Solo: Islands of the Heart – Recensione

Sviluppatore: Team Gotham Publisher: Merge Games Piattaforma: PS4 Genere: Puzzle Giocatori: 1 PEGI: 12 Prezzo: 19,99 € Italiano:

E’ meglio aver amato e perduto o non aver mai amato? Cos’è l’amore, come lo vediamo e in che modo influisce sulla nostra esistenza? La sua presenza o l’assenza riescono effettivamente a riflettersi sulla nostra vita quotidiana? Queste e tante altre domande ce le rivolge Team Gotham con Solo: Islands of the Heart, un titolo che non si pone l’obiettivo di sfondare in ambito indie né di proporre meccaniche di gameplay diverse dal solito, ma il quale unico scopo è parlare direttamente con noi, mentre guardiamo lo schermo.

Solo: Islands of the Heart

What is the love?

Solo è un’esperienza diversa dal solito, una sorta di esame introspettivo mascherato da videogioco, ma efficace su entrambi i fronti. Il titolo non segue una storia vera e propria, ma si preoccupa di seguire le nostre vicende personali, facendoci riflettere intensamente sulla nostra visione dell’amore, dell’amicizia e dei rapporti in generale, anche sessuali.

Scelto (o meno) il nome della persona amata, controlleremo la rappresentazione di noi stessi e girovagheremo per le tre isole del nostro subconscio per accendere i Totem con i fari del cuore, che ci faranno domande mai banali, scomode e non, a cui dovremo rispondere. A tal proposito, se vorrete intraprendere questo viaggio, consigliamo di rispondere con assoluta sincerità alle domande e, se siete particolarmente timidi, di giocarlo da soli; prima o poi incontrerete almeno una domanda, magari per voi imbarazzante, che vi terrà fermi per qualche minuto a pensare. L’esperienza narrativa, per così dire, sarà sempre diversa e plasmata in base a ogni singola risposta inviata; viaggerete verso la scoperta dell’amore, verso un modo per risanarlo o, anche, per scoprirne i pro e i contro e se vale la pena provare il sentimento. Come precisano anche i Totem, l’intenzione del gioco non è giudicare, ma aprire gli occhi dei giocatori e mostrar loro tutte le alternative, tutti i sentieri, alcuni dei quali, magari, scoprirete per la prima volta grazie a questa avventura nel proprio subconscio.

Solo: Islands of the Heart

Come una freccia di Cupido…

Ma Solo non offre solo (ops!) una visione introspettiva dell’amore. I tre arcipelaghi sono ricolmi di intelligenti puzzle che ogni volta ci separano dalla prossima domanda; non è un quiz alla Akinator, per intenderci, c’è anche da sforzare la mente per venire a capo degli enigmi prima di passare al prossimo dialogo col Totem. Impegnative quanto bastano e (quasi) mai frustranti, le sezioni puzzle sono un modo per staccare la spina dai quesiti dando al contempo ai giocatori il tempo di pensare, ma che alla lunga cominciano a sembrare un po’ troppo dei riempitivi, anche se, forse, essenziali considerando la durata esigua del gioco (parliamo di circa quattro ore) e la sua scarsa rigiocabilità.

In Solo il nostro personaggio dovrà farsi strada tra le vette più alte degli arcipelaghi per attivare i fari e parlare con i Totem da questi risvegliati, posizionando intelligentemente tutti i blocchi a disposizione e scalandoli uno a uno, senza la possibilità di saltare. Il gameplay ribalta costantemente le carte in tavola presentando con un perfetto tempismo nuove meccaniche che andranno a cambiare lo svolgimento dei puzzle. Per esempio riceveremo il pallone per fluttuare in aria e l’asta magica del marinaio che ci farà spostare e ruotare tutti i blocchi a nostro piacimento anche dalla distanza. Anche i blocchi stessi cambieranno proprietà, partendo dalle classiche casse di legno e passando per blocchi a ventole (che ci faranno spiccare un breve volo), blocchi a ponte e ventose, con tanto di casse idrauliche che sposteranno i getti d’acqua – questi studiati solo per compiere alcune missioni secondarie.

