The Long Journey Home – Recensione

Sviluppatore: Daedalic Entertainment Publisher: Daedalic Entertainment Piattaforma: PS4 Genere: Roguelike Giocatori: 1 PEGI: 16 Prezzo: 39,99 € Italiano:

Lo spazio aperto, quel capitolo di scienza che si studia a scuola e che genera maggior curiosità negli studenti grazie all’alone di mistero che lo avvolge. L’astronauta, il sogno di tanti bambini dallo spirito avventuriero. L’ignoto, la principale paura di molti di noi e il principale stimolo di altrettanti. Laddove la scienza non riesce a giungere, si spinge l’immaginazione umana.

Tutte queste premesse rendono lo spazio uno dei temi maggiormente ricercati dagli sviluppatori di videogiochi fin dai tempi di Space Invaders, fino a giungere all’ambiguo e ambizioso progetto No Man’s Sky. In questo contesto si getta Daedalic Entertainment, cercando di proporre un titolo di esplorazione spaziale che possa miscelare le meccaniche dei roguelike con un mondo di gioco procedurale ma narrativamente connesso. Un titolo pretenzioso considerando il prezzo di lancio, che vi richiederà di privarvi di ben due banconote azzurre e che tuttavia non ci ha convinti pienamente.

Houston, abbiamo un problema

Il preludio narrativo di The Long Journey Home è piuttosto semplice: un gruppo di astronauti viene selezionato per testare una nuova tecnica di esplorazione, ossia il salto interspaziale. La missione consiste nel giungere ad Alfa Centauri e tornare indietro. Purtroppo, le cose non vanno per il verso giusto e un malfunzionamento meccanico spedisce gli sventurati protagonisti dalla parte opposta dell’universo. L’obiettivo sarà quindi quello di attraversare l’universo per tornare a casa, raccogliendo le risorse necessarie sui vari pianeti e interagendo con forme di vita aliene dalle intenzioni sconosciute.

Una trama semplice che tuttavia i ragazzi di Daedalic hanno arricchito con una copiosa narrazione sui vari pianeti, sugli astronauti (che potremo selezionare fra una decina di alternative) e sulle loro relazioni e reazioni, sulle creature in cui ci imbatteremo, e così via. A livello di scrittura, The Long Journey Home raggiunge degli ottimi risultati, riuscendo a essere anche sufficientemente descrittivo e tecnico senza risultare tedioso.

Spazio in 2D 

Il gameplay di The Long Journey Home si divide in tre fasi. La prima consiste nella navigazione fra le galassie, rigorosamente in due dimensioni, durante la quale dovremo tracciare le traiettorie del nostro veicolo e sfruttare le corone gravitazionali dei corpi celesti. Una scelta concettuale molto interessante per quanto semplice.

La seconda è la fase più intima, ossia quella di esplorazione dei pianeti o di alcuni minigiochi che ci offre il titolo. Qui il gioco scade inesorabilmente nella mediocrità assoluta. Le esplorazioni sono del tutto anonime, i pianeti, per quanto diversificati a livello di design e per caratteristiche climatiche, si presentano come una breve pianura in due dimensioni su cui recuperare materiali, oggetti e interagire con gli alieni. Se ci si aggiunge la manovrabilità del lander che richiederebbe una patente specifica e che fa solamente innervosire, il piatto è servito. I minigiochi stessi, tra cui quelli dove ci viene consentito di sparare con la navicella spaziale, non riescono minimamente a risollevare la situazione, essendo legnosi e vuoti. Si aggiunge un problema da condividere con la precedente fase, ossia la pretesa di sviluppare un gioco ambientato nello spazio, ma di proporlo in due dimensioni, un ossimoro. Sembra cosa di poco conto e che può strappare un sorriso, ma questa scelta ha infranto i sogni dei bambini descritti nell’incipit della recensione.

Terza e ultima fase è quella di gestione delle risorse e dell’equipaggio, la quale ci porterà a trascorrere una discreta manciata di ore nei menù di gioco. Questi ultimi sono ben realizzati: comodi, chiari e schematici. Solitamente il menù viene preso in considerazione solo quando comporta dei problemi, ma è doveroso elogiarlo quando snellisce l’esperienza, come in questo caso.

Un cocktail di generi

Come preannunciato, The Long Journey Home cerca di pescare da più generi per offrire un’esperienza unica. Il fine pensiamo sia stato raggiunto, ma probabilmente non nel modo desiderato dagli sviluppatori. La proceduralità cercata da Deadalic garantisce una certa variabilità all’esplorazione, ma genera anche alcune galassie vuote o alcuni pianeti inesplorabili a causa di un clima fin troppo rigido. La meccanica roguelike del “riproviamo, magari stavolta sono più fortunato o me la gioco meglio” viene quindi accentuata, creando un titolo che, se giocato a difficoltà Normale (a difficoltà Facile è possibile fare il rewind in caso di morte), diventa fin troppo ostile. Ci ritroveremo spesso a dover avviare una nuova partita perché a corto di risorse o per eccessivi danni al lander e/o all’equipaggio, e tutto questo è frustrante.

