The Dark Pictures Anthology: Man of Medan – Recensione

Sviluppatore: Supermassive Games Publisher: Bandai Namco Piattaforma: PS4 Genere: Horror Giocatori: 1-5 (Online: 1-2) PEGI: 16 Prezzo: 29,99 € Italiano:

Un gioco come Until Dawn, uscito nel lontano 2015 e regalato poi con il PlayStation Plus nel 2017, pur senza aver fatto nulla di stravolgente, riesce a farsi ricordare come un piccolo gioiellino da tutti gli amanti dei film horror. La ricetta di Supermassive Games prevedeva un’abbondante dose di cliché propri del genere, dalla casa nel bosco ai personaggi stereotipati, dai comportamenti stupidi dei protagonisti al ricorso a elementi splatter, scene cariche di tensione e immancabili jumpscare. Tutto ciò unito al coinvolgimento proprio dei videogiochi e all’importanza data alle scelte del giocatore, in virtù dell’effetto farfalla e dei risvolti ramificati che esso dava alla trama.

Dopo gli esperimenti VR di Until Dawn: Rush of Blood e The Inpatient, la notizia che gli sviluppatori si stavano concentrando non su uno, ma su una lunghissima serie di videogiochi dedicati alle mille sfaccettature dell’horror è stata una vera e propria bomba per i cultori del genere. The Dark Pictures Anthology ha tutte le premesse per diventare un punto di riferimento interattivo per chi ama lasciarsi spaventare, ma se Supermassive Games vuole realizzare interamente il progetto non può commettere passi falsi. Scopriamo insieme se Man of Medan, il primo capitolo dell’antologia dell’orrore, centra il suo obiettivo.

Imbarcarsi verso l’orrore

La storia della Ourang Medan, la cui traduzione suona approssimativamente come Uomo di Medan, è vera. Si trattava di una nave mercantile olandese affondata in circostanze misteriose al largo dell’Indonesia, nel 1947. Secondo i racconti, prima del naufragio tutti i membri dell’equipaggio erano già morti. La leggenda vuole che i soccorritori trovarono i cadaveri in posizioni che lasciavano intendere un decesso intervenuto in seguito a un profondo terrore, con mani protese e occhi spalancati. La spiegazione più plausibile riguarda fumi tossici di acido solforico, capaci di sterminare l’equipaggio, ma l’argomento si presta a interpretazioni più fantasiose e spaventose.

Man of Medan parla proprio di un gruppo di tre ragazzi e due ragazze che, decisi a inseguire un misterioso tesoro, si ritrovano loro malgrado sulla nave maledetta. Starà a noi accompagnarli e scrivere il loro destino, sotto gli occhi cinici di un curatore che si presenta a noi all’inizio della storia e che ne fa da narratore esterno, intervallando la nostra avventura con intermezzi e consigli e prefigurandosi come il fil rouge tra questo e i futuri capitoli dell’antologia horror.

Squadra che vince…

Il primo aspetto che emerge dopo pochissimi istanti di gioco è che gli sviluppatori non hanno voluto discostarsi per nulla da quanto realizzato con Until Dawn. Il movimento del personaggio che controlliamo in una determinata scena con la levetta sinistra è pesante nel suo tentativo di simulare la realtà e dare consistenza al corpo, anche se a volte l’effetto appare un po’ robotico e, specie negli spazi più angusti, la gestione non è del tutto amichevole. La levetta destra è invece deputata al controllo dello sguardo, utile soprattutto per interagire con punti di interesse e oggetti collezionabili.

Non solo i comandi di gioco fanno il loro ritorno senza grandi spinte verso l’innovazione. Anche la struttura del menù e delle dinamiche tra protagonisti ricalcano quelle del più famoso titolo di Supermassive Games. Per ogni personaggio troviamo aspetti caratteriali che si modificheranno in base alle scelte intraprese e le relazioni tra coppie di protagonisti muteranno a seconda degli sviluppi della trama. Inutile sottolineare che anche il gameplay continua a basarsi su scelte ramificate, a volte accompagnate da un’icona che sottolinea se si tratta di una decisione “di cuore” o “di testa”, e su fasi QTE in cui interveniamo più dinamicamente.

