The Blackout Club – Recensione

Sviluppatore: Question Publisher: Question Piattaforma: PS4 Genere: Horror Giocatori: 1 (Online: 1-5) PEGI: 16 Prezzo: 24,99 € Italiano:

L’unione fa la forza, secondo il detto. Il gioco in cooperativa, dopo un lungo abisso, è uno dei generi più in voga al momento, ora più che mai diramato in diverse categorie. Basti pensare all’emozionante storia di A Way Out, ai puzzle intriganti proposti da Unravel Two o addirittura all’inevitabile divertimento di giocare in cooperativa a Wolfenstein: Youngblood. Anche l’horror non scherza in questo campo, specialmente con titoli di grande successo quali Dead by Daylight o Friday the 13th, ed è a questo tipo di giochi che va attribuito The Blackout Club, progetto sviluppato da Question, team indipendente che può contare sull’aiuto di svariati esponenti di Irrational Games e Arkane Studios (rispettivamente team autori di BioShock e Dishonored), ma che solleva qualche dubbio di troppo.

Mom pick me up, I’m scared

Meccaniche stealth a parte, The Blackout Club si distacca fortemente dai lavori dei due team sopracitati. Appena avviato il titolo ci verrà richiesto di giocare l’introduzione, episodio che sarà possibile saltare per gettarsi subito nell’azione, ma che consigliamo caldamente di giocare, in quanto il suo completamento richiederà poco più di venti minuti e si tratta, senza se e senza ma, dell’episodio migliore del gioco. Giocheremo nei panni di una ragazzina che vive nel sobborgo di Redacre, piccola località avvolta da un oscuro mistero. Sola in casa e con i genitori freddi e distanti, la protagonista del prologo verrà rincorsa da una spaventosa figura (The Shape) e, nel tentativo di scappare dalla sua cantina, si imbatterà in un culto di sonnambuli. In città tutti gli adulti lo sono e lavorano per la figura misteriosa senza rendersene conto, e starà al Blackout Club sventare i misteri e registrare tutte le prove del caso.

Il concept funziona e l’atmosfera tetra si sente a pelle ma, dal termine del prologo, è tutto in discesa, paradossalmente. La sensazione di smarrimento e di inquietudine iniziale è probabilmente dovuta a una grave mancanza di chiarezza del tutorial, che a malapena ci spiegherà come compiere determinate azioni e come comportarci con i pericoli del gioco. Una volta inquadrata la situazione generale non proverete mai più un briciolo di paura. Appena concluso l’episodio iniziale (skippabile, ricordiamo), The Blackout Club ci farà vestire i panni di un personaggio anonimo e da creare da zero, anche se non proprio a piacimento, e vivremo una storia caduta da subito nei classici cliché da teen horror. La casa è “infestata” dai sonnambuli e toccherà a noi intrufolarci nelle abitazioni indicate dal club e registrare tutti gli eventi paranormali.

Corri, scappa, c’è il Nemesis!

Magari non bisogna aspettarsi chissà quale qualità narrativa in un horror. Ciò che conta davvero è l’ambientazione e, in questo caso, anche il gameplay. Per tutta la durata delle missioni girovagheremo per la città in cerca di eventi paranormali, rigorosamente di notte, entrando negli appartamenti a luci spente e facendo meno rumore possibile. Fine, è tutto qua. Nessun ambiente effettivamente da film dell’orrore o quant’altro. L’unica situazione in cui il tutto si incupisce è al richiamo di The Shape, da cui dovremo scappare e nasconderci. Le missioni non sono per nulla interessanti; procedurali, sì, ma decisamente ripetitive. Il più delle volte bisognerà registrare con la camera del proprio smartphone gli oggetti evidenziati nell’abitazione indicata, “prove del paranormale” secondo i pretesti narrativi, ma sono a tutti gli effetti oggetti comuni che, francamente, non hanno niente di strano. Ma magari stiamo pensando troppo da adulti, per gli standard del gioco.

The Blackout Club si comporta essenzialmente come uno stealth rudimentale in prima persona. Ce la vedremo con diversi tipi di nemici che non hanno potuto non ricordarci gli infetti di The Last Of Us. C’è il sonnambulo comune, cieco, ma dall’udito acuto; i lucidi, persone sveglie che vedranno e sentiranno (ma non troppo bene, a dire il vero) e, appunto, The Shape, mostro invisibile a occhio nudo e che potremo osservare tenendo premuto Triangolo, chiudendo gli occhi, che si comporterà esattamente come un clicker. Se si commetteranno troppi peccati, così definite le aggressioni ai sonnambuli, lui ci darà la caccia ascoltando i nostri passi e, in caso dovesse acchiapparci, sarà game over istantaneo. Non troppo buona, insomma, la varietà dei nemici, considerando che gli ultimi due li incontreremo solo in occasioni speciali.