Il mondo di gioco, sebbene sia abbastanza ridotto, è ricco di elementi. Non mancano animali con cui interagire (magari accarezzandoli o cibandoli con frutta), la possibilità di scattare delle foto, selfie inclusi, e il poter suonare la chitarra, meccanica completamente secondaria eppure così importante. A seconda degli spartiti che troveremo in giro per le isole, potremo suonare una certa combinazione di note (a mo’ di Risultati di The Legend of Zelda: Ocarina of Time) per cambiare il mondo e i suoi colori; una canzone farà nascere arcobaleni, un’altra porterà la pioggia, un’altra ancora trasformerà il mondo in bianco e nero e tanto altro ancora. Il mondo di gioco si cura del nostro stato d’animo, anche solo dare una mela a un puchuchu – un misto tra un cane e una macchia nera – ci trasmetterà un senso di gentilezza e tranquillità.

Solo: Islands of the Heart

… che non sempre va a segno

Il concetto di gioco e le sue meccaniche sono strabilianti, ma è dal lato tecnico che Solo: Islands of the Heart mostra il suo lato peggiore. I movimenti del nostro personaggio non sempre saranno precisi, spesso gli oggetti si teletrasportano nelle nostre mani e la gestione della telecamera fa infuriare. Questa non è quasi mai precisa, soprattutto quando impugneremo l’asta del marinaio per spostare gli oggetti, a causa di una mancata ottimizzazione del puntamento; i blocchi, quando sospesi in aria, hanno una fisica tutta loro e, se in collisione con questi, spesso e volentieri incapperemo in un fastidioso bug che ci impedirà di scavalcare casse e terreni.

Solo: Islands of the Heart

Ben studiati gli enigmi secondari legati ai puchuchu, che richiederanno tutto il nostro ingegno, ma che, seppur presentino più di una soluzione, soltanto quella intesa dagli sviluppatori funzionerà. Degni di nota, però, il comparto grafico in generale, grazie al character design cartoonesco semplice ed efficace, al level design cubettoso molto ispirato (ma non alla Minecraft) e al già citato gioco di colori.

Un colpo al cuore anche il sonoro, composto da, sì, poche tracce, ma tutte memorabili e capaci di trasmettere serenità al giocatore e rinchiuderlo in una cupola immaginaria in cui è libero di riflettere sulle domande ricevute e le risposte date. Da non trascurare però l’assenza della localizzazione in italiano, cosa che precluderà Solo a una fetta di pubblico matura e ferrata in inglese.

Trofeisticamente parlando: prima il Platino, poi l’amore

L’elenco trofei di Solo: Islands of the Heart conta ventuno coppe, Platino incluso. Per prendere i due bronzi, i dieci argenti e gli otto ori bisognerà essenzialmente finire il gioco (rigiocando il finale due volte semplicemente ricaricando la partita appena finita), completare tutte le quest secondarie e dare da mangiare a tutti gli animali del gioco, trovando gli spartiti e interagendo con ogni partner fantasma. L’elenco non è molto ricco e molte delle azioni richieste verranno naturali; con buone probabilità otterrete il Platino alla prima run senza neppure pensarci troppo.

VERDETTO

Solo: Islands of the Heart è un titolo introspettivo e profondo, capace di far provare nuove emozioni, di far riflettere e al contempo di intrattenere con puzzle ben studiati. In ambito tecnico, tuttavia, Solo perde colpi a causa di una struttura di gioco mal ottimizzata. Vari bug, una telecamera indegna, una scarsa rigiocabilità e il prezzo che porta negano il perfect score al titolo di Team Gotham. Ciononostante, vi consigliamo caldamente di provarlo... passerete un pomeriggio diverso dal solito.

Guida ai Voti

Andrea Letizia
Cresciuto a pane, Kamehameha e Crash Bandicoot, inglesizzato grazie a Kingdom Hearts. Grande amante degli action RPG e dei platform, dei cani e del wrestling.