Torna anche il sistema incentrato sul cosiddetto effetto farfalla. In questo caso si sfrutta, per restare in tema, il riferimento a una bussola, che può essere visualizzata nel menù e che tiene traccia delle decisioni più importanti eseguite nel corso della storia. Saranno proprio queste a determinare il destino dei personaggi e i diversi finali. Raccogliere un oggetto apparentemente innocuo potrà rivelarsi una scelta dalle conseguenze disastrose o salvifiche nel prosieguo della storia. Per concludere con le somiglianze tra Man of Medan e Until Dawn, non possiamo non citare le immagini, piccoli quadri con cornice bianca o nera che possiamo trovare lungo gli ambienti esplorabili e che ci fanno assistere a premonizioni, un po’ come i pezzi di totem nel precedente gioco.

Man of Medan non esce, insomma, dalla zona di comfort di Supermassive Games, il che non rappresenta necessariamente un difetto. Non sempre, infatti, innovare significa migliorare, e nello specifico i fan che da molti anni chiedono un seguito di Until Dawn non sarebbero stati troppo amichevoli verso un prodotto snaturato solo per apparire nuovo e diverso. Tutto ciò per confermare che, sì, Man of Medan è esattamente il gioco che vi aspettate, quindi una volta impugnato il controller non dovrete far altro che godervi la storia.

Fatemi respirare

Passando al contenuto del gioco e alle emozioni che trasmette, la domanda cruciale è una sola: Man of Medan fa paura? La risposta non è banale, soprattutto considerando che diverse sono le accezioni della paura, diverse le reazioni delle persone di fronte a uno stesso stimolo e diversi gli artifici che un abile narratore horror può sfruttare per toccare le corde più oscure dell’animo umano.

A un livello superficiale, possiamo dire che sì, il gioco sa spaventare. Il problema è che riesce a farlo al meglio, come spesso accade, quando non mostra troppo. Se nella prima parte la narrazione procede lenta e lineare per introdurre trama e personaggi, non appena si finisce sulla nave dell’orrore la tensione inizia a salire. Da una parte c’è la paura legata alla minaccia “umana” che incombe sui ragazzi, dall’altra tutto il terrore legato alla location spettrale e alle manifestazioni soprannaturali che la infestano.

Accanto agli immancabili jumpscare, che hanno il merito di rimetterci sull’attenti (tradotto: farcela fare addosso a tradimento) e di non essere troppo numerosi, troviamo un horror più psicologico, subdolo e convincente. Questo pone le sue basi sulla sensazione claustrofobica trasmessa da buona parte dei corridoi della nave, che dobbiamo percorrere ben sapendo di poter incorrere in qualche incontro sgradito, e su un vedo-non vedo che è l’aspetto più inquietante e meglio riuscito del gioco.

Capita, infatti, di scorgere in un angolo o in fondo a una stanza una figura spettrale, che compare per un tempo talmente breve da lasciarci con il dubbio se l’abbiamo realmente vista. In più di un’occasione ci siamo chiesti se una di queste figure antropomorfa fosse davvero comparsa a schermo, o se si fosse trattato di un gioco di luci combinato a una suggestione, il che testimonia che, in questo senso, Man of Medan è riuscito nel suo intento. Molto meno efficaci altre soluzioni più spettacolari, nelle quali mostri veri e propri inseguono i protagonisti. Un horror “visivo”, in questo caso, che serve alla causa ma non ha la stessa incisività di altre manifestazioni più occulte, almeno per chi è avvezzo a un certo tipo di cinematografia.

Insieme è meglio. Forse.

La grande novità introdotta da Man of Medan è la possibilità di completare la trama anche insieme agli amici. Nella modalità Serata al cinema il gioco si trasforma in un party game dell’orrore, nel quale fino a cinque giocatori controllano altrettanti personaggi, passandosi un unico DualShock. Nella modalità Storia Condivisa possiamo invece giocare insieme a un amico online, con risvolti e scene inedite, per approfondire ulteriormente un gioco che comunque potremmo ripetere quattro o cinque volte per esplorare ogni possibilità e/o per conquistare i trofei.

