Metal Gear Solid V: The Phantom Pain – Recensione

Sviluppatore: Kojima Productions Publisher: Konami Piattaforma: PS4 (disponibile anche per PS3) Genere: Stealth Giocatori: 1 (Online: 1-2) PEGI: 18 Prezzo: 69,99 € Italiano:

Non abbiamo né nazione, né filosofia, né ideologia. Andiamo dove siamo necessari, combattendo non per un paese o un governo, ma per noi stessi. Non ci serve un motivo per combattere. Combattiamo perché siamo necessari. Saremo il deterrente per coloro che non hanno altra risorsa.

Siamo soldati senza frontiere, il nostro scopo è definito dall’era in cui viviamo. A volte dovremo vendere noi stessi e i nostri servizi. Se i tempi lo richiederanno, saremo rivoluzionari, criminali, terroristi. E sì, forse andremo tutti dritti all’inferno. Ma quale posto migliore per noi di questo? E’ la nostra unica casa. Il nostro paradiso e il nostro inferno.
Questo è Outer Heaven.

metal-gear-solid-5_002The Final Countdown

Se dovessimo trovare un titolo che fu in grado da solo di spingere le vendite di PlayStation 3, senza dubbio dovremmo citare Metal Gear Solid 4: Guns of The Patriots; trascorsi ben sette anni dal suo debutto e successo, lo storico franchise ritorna sotto i riflettori e con lui l’indiscusso estro del maestro Hideo Kojima. Stiamo proprio parlando di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain e degli eventi che seguirono al prologo, rappresentato da Ground Zeroes.

Effettivamente qualcosa è cambiato, probabilmente un po’ per le burrascose vicissitudini intercorse fra il producer giapponese, ossia lo stesso Kojima-san e Konami, o più semplicemente perché siamo di fronte a quella che dovrebbe essere la giusta conclusione per una saga che, nel bene e – nel poco, a dirla tutta – male, ha fatto la storia medium videoludico, facendolo crescere e affiancandolo, almeno in parte, a opere letterarie e cinematografiche dalle tematiche più mature.

metal_gear_solid_5_you_spin_me_round-000-600x338You spin me round

Trascorsi nove anni dagli eventi di Ground Zeroes, Snake alias Punished Venom Snake si risveglia in un letto di ospedale – scena emblematica di questo nuovo capitolo, che ha fatto capolino nei vari trailer di presentazione – malridotto a causa di innumerevoli schegge, frutto dell’esplosione dopo l’attacco da parte della XOF, capitanata da Skull Face, alla nostra Mother Base; questa ripresa sembra quasi voler enfatizzare una sorta di resurrezione per il nostro eroe, ma che al contempo, lo rende quasi più umano – verrebbe da dire fragile – vicino come è alla morte, in quanto la maggior parte di quei frammenti sono in prossimità del cervello e del cuore.

Un’ulteriore testimonianza della fragilità, sia fisica che mentale, sono le settimane intercorse per il “parziale” recupero e per l’accettazione della propria condizione e dei propri limiti. Quindi si riparte con la medesima cruda e reale violenza che ha concluso Ground Zeroes, per circa un’ora di prologo avremo a che fare con spietate scene che ben si ricollegano al suddetto finale, ma senza l’inossidabile Snake, ben lontano dall’essere l’abile guerriero in grado di fronteggiare missioni e nemici al limite dell’umana capacità; nove anni di coma sono tanti, troppi, e i tragici eventi trascorsi non aiutano di certo.metal gear solid the phantom pain 035Take on me

La qualità c’è, si vede sin da subito che siamo di fronte a un prodotto in grado di dare una degna conclusione alla celeberrima saga, facendo sì che tutte le legittime preoccupazioni derivanti da Ground Zeroes – e dai ben noti problemi – siano effettivamente abbandonate, anche grazie e ancora una volta verrebbe da dire, alla capacità di Kojima di osare e di spingersi ben oltre – e per certi versi molto oltre – dove nessuno, avendo per le mani un titolo di sicuro successo, si sarebbe mai spinto, ma probabilmente è proprio questo uno dei cardini di tale exploit. Purtroppo, l’effetto adrenalinico inizia a scemare non appena terminato il prologo, poiché la struttura di gioco si avvicina enormemente all’open world di Peace Walker, facendo quindi storcere il naso ai fan di vecchia data e riportando il giocatore ad approcciarsi al gioco in maniera più cauta, probabilmente meno emozionale rispetto a uno Snake Eater o al più recente Guns of The Patriots.

