The Outer Worlds – Recensione

Quando si viene a sapere che uno sviluppatore come Obsidian Entertainment, che ricordiamo, tra gli altri, per Fallout: New Vegas, Pillars of Eternity e Star Wars: Knights of the Old Republic II, sta lavorando a un nuovo gioco di ruolo d’azione futuristico un po’ di emozione la si prova. Tra prime informazioni, trailer dedicati alle ambientazioni del gioco, cenni di lore e sequenze di gameplay, l’offerta di The Outer Worlds si è presto palesata al pubblico e ha dato apparentemente ragione all’hype iniziale, soprattutto per chi aveva fame di un certo tipo di videogioco ed era rimasto deluso dal famigerato Fallout 76. Dopo aver trascorso un buon numero di ore nella colonia di Alcione, siamo pronti a darvi la nostra opinione definitiva su un titolo che, comunque vada, si è già ritagliato un posto tra i più gettonati del 2019.

The Outer Worlds

Dormito bene?

La Speranza è una nave spaziale che trasporta individui verso i confini della galassia, nella colonia di Alcione, terra di nuove opportunità lavorative che promette un futuro radioso ai suoi aspiranti cittadini. La perfetta, quasi matematica organizzazione sociale e la presenza di numerose fazioni garantiscono una vita felice e ordinata e un lavoro sicuro a tutti. Nel trasferimento, che dura dieci anni, le persone vengono ibernate, per risvegliarsi poi nella loro nuova dimora. Ma un problema tecnico durante il viaggio del 23 ottobre 2320 porta la Speranza a smarrirsi nelle profondità dell’universo, con il suo carico di vite umane destinato al tragico oblio.

Non tutto è perduto. Un certo Phineas Vernon Welles, che scopriamo essere ricercato dalle autorità coloniali, fa irruzione sulla Speranza a bordo della sua navicella e recupera una persona a caso tra le centinaia di migliaia in stato di ibernazione: il nostro personaggio. Risvegliatici dopo un sonno di oltre settant’anni e risparmiati da una morte atroce da un composto chimico di Phineas, scopriamo che per riportare in vita gli altri c’è bisogno di altre risorse e che spetta a noi recuperarle su Alcione, facendoci aiutare da Hawthorne, un collega del nostro salvatore. Peccato che Hawthorne resti ucciso da noi mentre atterriamo, il che ci lascia soli con il nostro obiettivo, in una terra sconosciuta e molto più ostile e corrotta di quanto potessimo immaginare prima di partire.

Un vero action RPG

Negli ultimi anni abbiamo visto spesso, e con frequenza crescente, giochi di natura prevalentemente action adventure che si forgiano della dicitura “con elementi RPG”. Pensiamo ai recenti Assassin’s Creed, ma in generale a tutti i titoli che integrano un sistema di potenziamento delle abilità del personaggio attraverso un aumento del livello di esperienza. Nella realtà, questi sistemi simulano in modo piuttosto blando le vere meccaniche di un RPG puro. Anche The Outer Worlds non rispetterà tutti i crismi del genere, ma è sicuramente più autorizzato di altri ibridi a forgiarsi del nome di gioco di ruolo.

The Outer Worlds

Il nostro personaggio, che possiamo creare all’inizio con un editor completo ma non maniacale, ma che poi controlliamo in prima persona, è dotato di diversi tratti che è possibile potenziare nel corso dell’avventura, dalle abilità nel combattimento in mischia e a distanza alle doti di persuasione nelle conversazioni, dalle conoscenze ingegneristiche alla furtività e all’abilità nei commerci. Ogni azione in-game, come completamento di missioni, scoperta di luoghi e uccisione di nemici, contribuisce ad accumulare esperienza e a salire di livello, il che ci permette di spendere punti prima in categorie di abilità (fino al loro grado 50) e poi in abilità specifiche (dal 50 in avanti). Ogni due livelli possiamo anche attivare un vantaggio, una sorta di bonus che influisce su una specifica caratteristica del personaggio, mentre in base alle nostre debolezze nel combattimento potremo di tanto in tanto ricevere difetti, ossia dei malus, e decidere se accettarli o meno.

Sempre nell’ambito del genere di appartenenza, possiamo contare su un complesso sistema di inventario che include la gestione del vestiario, delle armi e di oggetti vari tra cui il cibo, fondamentale alla difficoltà massima che introduce elementi survival. Ogni capo di abbigliamento e arma ha precisi valori di protezione e di attacco che possiamo potenziare ai banchi di lavoro, presenti in diverse location. Agli stessi banchi possiamo smantellare oggetti e usare i materiali per migliorare l’equipaggiamento, oppure installare accessori per rendere le armi più letali, o ancora riparare tutto ciò che ha perso efficacia in seguito all’uso prolungato.