Il gioco ha però una fortissima componente online fino a cinque giocatori, uno dei pochi elementi in grado di dare un certo prestigio al titolo. Insieme, i giocatori dovranno svolgere gli obiettivi prefissati e successivamente ritornare tutti insieme alla base, evitando di farsi sopraffare dai nemici e, in caso, rianimando tutti i caduti. Concetto interessante, tuttavia il problema risiede ciò che lo circonda. Da segnalare che il gioco è accessibile (pur con qualche difficoltà aggiuntiva) anche offiline, ma vi assicuriamo che l’esperienza in solitaria ha molto meno da dire. Esiste anche una modalità competitiva contro lo stalker, che consiste in un viaggio di gruppo con uno dei giocatori che collaborerà segretamente con The Shape, indicandogli le prove dei “misfatti” per farlo comparire prima. Si tratta di una delle modalità più interessanti, ma anche la peggio riuscita. Lo stalker è troppo sbilanciato, più forte di tutti gli altri messi assieme e con più risorse. Non a caso è una delle modalità meno selezionate.

Un pezzo di legno impaurito

I movimenti in The Blackout Club sono troppo innaturali, rigidi come un pezzo di legno. Si percepisce una certa lentezza generale, sia nelle nostre azioni che in quelle avversarie, ed è poco intuitivo nelle sue meccaniche. Il gioco si limita a sbatterci in faccia innumerevoli wall of text che fungerebbero da tutorial, ma così difficili da assimilare tutti insieme che è meglio andare di pratica sul campo.

Sceglieremo un’arma dal bancone della base prima di andare in missione, tra un taser, un rampino e una balestra, oggetti utili contro un’intelligenza artificiale per nulla all’altezza che ci farà sentire inarrestabili per la maggior parte del tempo. The Blackout Club controbilancia la deficienza artificiale con una pessima calibrazione dei movimenti. Spesso verremo sentiti perché non c’è modo di sopprimere il rumore dei nostri passi se non – reggetevi forte – camminando su superfici soffici come i tappeti. Ogni passo, anche se abbassati, sarà per i sonnambuli una sfilata con i tacchi.

Un pretesto sensato per rendere il gioco più complicato è la nostra incapacità di mettere KO un sonnambulo in un faccia a faccia, ma questo concetto muore dopo poche ore di gioco grazie al sistema delle ability card, potenziamenti da equipaggiare al nostro alter ego che potranno garantirci un quantitativo maggiore di punti vita, più resistenza (quindi lo scatto prolungato) o, per l’appunto, la capacità di mettere fuori combattimento un adulto affrontandolo a viso aperto. Queste carte sono sbloccabili con i punti esperienza ottenuti a fine missione e con il conseguente level up, che però non si limita alla progressione del personaggio, ma anche a quella narrativa. In poche parole, se non del livello richiesto, non potrete accedere alle altre aree del gioco, meccanica che già dalle primissime battute di gioco busserà alla nostra porta e ci costringerà a ripetere sempre la stessa area. Si parte con il piede sbagliato.

Stranger things

Il comparto grafico di The Blackout Club è terrificante… e non in senso positivo. La fisica dei corpi e degli oggetti è paranormale, i modelli dei personaggi, insieme al resto dell’ambiente, danno un senso di plasticoso, le animazioni sono legnose e improponibili soprattutto nelle cutscene e le collisioni sono mal calibrate. Di dubbio gusto le skin dei personaggi, che è possibile cambiare ottenendo gli snack a fine partita (la valuta di gioco). A dir poco tremenda, e menzionata prima, è la creazione del personaggio. I modelli a cui attingere sono solo due, un corpo maschile e uno femminile, e altrettanti i volti, ma solo femminili. Questa mancanza, unita all’impossibilità di scegliere dei tagli di capelli maschili, vi spingerà a creare, per forza, una ragazza.

Il titolo tenta di salvarsi in extremis con il doppiaggio, questo ottimo e convincente, ma si calpesta i piedi con i sottotitoli, impossibili da seguire perché smettono di andare a tempo quando si sovrappongono due dialoghi. Manca la localizzazione in italiano ed è anonima la colonna sonora, per non parlare della inesistente profondità dell’audio cuffie alle orecchie. E’ da premiare l’innovativo Enhanced Horror System, una meccanica particolare che registra la nostra voce e l’intensità dei nostri respiri nel corso del gioco per simulare la narrazione di un incubo dopo una missione con il nostro stampo di voce. Da paura!

Trofeisticamente parlando: a nanna, su

Il povero elenco trofei di The Blackout Club non si degna di avere alcun Platino, presentando solo nove coppe di bronzo, tre d’argento e una d’oro. Come vuole la natura del gioco, tanti trofei sono online e richiedono di vincere un certo numero di partite di fila, curare e rianimare un compagno di squadra, catturare uno stalker, accumulare cinquecento punti impersonandone uno noi stessi in una sola missione e massimizzare abilità e sacrifici. Una lista trofei non troppo spaventosa né duratura, se accompagnati dai giusti partner.

VERDETTO

The Blackout Club è una buona idea sviluppata male. Il setting horror è ben marcato solo nelle prime fasi del prologo, il gameplay risulta rigidissimo e gli obiettivi da compiere ridondanti nella loro casualità. Non è un pessimo gioco, ma sembra ancora in fase di accesso anticipato. Il mercato ha certamente molto di meglio da offrire.

Guida ai Voti

Andrea Letizia
Cresciuto a pane, Kamehameha e Crash Bandicoot, inglesizzato grazie a Kingdom Hearts. Grande amante degli action RPG e dei platform, dei cani e del wrestling.