Anche la sfumatura ruolistica dettata dai drop, dall’esplorazione e dalla gestione dei menù si rivela essere, con il passare delle ore, nient’altro che una bozza. Poche alternative anche nella scelta della nave e del lander. Inoltre saremo sottoposti a molti bivi decisionali in occasione dell’incontro con altre creature viventi o al ritrovamento di qualche reperto. Purtroppo quasi tutte le scelte saranno indirizzate (perché rifiutare un’offerta palesemente vantaggiosa?), mentre quelle più ambigue si riveleranno essere inutili ai fini della narrazione che, per ovvie ragioni, non riesce a raggiungere i cavilli della proceduralità.

Le garanzie deludono

Quando abbiamo letto che il motore grafico di The Long Journey Home era l’Unreal Engine, considerando il prezzo di lancio del titolo, le nostre aspettative estetiche sono salite in cielo, salvo poi cadere rovinosamente a terra e fare un botto clamoroso. Ci duole dire che raramente abbiamo visto l’Unreal Engine così malamente utilizzato. Passi un’estetica discutibile degli astronauti o degli alieni e le loro animazioni facciali appena accennate, ma il design dello spazio, dei pianeti e della navicella potevano e dovevano essere migliori. Texture da computer alimentato a criceti ed effetti di luce praticamente assenti cancellano quanto di buono fatto dal design di alcuni pianeti, piuttosto ispirato.

Inoltre, i caricamenti che ci attendono fra un’esplorazione e l’altra sono frequenti e non proprio brevissimi. Il comparto sonoro dell’opera di Daedalic Entertainment, nel suo complesso, è godibile ed efficace, pur non essendo molto curato. Ci teniamo anche a condividere con voi un’esperienza che abbiamo avuto con The Long Journey Home: la ventola della nostra PlayStation 4 si è tramutata in un phon da parrucchieri professionisti giocando, soprattutto in occasione della visita a pianeti dal clima particolarmente ostile, dove a livello sonoro ci siamo trasferiti in un “cantieri simulator”.

Quaranta sono gli euro da cui dovrete separarvi per far vostro The Long Journey Home, che altro non farà se non annoiarvi per le oltre venti ore di gioco richieste per completare il lungo viaggio verso casa. La noia persiste, e la delusione incombe. Vedere alcune buone idee immerse in un mare di monotonia è deludente, vedere una buona narrazione perdersi nella proceduralità degli eventi è deludente, vedere un level design intrigante gettato alle ortiche da una grafica imbarazzante è deludente, e potremmo continuare.

Trofeisticamente parlando: the long platinum

I trentanove trofei di cui dispone The Long Journey Home sono piuttosto lunghi e complessi. Vi sarà infatti richiesto di completare il gioco in modalità Rogue, dove in caso di morte (difficilmente evitabile), si riparte da capo. Vi verrà richiesto anche di esplorare ogni angolo dell’universo e prendere determinate scelte di dialogo. Insomma, se cercate un Platino rapido e indolore, guardate altrove.

VERDETTO

The Long Journey Home è l'ennesimo tentativo di portare nelle nostre console un'avventura nell'immenso spazio aperto che soddisfi la nostra sete di conoscenza e ci trasmetta la paura dell'ignoto. Nonostante le interessanti premesse narrative e qualche ottima idea concettuale di fondo, l'ultima fatica di Daedalic Entertainment si accartoccia su sé stessa dopo qualche manciata di ore di gioco a causa dell'eccessiva ripetitività e di una pochezza tecnica alquanto ingiustificabile, soprattutto considerato il prezzo di lancio. Consigliato solamente agli appassionati dello spazio e ai fanatici dei roguelike alternativi, gli altri guardino altrove.

Guida ai Voti

Giovanni Paolini
Catalizzatore di flame sul web e drogato seriale di fantacalcio, Giovanni vede il videogioco come un'espressione artistica piuttosto che come un mero intrattenimento privo di contenuti significativi. Per questo motivo, ripudia il 90% dei AAA e si tuffa sfacciatamente nel mercato indipendente, rimanendone il più delle volte scottato seppur senza rimorsi. Amante della musica di qualità, delle narrazioni articolate e di design ispirati, si è tuttavia mostrato fin dall'adolescenza ossessivamente attratto dai personaggi femminili antropomorfi, mistici o animati, universalmente conosciuti come waifu. Rappresenta orgogliosamente la vena toscana del Bit.