A tal proposito, non si può non annoverare tra i difetti la durata, davvero esigua e giustificabile solo in virtù del prezzo non eccessivo. L’impressione è che gli sviluppatori abbiano puntato sulla rigiocabilità piuttosto che su una storia corposa, senza però contare che non tutti i giocatori sono propensi a molteplici run. Segno meno anche per la “recitazione”, se così si può definire. Immaginiamo sia un problema legato alle diverse versioni che la storia può avere in base alle scelte del giocatore, ma in più di un’occasione le reazioni dei protagonisti a eventi drammatici è tutt’altro che coerente e realistica. Vedere Julia piuttosto tranquilla dopo che il suo Alex è stato ucciso con un colpo in testa, per fare un esempio, non gioca a favore del coinvolgimento.

Altro difetto, minore, riguarda alcune scelte decisive ai fini della trama (le scelte che incidono sulla bussola, per intenderci). E’ infatti poco chiaro che siamo di fronte a una svolta importante. Segnalare meglio il punto di snodo (un po’ come accade in Life is Strange, per esempio) avrebbe trasmesso un maggior senso di responsabilità e lasciato meno scelte al caso o alla fretta. Chiudiamo le critiche negative con alcuni brevi ma frequenti e fastidiosi scatti dell’immagine che si presentano quasi a ogni cambio scena e, a volte, anche nel mezzo del gameplay vero e proprio, almeno su PlayStation 4 Slim.

Dal punto di vista grafico, Man of Medan sa regalare ambientazioni capaci di lasciare a bocca aperta per il livello di fotorealismo raggiunto. Alcuni primissimi piani dei protagonisti rendono difficile capire che ci troviamo davanti a un videogioco e non a un film. Discorso diverso se dobbiamo valutare espressioni e animazioni, che non sono sempre al top, tra occhi da pesce lesso e bocche che fanno smorfie eccessive mentre parlano. Buono il comparto audio, con effetti sonori che contribuiscono a creare tensione e suggeriscono o sottolineano l’avvicinarsi di un momento spaventoso. Non eccelso il doppiaggio, ma se siete fan della prima serata del mercoledì su Cielo dovreste essere abituati.

Trofeisticamente parlando: mal di mare

Non è un segreto che i titoli fortemente orientati alla narrazione portino con sé trofei legati a finali multipli e, di conseguenza, la necessità di numerosi replay. Non è da meno Man of Medan, il cui trofeo di Platino, per nulla difficile, richiederà cinque o sei run, di cui almeno una da farsi nella nuova modalità online che farà storcere il naso a molti, anche perché questa risulta fondamentale per completare i collezionabili e alcune relazioni. Difficoltà nulla, invece, per gli altri trofei, soprattutto se userete la nostra guida.

VERDETTO

Con il primo capitolo della The Dark Pictures Anthology, Supermassive Games svolge il compito minimo. In un titolo che gli amanti dell'horror e dei "videogiochi a bivi" devono comunque recuperare, non facciamo una colpa alla durata esigua, alla reiterazione di tutte le meccaniche già note da Until Dawn e alla presenza di inevitabili cliché. Ci saremmo però aspettati un horror più suggerito che mostrato, celato nel buio e non illuminato dai fari della regia, un maggior pathos in occasione di scelte decisive e una maggior cura verso alcuni aspetti tecnici.

Guida ai Voti

Jury Livorati
Classe ’85, divido il tempo tra la moglie e i tre figli e le più svariate passioni. Amo la lettura, la scrittura e i videogiochi e recito dal 2004 con l'Associazione Culturale VecchioBorgo. Eterno bambino, amo la vita e guardo sempre allo step successivo, soprattutto se è più in alto del precedente. Sono grato a PlayStationBit per avermi fatto scoprire la (sana) caccia ai trofei e i Metroidvania.

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