Uomo del popolo

Le cose da fare non mancano. Il nostro essere sconosciuti e il non appartenere a nessuna fazione non sono un pretesto sufficiente a evitare che chiunque si fidi di noi e ci affidi missioni secondarie. Spetterà a noi decidere se accettarle e se portarle a termine mentre ci dedichiamo al nostro obiettivo primario, anche se il consiglio è quello di esplorare tutto quello che il gioco ha da offrire. I personaggi hanno infatti storie variegate e interessanti e i dialoghi, più o meno approfonditi in base alle risposte che scegliamo, contribuiscono a dare forma e colore all’universo immaginario di The Outer Worlds.

Lo spostamento sulla mappa – o meglio, sulle mappe, visto che non resteremo sempre nello stesso luogo – si avvale della classica bussola nella parte alta dello schermo, che mostra sempre in modo comodo e intuitivo la direzione dell’obiettivo di missione e la posizione di nemici e alleati. Una mappa più completa è accessibile dal menù, nel caso volessimo orientarci meglio o approfittare del viaggio rapido. L’estensione degli scenari non è irresistibile, ma il backtracking richiesto da alcune missioni facoltative e i tempi di caricamento al passaggio in ogni nuova area ci porteranno spesso a sfruttare il teletrasporto.

Non saremo del tutto soli nel corso dell’avventura. Le vicende ci porteranno infatti a incontrare personaggi secondari che possono diventare nostri alleati e che ci seguiranno offrendoci aiuto sia nei combattimenti veri e propri che in alcune fasi di dialogo. Non solo, ma i compagni saranno portatori di missioni facoltative, contribuendo ad arricchire l’offerta del gioco. Spetta a noi gestire le loro azioni, definendo approccio ed equipaggiamento, facendoci seguire o chiedendo di aspettare e sfruttando i loro attacchi speciali. La gestione di questi comprimari è un fattore chiave soprattutto alle difficoltà alte, dove la loro morte è irreversibile.

The Outer Worlds

Alla portata di tutti

I controlli di gioco sono chiaramente votati alla comodità di fruizione da parte tutti i giocatori. Non aspettatevi una deambulazione e un combat system di tipo simulativo, ma siate certi che vi sposterete e affronterete i nemici in modo gratificante. Il corpo del personaggio non trasmette la sensazione di peso, l’incedere è fluido e lineare, i salti sono esageratamente estesi ma efficaci, lo scatto ha una durata generosa e aiuta a superare abbastanza agevolmente i viaggi a piedi sulla media distanza. Il realismo si piega insomma alle esigenze di gameplay, ma il risultato è soddisfacente.

Lo stesso si può dire per il sistema di combattimento. Possiamo equipaggiare fino a quattro armi per volta, selezionabili da una ruota a cui accedere con il tasto Triangolo e suddivise in armi da corpo a corpo o armi da fuoco. Queste ultime possono portare quattro diversi tipi di attacchi “elementali”, dallo shock elettrico ai raggi N, dagli attacchi al plasma ai colpi corrosivi. In ogni caso, anche il feedback delle armi risponde alle stesse leggi del movimento del personaggio, con un sistema di mira basilare, nessun rinculo, munizioni a piacimento in ogni dove e ricarica rapida. Una comoda e non inedita funzione di rallentamento del tempo, il DTT, ci aiuta poi a prendere la mira nelle fasi più concitate. L’unico elemento da tenere presente è la perdita di performance delle armi con l’utilizzo prolungato, ma non ci si trova mai in seria difficoltà neanche per questo.

Estendiamo il discorso, per completezza, al corpo a corpo. Dalla sciabola che troviamo nelle prime battute alle altre armi per il combattimento in mischia, affrontare un predone, un animale o un robot da vicino sembra tutto fuorché realistico. Possiamo scattare in avanti, arretrare e scartare, oppure parare con il giusto tempismo, sempre che non si voglia un approccio più furtivo con un’eliminazione silenziosa e immediata, ma dimentichiamoci una risposta “fisica” ai colpi e accontentiamoci di indebolire e uccidere con efficacia il nemico. Lo ribadiamo: mettendo sulla bilancia la rinuncia ad aspetti più realistici e l’immediatezza del gameplay, quest’ultima fa pendere l’ago verso una valutazione positiva.

The Outer Worlds

Una storia scritta da noi

A livello di storia, The Outer Worlds è molto appagante e risulta un prodotto confezionato con saggezza. Non aspettatevi una sceneggiatura rivoluzionaria e ricca di colpi di scena indimenticabili, ma abbiamo da una parte un filone principale lineare e facile da seguire e tutt’intorno una serie di sotto-trame che coinvolgono le fazioni e che si intrecciano parzialmente con il nostro obiettivo. Per chi ha tempo e pazienza di approfondire ogni dialogo e di leggere ogni documento e ogni file reperibile sui numerosi terminali all’interno degli edifici, i contenuti non mancano.