I cambiamenti rispetto ai vecchi capitoli si sentono, e soprattutto in termini narrativi manca quella epicità che ha contraddistinto i passati titoli della serie. Sebbene dietro alla sadicità e alla mancanza di emozioni del nostro principale nemico, ovvero Skull Face, si celi sostanzialmente una vendetta ben orchestrata e una storia a tratti ben strutturata, sembra sempre che manchi quel tassello finale che possa far di Metal Gear Solid V: The Phantom Pain quel capolavoro che tutti noi speravamo, generando in noi odio e amore. The Phantom Pain è arrivato probabilmente nel periodo giusto e sicuramente a una distanza davvero notevole rispetto allo scorso capitolo della serie, rappresentando nel bene e nel male un cambiamento epocale per il brand e per quanti vi abbiano lavorato a partire da Hideo Kojima, passando poi per la Kojima Productions – e quindi a tutti i suoi collaboratori – e infine arrivando alla stessa Konami; tuttavia l’attenzione ai dettagli giustifica pienamente i tempi di sviluppo.

metal gear solid the phantom pain 034Here’s to you

E’ naturale chiedersi, vista se l’enorme novità apportata alla serie, ossia l’open world, sia reale o fittizio. Diciamo che la risposta potrebbe essere un “ni” in quanto sì, è possibile esplorare le vaste zone disponibili alla ricerca di collezionabili o comunque dei materiali necessari, ma in fin dei conti la libertà di poter interagire con l’ambiente circostante è davvero limitata e forse, alla lunga, l’esplorazione un po’ fine a sé stessa, pertanto il tutto potrebbe stancare. The Phantom Pain comunque risulta essere, per ovvi motivi, il Metal Gear più dinamico e meno schematico mai realizzato da Kojima, che permette al giocatore di poter decidere quale approccio adottare per affrontare le varie missioni, richiamando sotto certi aspetti Snake Eater in quanto, qualora si venisse scoperti si potrà accantonare la componente stealth e andare giù pesanti, sparando come se non ci fosse un domani.

Kids in America

La struttura pensata dal buon Hideo prevede che ogni obiettivo di una certa missione sia circoscritto a una determinata area di gioco, più o meno vasta che, come detto in precedenza, può essere esplorata liberamente; tale decisione ha permesso quindi di concentrarsi maggiormente sugli incarichi e sulle ambientazioni di gioco più “importanti” in riferimento alla trama principale e di realizzare un giusto connubio fra free-roaming e quest principali. Naturalmente la possibilità di poter esplorare le zone circostanti influenza inevitabilmente anche il ritmo di gioco, che inizialmente parte con il cosiddetto botto e che poi potrebbe – anzi va – a scemare gradualmente soprattutto perché dobbiamo pianificare al meglio le nostre azioni, utilizzando il nostro indispensabile binocolo, che permette di marchiare i nemici e gli obiettivi, in modo tale da poter poi capire come approcciarsi al meglio all’incarico, aspettando il più delle volte anche il favore dell’oscurità. L’alternanza fra giorno e notte infatti, insieme al cambiamento delle condizioni atmosferiche, non solo influenzano la nostra visibilità e quella dei nemici, ma portano a dei radicali cambiamenti anche in termini di sorveglianza da parte di questi ultimi.

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Grande supporto riceveremo dall’ausilio dell’iDroid, una sorta di interfaccia computerizzata attraverso la quale sarà possibile selezionare le missioni, richiedere l’equipaggiamento sul campo da battaglia e controllare i progressi della nostra Mother Base; uno strumento indispensabile che però risulta essere un tantino complesso da utilizzare in determinati frangenti e difficilmente si riuscirà a memorizzare l’intero menù a disposizione, con la moltitudine di funzioni disponibili. La maggiore dimensione della mappa di gioco rappresenta un’evoluzione di quanto visto in Snake Eater, portando il giocatore a percepire che qualora la mossa non venisse adeguatamente ponderata, le conseguenze potrebbero essere devastanti sotto certi versi ma offrendo comunque quel pizzico di imprevedibilità che può potare solo maggiore sfida e divertimento.

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Uno degli aspetti più discussi, implementati dalla Kojima Productions, è il Fulton Recovery System: un palloncino aerostatico auto-gonfiante, la cui sigla è STARS, trae origine da un reale sistema militare di recupero dei materiali utilizzato agli inizi degli anni Cinquanta che, se adeguatamente usato e potenziato, permetterà al nostro Venom Snake di recuperare qualsivoglia oggetto o persona e di spedirlo direttamente al campo base. Man mano che si prosegue nel gioco e soprattutto si potenzia il sistema Fulton, avremo modo di recuperare facilmente veicoli corazzati e contenitori carichi di materiali oltre ai soldati necessari ad accrescere le file del nostro esercito privato. L’importanza di tale sistema di recupero è enorme, anche perché permette di salvare i prigionieri in un batter d’occhio, accrescendo ulteriormente il nostro grado di eroicità e di occultare i soldati nemici tramortiti facendoli volare via, anche se il consiglio è di usarlo quando nei dintorni vi è poca vigilanza, onde evitare spiacevoli conseguenze.

