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South of the Circle – Recensione Speedrun

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Per sfuggire al caldo torrido di questa estate ci siamo rifugiati nella recensione Speedrun di South of the Circle. Dopo due anni di successi su dispositivi mobili, State of Play e 11bit Studios portano la loro opera polare anche su PlayStation. Sia che abbiate già sentito qualcosa della storia di Peter, sia che siate all’oscuro delle sue avventure, continuate a leggere. Scoprirete così se il passaggio su console Sony ha giovato a questa produzione.

A Sud del Circolo

Ci troviamo nei ruggenti anni Cinquanta. La Guerra Fredda tra Stati Uniti e Unione Sovietica sta infuriando, con spie pronte a rubare segreti a entrambi i contendenti. In questo lungo periodo conflittuale, alleanze di creano e si sciolgono, così come i ghiacci dell’Antartide. Il paragone non è inserito a caso, perché in questo clima di tensione veniamo lanciati nei panni di Peter. A differenza dei vari Call of Duty e simili però non saremo un soldato invincibile pronto a tutto. Peter è infatti un ricercatore dell’università di Cambridge, invischiato in una ricerca scientifica all’apparenza infruttuosa.

Come apprenderemo rapidamente, il nostro eroe è il classico tipo che preferisce la scrivania all’azione. Nonostante questo, il suo direttore e i suoi colleghi si aspettano dei risultati. Serve una pubblicazione in grado di dargli una cattedra e far risplendere il suo nome. Sembra una causa persa, almeno fino alla comparsa di Clara. La giovane, anch’essa ricercatrice, che stabilisce con Peter un profondo legame. Questo permette alla coppia di sviluppare un’idea che porta il protagonista… All’inizio del gioco. South of the Circle parte infatti in medias res. L’aereo Peter si è appena schiantato sul suolo antartico. Un atterraggio di fortuna, causato da una tormenta, che porta il nostro a vagare per i ghiacci in cerca di aiuto.

Nel corso del suo peregrinare, Peter avrà una serie di flashback più o meno lunghi. Questi svelano come sia arrivato in un posto così freddo e desolato. Senza spoiler eccessivi sulla trama (che rappresenta di fatto uno dei pochi elementi che compongono il gioco), possiamo dirvi che South of the Circle mischia sapientemente amore, guerra e dubbi esistenziali. Tutto questo viene messo su schermo da una grafica molto particolare. Tutto è infatti realizzato in maniera simile a un’opera d’arte del periodo. Ogni scena sembra un poster anni Cinquanta, con personaggi perfettamente caratterizzati e realizzati. Molto buono anche il doppiaggio, in un ottimo inglese. Sfortunatamente, come vedremo, non è tutto oro quello che luccica.

Tra passato, presente e futuro

Il gameplay di South of the Circle è incredibilmente semplice. Il gioco è di fatto un ibrido tra visual novel e walking simulator. La scelta stilistica degli sviluppatori è comunque encomiabile. Nessuna opzione scritta da scegliere, ma piuttosto alcuni baloon che rappresentano le emozioni di Peter. Il cerchio rosso tremolante indica paura, il pallino viola basso la timidezza e il sole una risposta felice e positiva. Tutto è molto semplice e intuitivo, anche se a volte dà la sensazione di essere un po’ casuale. Selezionare una risposta negativa e vedere invece che le parole pronunciate dal protagonista sono remissive lascia l’amaro in bocca, in certi frangenti.

Nonostante questo, la storia prosegue sempre serena, complice anche la carenza di veri e propri bivi. Le scelte non modificano radicalmente la storia, ma offrono solo alcuni agganci. Il filone principale rimane pressoché invariato, portando Peter a vagare per i ghiacci e interagire con alcuni oggetti. Nessuna prova di abilità (se non un paio di brevissimi mini giochi) e tanto testo da digerire. Quest’ultimo però è davvero eccellente. South of the Circle racconta una storia a suo modo interessante, anche se abbastanza prevedibile. Ci sono un paio di colpi di scena ben piazzati, ma in generale si ha sempre la sensazione di poter dire cosa succederà nel breve termine.

L’atmosfera generale è comunque ottima. Questo complice anche una colonna sonora di grande qualità e la già citata grafica. Nel complesso, il comparto tecnico riesce a restituire le giuste sensazioni in ogni momento della storia. Sfortunatamente, a spezzare questo idillio ci pensano i tanti (troppi) errori grafici. Personaggi fluttuanti e compenetrazioni distruggono quanto di buono fatto da grafica e sonoro. La possibilità di sistemare questi problemi c’è: sta ai ragazzi di State of Play rimboccarsi le maniche per aggiustare il prodotto.Una patch al day one sarebbe sufficiente per portare il gioco al meglio su PlayStation. Chiudiamo parlando del porting e della longevità. South of the Circle è una storia molto breve, della durata di un film, e peraltro poco incline a essere rigiocato (se non per scoprire i vari risvolti della storia). Relativamente al passaggio su console, invece, l’implementazione dei comandi è buona. Nonostante questo, il DualSense non è stato per nulla sfruttato. Un vero peccato: utilizzare vibrazioni e microfono avrebbe sicuramente aumentato l’immersione del giocatore.

Trofeisticamente parlando: coppe perse nel ghiaccio

La più grande delusione di South of the Circle arriva dalla lista trofei del gioco. Le coppe da sbloccare sono soltanto dieci e tra queste non figura l’ambito Platino. Il valore generale è comunque buono. Ben sei trofei d’argento e uno d’oro, anche se come detto il tutto lascia un po’ di amaro in bocca. Terminare l’avventura facendo attenzione a interagire con ogni oggetto è comunque sufficiente a sbloccare tutti i trofei presenti nella lista. Si otterrà così un 100% decisamente facile e alla portata di tutti.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
7/10
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Nato e cresciuto in cattività, il giovane Stefano è stato svezzato a latte in polvere e Nintendo, cosa che lo ha portato con gli anni a dover frequentare svariati osteopati a causa delle deformazioni alle mani causati dall'uso di pad rettangolari. Oggi ha una certa età e scrive per il Bit, non perché abbia una scelta, ma perché altrimenti il boss Dario lo fustiga con le copie invendute di Digimon All-Star Rumble. Nel tempo libero si dedica occasionalmente al suo lavoro di commesso di telefonia e soprattutto alla caccia al Platino, con scarsi risultati.