente sempre più salute. Mal gestito il numero delle scorte, limitatissimo per i due oggetti elencati e ampiamente permissivo nei riguardi delle lance, che fanno addirittura più danno di qualsiasi altra arma.

Black Dead Redemption

Il gioco riesce bene nell’intento di far provare frustrazione al giocatore grazie alla meccanica più rivoluzionaria che il titolo presenta: il level down. A differenza dei tipici RPG che presentano un aumento di statistiche ogni certi punti esperienza ottenuti, Sinner sceglie di cancellare completamente questi ultimi e non dare alcun senso di potenziamento al giocatore, facendolo anzi regredire a ogni boss affrontato. Si chiama Sacrificio, e consiste, appunto, nel costringere a sacrificare determinati parametri per poter aprire un portale che conduce al boss selezionato. Un nemico potrà toglierci una bella fetta di salute e resistenza, un altro potrebbe ridurci le scorte e altri ancora potrebbero romperci l’armatura e lo scudo. L’unico effettivo level up sta nel livello di salute, che aumenterà di poco a ogni boss sconfitto e redento.

Il gioco fa di questa meccanica il suo punto di forza grazie alla scelta di presentare l’accesso alle aree dove affrontare tutti i nemici in un’unica location, permettendo dunque di far scegliere a piacimento di quale peccato occuparsi e consentire di usufruire di caratteristiche non ancora rimosse per affrontare i boss più frustranti. Dark Star ha studiato bene questo passaggio, implementando la possibilità di poter ottenere nuovamente un Sacrificio e alzare i propri parametri a com’erano prima di affrontare un dato boss, a patto, però, di farlo risorgere e doverlo riaffrontare in seguito. Il gioco spinge i giocatori a basarsi sulle proprie capacità per pianificare con attenzione l’ordine con cui uccidere tutti i peccati capitali. Attenzione a non ritirarvi dalle battaglie nel momento esatto della morte del protagonista, potreste subire un soft lock del gioco!

Avremmo preferito una maggiore focalizzazione sui pattern dei boss, anche in questo caso sbilanciati; alcuni sono decisamente prevedibili e facili da apprendere dopo poche morti, altri invece (specialmente nel caso di Levin Indok) troppo imprevedibili e veloci, devastanti e frustranti. Sinner: Sacrifice for Redemption sembra piuttosto incline a far impazzire i giocatori a causa di un dubbio level design, piazzando qua e là fossi, trappole e ostacoli in caduta dall’alto in maniera esagerat. La rigiocabilità del titolo è condita solo dallo sblocco di armi ispirate agli equipaggiamenti dei mostri, armi talmente potenti che, miste alla ripetitività dei pattern, forniscono ben pochi stimoli. Neanche la modalità Incubo, una sorta di boss rush che sbloccheremo dopo aver completato la storia, riuscirà a intrattenerci più di tanto.

Arrenditi all’oscurità

Sinner: Sacrifice for Redemption offre uno dei comparti visivi più invidiabili in ambito indie. L’intero ambiente principale è tinto di oscurità e nonostante alcuni scontri si svolgano a cielo aperto e sereno, le arene restano sempre cupe e con elementi ben amalgamati con il level design (escluse le voragini di cui abbiamo fatto prima menzione). Il character design è godibile nonostante il contrasto tra il protagonista e i boss, il primo presentato in stile anime, basso e con il volto oscurato, i secondi rappresentati da mostri che in qualche modo rappresentano il peccato da cui nascono (come è ad esempio Camber Luce il Goloso, un demone grasso con una enorme bocca sull’addome).

Segnaliamo i 60 fps, stabili però esclusivamente in scontri uno contro uno; l’eccessiva azione a schermo causerà ingenti rallentamenti, come accade durante la boss fight con Angronn l’iracondo, questa particolarmente difettosa sia nel gameplay che nel comparto audiovisivo tra i suoi arti trapassabili, i suoni surreali dei pugni e la mancata traduzione del nome del vulcano, che ancora appare scritto in cinese, per non parlare dell’eccessiva grandezza del testo all’uccisione di un nemico, tanto enorme da andare oltre lo schermo. Ben realizzati sono i disegni a mano per gli intermezzi.

Trofeisticamente parlando: gesta tutt’altro che eroiche

Il ricco elenco trofei di Sinner: Sacrifice for Redemption conta ben sessantuno trofei, ma non fatevi spaventare: il Platino è particolarmente facile da ottenere. Curioso il sistema contraddittorio dell’ottenimento di buona parte dei trofei, che chiedono ai giocatori di morire nei modi più disparati. Tra i trofei relativi all’eliminazione dei boss vi sono varie azioni da (far) compiere, come morire mangiato dal Goloso, cadere nel ghiaccio dello stesso stage, farsi colpire dai candelabri in caduta durante la battaglia con le Levin o ancora eseguire un parry e un colpo critico al boss finale. Alcuni trofei sono vaghi, bisognerà spolparsi intere boss fight solo per capire cosa fare. Nessun trofeo legato alla modalità Incubo, il che rende il Platino decisamente più abbordabile.

VERDETTO

Sinner: Sacrifice for Redemption è un ottimo gioco che riesce ad avere una propria essenza nonostante si ispiri fortemente ai Souls. La storia intrigante, il gameplay avvincente e fluido e la meccanica del level down rendono il titolo degno di essere giocato, anche grazie a un prezzo favorevole. Buona parte dei difetti sono fortunatamente trascurabili; l'unico peccato è la longevità esigua, che elimina quasi ogni stimolo di rigiocabilità una volta imparati i pattern nemici.

Guida ai Voti

Andrea Letizia
Cresciuto a pane, Kamehameha e Crash Bandicoot, inglesizzato grazie a Kingdom Hearts. Grande amante degli action RPG e dei platform, dei cani e del wrestling.

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