Sword of the Vagrant – Recensione

Sviluppatore: O.T.K. Games Publisher: Rainy Frog Co. Piattaforma: PS4 Genere: Metroidvania Giocatori: 1 PEGI: 12 Prezzo: 9,99 € Italiano: No

È il 2014 e ci troviamo a Pechino. Nasce O.T.K. Games, un piccolo e ambizioso team di sviluppo che, quattro anni dopo, esordisce su Steam con The Vagrant. L’action RPG in 2D interamente disegnato a mano viene messo sullo store della piattaforma di Valve per circa quattro euro. Quest’anno, mentre prosegue il Kickstarter per il nuovo progetto, il titolo d’esordio viene ribattezzato Sword of the Vagrant e sbarca su console grazie alla distribuzione di Rainy Frog. Una “cinesata” di nome e di fatto come tante altre? Scopritelo nella nostra recensione!

Spada in avanti e tette al vento!

Il nostro viaggio inizia in mare, su una barca in compagnia di Vivian. Questa affascinante e prosperosa ragazza è una mercante di spade. È salpata verso il regno di Mythrilia seguendo le indicazioni di un libro ereditato dal padre, prima di abbandonare la famiglia e non fare mai più ritorno. Dopo un’inaspettata visita da parte di una creatura dalla testa di gufo che profetizza grandi sorprese, s’innalza una tremenda tempesta che distrugge la nave di Vivian. La nostra eroina naufraga così sulla costa del piccolo villaggio di Brocley. Qui fa la conoscenza di Lucia, una giovane ragazza in fuga dal villaggio per amore, che chiederà alla protagonista di essere scortata lungo la foresta.

Purtroppo, le due donzelle arriveranno proprio durante l’omicidio dell’amante e, nel viaggio di ritorno, Vivian troverà il villaggio devastato dall’attacco di Soulreaper. Questi è un tremendo demone dalle intenzioni ignote, che si dimostrerà però troppo forte, vincendo agilmente la battaglia. Arriverà in soccorso di Vivian la potente e criptica strega Holborn, padrona dell’Accademia dei maghi, che proporrà alla guerriera errante un momentaneo patto di alleanza. Con queste premesse inizierà un’avventura alla ricerca della verità che si cela dietro la scomparsa del padre di Vivian, sulla sua stirpe e sulle intenzioni di Holborn.

La storia è ricca di colpi di scena che, mano a mano, sveleranno sempre più frammenti di un puzzle affascinante e dalle tematiche forti. Si giungerà così a un finale di enorme impatto emotivo (che potremo stravolgere eseguendo particolari azioni durante il viaggio). Quella che sembrerà essere una inutile e ridondante caccia al tesoro per aprire la porta successiva, si rivelerà invece una costante e involontaria ricerca di indizi. Il viaggio, visto a ritroso, risulta essere denso di significato, giustificando e invitando tra le altre cose a una seconda run.

La padronanza del mana

Veniamo all’essenza principale (ma non l’unica) di The Vagrant: il gameplay. L’opera cinese si struttura come il più classico degli action GDR in 2D con fortissime influenze metroidvania. Le ambientazioni sono suddivise in stanze di varie dimensioni, collegate fra loro da passaggi. All’interno di ogni stanza ci saranno dei nemici da sconfiggere. Alcuni possono essere evitati, mentre la maggior parte vanno necessariamente abbattuti per proseguire l’esplorazione. Al termine di ogni dungeon è presente un boss di fine livello (occasionalmente troveremo anche dei mini boss a metà dungeon) che richiederà molto più impegno e dedizione per essere sconfitto.

Il gameplay è piuttosto essenziale, ma riesce a ottimizzare ogni meccanica al massimo. Vivian può impugnare solamente spade (del resto le vende), che si differenziano tra loro per la velocità di attacco, la potenza d’impatto e gli eventuali effetti elementali. I pattern sono solamente due: attacco leggero e attacco pesante spezza guardia. Si possono però concatenare tra loro in molteplici modi, dando vita a combo tanto efficaci quanto piacevoli da vedere. Sarà possibile consumare la barra della rabbia per attivare potenti abilità, capaci di ribaltare l’inerzia di uno scontro.