La storia è fondamentalmente scritta da noi. Possiamo infatti attivare o meno missioni facoltative, seguirle tutte o in parte, o ancora saltarle a pie’ pari. Non solo, ma ogni obiettivo offre una moltitudine di approcci: possiamo decidere di usare la forza, ricorrere alla diplomazia con il dialogo o alla furbizia con i travestimenti; possiamo andare dritti alla meta o sfruttare vie secondarie; possiamo spalleggiare questa o quella fazione o essere amichevoli o ostili con tutti. Il senso di libertà è molto forte.

Un aspetto molto significativo è poi quello dell’umorismo che pervade tutto il gioco. Niente di eclatante e fuori dalle righe, ma un’ironia velata che traspare da piccole azioni, linee di dialogo e situazioni e che, nel complesso, dona al titolo una generale leggerezza. Chi cerca epicità e senso di tensione potrebbe restarne spiazzato, mentre per gli altri sarà interessante portare a termine le missioni senza mai scordarsi che, in fondo, stanno giocando.

Bello, ma quanto carica!

The Outer Worlds rappresenta, in conclusione, un gioco ricco, dalle molte sfaccettature e con più livelli di profondità per adattarsi alle esigenze di diversi tipi di videogiocatore. Basti pensare che può essere completato in cinque o sei ore, così come in una trentina. Tutto dipende da quanto vogliamo immergerci nel suo universo. Le buone vendite e la buona accoglienza della critica testimoniano l’ottimo lavoro fatto da Obsidian e gli amanti del genere dovrebbero sicuramente dare una chance al titolo.

I difetti non mancano, come sempre. Il primo riguarda sicuramente i tempi di caricamento, lunghi e deleteri per il ritmo di gioco. Ogni volta che entriamo o usciamo da un insediamento, dalla nostra nave o da un edificio particolare, dobbiamo sorbirci almeno una trentina di secondi di attesa, il che diventa fastidioso soprattutto quando ci stiamo dedicando alle missioni secondarie fatte di rapidi e frequenti viaggi di andata e ritorno. Anche l’accumulo spropositato di missioni che ci vengono proposte dai PNG non aiuta, perché ci porta a sentirci oppressi dalle cose da fare e rema contro la volontà di approfondire per bene le singole trame. La varietà dei nemici non è eccelsa e il livello di difficoltà Normale è tarato verso il basso per buona parte del gioco, con picchi solo in corrispondenza di alcune missioni chiave. Il consiglio per i più navigati è di buttarsi, anima e corpo, nella difficoltà Supernova.

The Outer Worlds

Graficamente il gioco non si posiziona tra i migliori esponenti della generazione, ma ha comunque un suo stile definito e coerente. Gli scenari che visitiamo nel corso dell’avventura sono mediamente variegati, anche se a dire il vero funzionano più nel generale che nel particolare. Il colpo d’occhio su vasta scala è sempre gradevole, mentre nelle singole aree si nota una buona dose di copia e incolla. L’aspetto meno convincente è una certa mancanza di nitidezza nella scena, che a volte rende un senso di confusione in ciò che vediamo a schermo. Nella norma l’accompagnamento della colonna sonora, senza infamia né lode, e il doppiaggio inglese, con un appunto sul già noto problema dei testi scritti in caratteri troppo piccoli e di difficile lettura.

Trofeisticamente parlando: un Platino coloniale

Diversamente da quanto ci si aspetterebbe, la caccia al Platino di The Outer Worlds non sembra un’impresa. Oltre a numerosi trofei legati a eliminazioni eseguite in modo particolare o ad azioni specifiche, che si ottengono quasi automaticamente nel corso di una o due run, l’unica difficoltà sta nella necessità di completare il gioco in modalità Supernova. Per il resto, ci sono alcune scelte che si escludono a vicenda, ma niente che la classica tecnica dei salvataggi di backup e la nostra guida non possano risolvere.

https://www.youtube.com/watch?v=0dBBN_I59EQ
Jury Livorati
Classe ’85, divido il tempo tra la moglie e i tre figli e le più svariate passioni. Amo la lettura, la scrittura e i videogiochi e recito dal 2004 con l'Associazione Culturale VecchioBorgo. Eterno bambino, amo la vita e guardo sempre allo step successivo, soprattutto se è più in alto del precedente. Sono grato a PlayStationBit per avermi fatto scoprire la (sana) caccia ai trofei e i Metroidvania.

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