Skelattack – Recensione

Sviluppatore: Ukuza Publisher: Konami Piattaforma: PS4 Genere: Metroidvania Giocatori: 1 PEGI: 7 Prezzo: 19,99 € Italiano:

Eh sì, è proprio tornata. Dopo così tanto tempo di assenza nel mondo videoludico occidentale – escludendo gli ovvi Pro Evolution Soccer e Yu-Gi-Oh! – era bene o male dal travagliato Metal Gear Survive che Konami non faceva parlare di sé dalle nostre parti. Certo, escludendo anche i vari utilizzi dei diritti più importanti su pachinko e simili. Con la promessa di investire più risorse nel mercato al di fuori della terra del Sol levante, Konami pubblica Skelattack, un titolo che, grazie alla sua grafica e alle sue meccaniche, riesce a fare l’occhiolino all’Occidente, ma che ha ancora qualcosa da imparare dal modo nostrano di videogiocare.

Skelattack

Nei panni dell’invaso

La peculiarità di Skelattack non traspare da subito. Il nostro compito è proteggere i dungeon dagli umani invasori, ma non a caccia dei tesori nascosti o volenterosi di esplorare i suddetti, bensì alla ricerca della magia che anima gli spiriti dei morti, la Fiamma Blu, che cercheranno di ottenere rapendo lo scheletro anziano di Aftervale: Elzedon. Armati di spada, incantesimi e di Imber, un tenero pipistrello a farci compagnia, nei panni di Skully si partirà alla ricerca dell’anziano per trarlo in salvo.

La trama – naturalmente, visto il setting – è banalotta, eppure sono i dialoghi tra i personaggi a nascondere un retrogusto inaspettato. Da uno scheletro animato non ci si aspettano domande esistenziali, dilemmi sulla vita terrena o riflessioni profonde, pensieri che invece il protagonista del gioco ha e offre al giocatore, pensieri capaci di donargli una certa profondità. Ci pensa il piccolo pipistrello Imber a rompere il ghiaccio e a fare da spalla comica a mo’ di Daxter (anche se mai a quei livelli) e a tingere di ironia l’intero universo di gioco, creando di fatto un dinamico duo tormentato, ma colmo di humour. Citazioni e frecciatine alla cultura pop non mancano!

Skelattack

Difficile vuol dire più bello?

Con la costruzione dei personaggi, anche se pochi, Skelattack ha fatto centro. Ma con il gameplay? “Yes, but actually no”. Il gioco si presenta come un platform metroidvania, e cioè con una struttura a corridoi bidimensionali forte di un’esplorazione di più aree di dungeon intersecati, esperienza che va a mischiarsi con attenti salti e swing tra una piattaforma e l’altra per raggiungere nuove aree o bonus. Eppure, nonostante lo scheletro (perdonateci il gioco di parole) sembri solido, Skelattack ha ancora da farsi le ossa su alcuni aspetti.

Primo fra tutti è la pessima disposizione delle piattaforme, la base per un gioco di questo genere. Nonostante i fondali e gli asset utilizzati suggeriscano il contrario, Skelattack mostra il fianco e si lascia andare a qualche difficoltà di troppo, piazzando piattaforme letali al tocco in posti impossibili da prevedere – e talvolta anche da evitare. Normalmente non ci sarebbe nulla di male nel morire e riprovare più e più volte, ci sono tanti titoli validi che hanno fatto di questo il loro elemento più riconoscibile, come Super Meat Boy o addirittura Celeste, ma Skelattack decide di punire il tentativo e l’esplorazione del dungeon sottraendo a ogni morte un certo numero di cristalli, la valuta di gioco.

Potere ai cristalli

Dietro i cristalli c’è tutta la componente RPG del gioco. Ci si possono comprare attrezzature, magie, aumentare le proprie statistiche e così via, ma questi sono sparsi per i luoghi più improbabili della mappa e sono risicati rispetto al prezzo dei power-up, esorbitante anche per i potenziamenti più infimi. Finire un’area di gioco diventa una sfida; morire ci costerà tanti sudati cristalli, che cadranno a Skully nel luogo della sua morte, un po’ come accade con le anime di Dark Souls o con il bottino di Shovel Knight, ma a causa del posizionamento delle piattaforme prima menzionato il tutto risulta molto più complicato di come dovrebbe essere.

Si muore per un nonnulla, basta mettere male un piede e addio al potenziamento tanto agognato, magari complice anche una gestione delle hitbox non proprio favorevole. Fortunatamente (o sfortunatamente, a seconda dei punti di vista) a venire incontro allo sbilanciamento della meccanica legata ai cristalli c’è l’intelligenza artificiale scarsissima dei nemici e la quasi inesistente varietà di moveset, se escludiamo le battaglie contro i boss. Come non menzionare i dimenticabili controlli, rigidi e dal considerevole input lag, sovrani della scomodità a causa del salto automatico durante il wall jump, causa della maggior parte delle morti del nostro ossuto protagonista. Abbiamo apprezzato, però, la possibilità di usare anche Imber in alcune sezioni prestabilite. Che sia in presenza di ventole o di condotti di aerazione, sfrutteremo le ali del pipistrello per trasportare Skully da un luogo all’altro, tenendo conto della sua resistenza.

Skelattack

Quando un cartone incontra un videogioco

Sta accadendo sempre con maggior frequenza. Spesso e volentieri, a partire dal capostipite Cuphead, il panorama indie sta sfruttando le limitazioni grafiche per offrire un curato effetto cartoonesco al comparto estetico del videogioco, elemento ripreso anche per Skelattack. Anche se dallo stile ben diverso rispetto a quello della tazza animata, il titolo di Ukuza lascia il segno. Le animazioni sono oro colato, il design dei personaggi è adorabile, principali o secondari che siano, le location formidabili e i fondali azzeccati e ben curati. La musica non va più via dalla testa; il comparto sonoro è realizzato splendidamente, incalzante e accattivante.

Condanniamo, però, come scritto di sopra, la pochezza del level design e la svogliatezza dietro il character design dei nemici, tutti uguali e per nulla minacciosi, nemmeno troppo adatti al mondo di gioco. Un vero peccato l’assenza della localizzazione in italiano, che può far perdere vari riferimenti e citazioni ai meno avvezzi alla lingua inglese.

Trofeisticamente parlando: premio ridotto all’osso

Non basta non avere il trofeo di Platino nel set, Skelattack probabilmente batte il record mondiale di minor numero di trofei in un videogioco completo: solo quattro coppe. Il loro ottenimento può essere riassunto in tre parole: finisci il gioco. Nulla di legato ai potenziamenti, nessuna missione secondaria da svolgere o numero di morti minime da rispettare. Concludere l’avventura basta e avanza.

VERDETTO

Skelattack è un titolo divertente e coraggioso per la profondità delle tematiche trattate nonostante la disarmante semplicità del contesto. Basilare nella trama, ma una bomba nella relazione tra personaggi e con un comparto audiovisivo adorabile. Il gioco però perde punti proprio nella sua parte giocata. Comandi scomodi, nemici che non offrono la minima sfida alternati a piattaforme che invece, quella sfida, la fanno schizzare alle stelle. Bello da vedere, un po' meno da giocare.

Guida ai Voti

Andrea Letizia
Cresciuto a pane, Kamehameha e Crash Bandicoot, inglesizzato grazie a Kingdom Hearts. Grande amante degli action RPG e dei platform, dei cani e del wrestling.