La meccanica forse più importante sarà quella della schivata. Eseguibile sia a terra che in aria senza limiti, rende momentaneamente invulnerabile Vivian. Tutto ciò definisce un gameplay dinamico, frizzante, divertente e mediamente impegnativo in alcune fasi, che non può non coinvolgere un appassionato del genere.

Un’importante lezione quantificativa

Non mancano ovviamente le componenti alla base dei giochi di ruolo, con un albero delle abilità “a spirale” che ci fornirà aumenti permanenti alle statistiche. Si potranno inoltre ottenere abilità passive nuove, nonché meccaniche aggiuntive (il doppio salto ad esempio lo si può sbloccare da qui). Inoltre, è possibile potenziare le armi e le armature incastonandoci delle rune incantate, che forniscono bonus aggiuntivi spendendo una delle due valute del gioco.

L’esplorazione non è propriamente fantasiosa, essendo i dungeon molto schematici e le mappe sintetiche estremamente chiare e precise. Risulta però sufficientemente appagante, in particolar modo dalla seconda metà del gioco in avanti. Sword of the Vagrant è un chiaro esempio di come, in un videogioco, sia fondamentale ottimizzare le meccaniche implementate. Renderle tutte importanti ed essenziali e metterle il più possibile a pari livello è la chiave per il successo. Sono fin troppi gli esempi di videogiochi – soprattutto di prima fascia – che riempiono l’esperienza con collezionabili, abilità, oggetti, costumi, missioni e quant’altro. Questo spesso rende ogni meccanica superflua e porta il videogiocatore a tirare dritto trascurando numerosi aspetti.

Quante volte avete raccolto tutti i collezionabili per il Platino solo una volta finito il gioco? Quante volte avete scoperto delle meccaniche di gameplay parlando con gli amici di un gioco che avete già terminato? E tutti quegli oggetti nell’inventario mai utilizzati? Per non parlare degli alberi delle abilità con decine di rami per ridursi a spammare sempre la solita skill. Ebbene, sono tutti segnali di pessima ottimizzazione da parte degli sviluppatori. Segnali che in The Vagrant non sono pervenuti.

Dove sono i diritti di Vanillaware?

I diritti d’autore, Vanillaware ce li ha e se li tiene ben stretti. Non c’è alcun plagio ma chiarissima ispirazione a opere come Odin Sphere Leifthrasir (tra le altre), da cui O.T.K. Games ha preso spunto anche per alcuni frammenti di trama. A livello grafico, The Vagrant è interamente disegnato a mano. I personaggi attivi si “staccano” dallo sfondo grazie a dei contorni ben marcati e degli scenari clamorosamente curati nei dettagli. Un’opera d’arte da esplorare e contemplare nel mentre che sfoderiamo fendenti a destra e a manca.

Splendido il design dei personaggi e di alcuni boss, che trasmettono delle forti emozioni anche solo dall’artbook digitale consultabile dal menu. Non è presente la localizzazione in italiano, ma i testi in inglese sono ben scritti e di semplice comprensione. Inoltre, ci vogliamo sbilanciare dicendo che, secondo noi, l’ultimo livello del gioco è fortemente ispirato a un famoso episodio di Berserk del compianto Kentaro Miura (ma giudicate voi stessi).

Per quanto riguarda il comparto sonoro, dobbiamo sottolineare la poca cura riservata al doppiaggio – perlopiù assente – e agli effetti in-game, decisamente sotto tono. Si tratta di un difetto assolutamente perdonabile, visto il poco budget a disposizione e l’esiguo prezzo di lancio. È stata chiaramente sacrificata la componente meno importante dell’opera, dimostrando tutto sommato intelligenza nella decisione strategica. La colonna sonora, realizzata da Gabe Castro, alterna pezzi sinfonici con tracce rock, techno e folk. Prese singolarmente sono tracce di indubbio valore, con un buon sound e alcuni jingle riconoscibili. Questo inusuale e cacofonico mix ci porta però a sottolineare quello che è, a nostro avviso, l’unico vero difetto di quest’opera: l’assenza di identità.

Essere o non essere, questo è il problema

The Vagrant ci ha dato più volte l’impressione di perdersi in sé stesso. Alterna bruscamente una traccia house con una hard rock senza apparente motivo. Offre dei dialoghi molto grotteschi e scherzosi ma anche testimonianze che fanno gelare il sangue. Ci presenta degli scenari stupefacenti, ma che si racchiudono nello stereotipo della foresta, della grotta, della montagna o del castello gotico.

Insomma, O.T.K. Games ha dimostrato di saper produrre, scrivere, disegnare, programmare e realizzare, ma ha mostrato molte incertezze (e poco coraggio) nel dare identità alla propria opera, forse per paura di “limitarla”. È un titolo d’esordio e ovviamente certi problemi sono tollerabili. Se i giochi indipendenti fossero tutti di questa caratura il mondo del gaming navigherebbe nell’abbondanza di qualità (e invece siamo nella siccità già da un po’). Onore dunque al team cinese a cui stringiamo virtualmente la mano.

Ci permettiamo però di suggerire loro maggior convinzione per il futuro. Sword of the Vagrant è come una pasta al pomodoro. La più buona che abbiate mai mangiato, ma pur sempre una pasta al pomodoro. Per quanto possa soddisfare appieno il vostro palato e il vostro appetito, non vi renderà mai memorabile il menù del ristorante in cui l’avete ordinata.

Trofeisticamente parlando: una runa di platino

La lista trofei di Sword of the Vagrant contiene ben 40 trofei, di cui 28 di bronzo, 6 d’argento, 5 d’oro e il Platino. Mettere le mani sulla coppa blu può essere una piacevole (e non particolarmente ostica) sfida per chi si destreggia con i giochi in 2D da tempo. Può nascondere delle insidie per i neofiti. Dovrete completare il gioco a difficoltà Very Hard, acquisire tutte le abilità e le ricette culinarie, sconfiggere tutti i boss opzionali, sbloccare il finale segreto e farmare 1.000.000 di oro e di mana (le due valute di gioco). Un’impresa che vi richiederà circa 20-25 ore di gioco.

VERDETTO

Sword of the Vagrant, al netto di qualche perdonabile difetto nel comparto sonoro, è indubbiamente un'eccellenza dei 2D Action-RPG. La storia di Vivian è intrigante e ben narrata, il mondo di Mythrilia - interamente disegnato a mano - è un piacere per gli occhi e coinvolgente da esplorare, mentre il gameplay è ottimizzato in ogni meccanica, risultando divertente e adrenalinico dall'inizio alla fine. Un titolo d'esordio col botto per O.T.K. Games che, per il prossimo progetto, dovrà solo avere maggior coraggio nel dare un'identità più definita alla propria opera. Attendiamo dunque con enormi aspettative Detained: Too Good for School.

Guida ai Voti

Giovanni Paolini
Catalizzatore di flame sul web e drogato seriale di fantacalcio, Giovanni vede il videogioco come un'espressione artistica piuttosto che come un mero intrattenimento privo di contenuti significativi. Per questo motivo, ripudia il 90% dei AAA e si tuffa sfacciatamente nel mercato indipendente, rimanendone il più delle volte scottato seppur senza rimorsi. Amante della musica di qualità, delle narrazioni articolate e di design ispirati, si è tuttavia mostrato fin dall'adolescenza ossessivamente attratto dai personaggi femminili antropomorfi, mistici o animati, universalmente conosciuti come waifu. Rappresenta orgogliosamente la vena toscana del Bit.