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Dancing in the dark

Qualora vi sentiate frustrati perchè non riusciate a superare i nemici, avrete la possibilità di indossare il Chicken Hat, altra genialata di Kojima; questo particolare e bizzarro “cappello” vi renderà meno visibili ai nemici e in maniera molto irriverente sarà anche visibile nelle cut scene di gioco; tale trovata non è però stata ben accolta dalla maggior parte dei fan della serie, e insieme al Fulton Recovery System sembra quasi voler accentuare un tratto di comicità e autoironia, che delle volte serve a smorzare l’azione di gioco e a ricordarci che non sempre bisogna prendersi troppo sul serio.

Africa

Tecnicamente parlando, Metal Gear Solid V: The Phantom Pain risulta essere un titolo molto valido, merito soprattutto del Fox Engine che ha permesso al team di sviluppo di concentrarsi maggiormente sulle animazioni e sulle espressioni facciali dei personaggi. La più importante dimostrazione circa la validità del motore grafico è comunque data dalla vastità della mappa di gioco, che soltanto in alcuni casi ha portato lo sviluppatore a ridurre leggermente l’impatto visivo di alcuni elementi circostanti. D’altro canto, anche gli effetti luce e particellari sono realizzati in maniera quasi maestosa così come il ciclo giorno/notte e i cambiamenti atmosferici. Durante la nostra avventura sarà quasi impossibile non fermarsi per ammirare il panorama del vastissimo Afghanistan, in quanto la cura dei dettagli rasenta la perfezione; stessa cosa vale per la pluralità di elementi visibili in Sud Africa, a dimostrazione che il lavoro nel realizzare il tutto è stato davvero notevole.

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Love is a Battlefield

Motore grafico e animazioni si mescolano in maniera egregia con il gameplay di gioco, che gira ottimamente a 1080p e 60 frame per secondo, con sporadici cali in alcune concitate situazioni – nulla di allarmante – il cui taglio cinematografico risulta al contempo essere supportato da un comparto audio davvero eccellente, non solo per quanto riguarda la colonna sonora, ma bensì in riferimento agli effetti ambientali che ci circondano. Da sottolineare la presenza del subsurface scattering, una particolare tecnica di illuminazione dinamica della pelle che permette alla luce di filtrare attraverso l’epidermide del soggetto, restituendo così un immagine molto più naturale e meno piatta.

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Parlando invece dell’intelligenza artificiale, risulta essere abbastanza buona e bilanciata nel complesso sebbene, qualora dovesse scattare l’allarme, i nemici tenderanno a cercare Snake dirigendosi verso l’ultima posizione conosciuta e soltanto in alcuni casi tale ricerca porterà gli stessi a separarsi per setacciare la zona. Probabilmente l’elemento meno convincente dell’ultima fatica di Kojima è quel tratto di complessità che il producer giapponese ha voluto inserire nel gioco; a differenza dei trascorsi capitoli della serie sembra tutto più complicato, anche per quanto riguarda la gestione dei comandi e dei menù. Naturalmente, pure la scelta di rendere in qualche modo il gioco open world di certo non agevola la giocabilità dello stesso; scelte più semplici avrebbero sicuramente aiutato non solo dal punto di vista del gameplay, ma soprattutto in termini narrativi, in quanto a un inizio da cardiopalma non corrisponde un prosieguo uniforme e l’enfasi via via svanisce, lasciando spazio a numerevoli missioni e azione – pura o stealth che sia – in favore di tutti gli amanti del “gioco giocato”.

Trofeisticamente parlando: l’importanza di essere “S”peciali

Fra i 43 trofei disponibili, ben 14 sono legati alla trama, quindi segreti e sbloccabili semplicemente completando le relative missioni. Vista la natura open world del titolo, queste potranno essere affrontate senza un preciso ordine, ma man mano che si renderanno disponibili; sia che vi dedichiate agli incarichi principali o a quelli secondari, non farà differenza. Alcuni invece rappresentano azioni particolari da compiere in gioco, come interrogare soldati, utilizzare il sistema Fulton o ancora aumentare l’affinità con i compagni di squadra; mentre quelli che potremmo definire legati ai collezionabili, riguardano lo sviluppo della Mother Base, sia per quanto concerne le truppe che le attrezzature: reclutare soldati, sviluppare oggetti e creare armi. I più macchinosi, o per meglio dire, quelli che vi porteranno via diverse ore di gioco – circa 70 ore complessive per il Platino – saranno proprio quelli legati ai vari update, mentre il più tedioso in termini di mera bravura, sarà il trofeo d’oro “Élite”, che prevede il completamento di tutte le missioni con un grado S. Per ulteriori informazioni e curiosità vi rimando all’elenco, già presente negli archivi del nostro forum. Buona caccia!

VERDETTO

Vi siete mai soffermati a pensare come tutto ciò che viene detto prima di un "ma" rappresenti solo la prefazione a quello che sarà il vero significato di un discorso? The Phantom Pain non metterà d'accordo tutti - del resto chi o cosa ci riuscirebbe, non lo farà perché è fin troppo controverso, imprevedibile, grottesco a tratti e vanesio per certi versi, arrivando ad autodistruggere la singolarità, o ancora meglio l'unicità della trama, facendoci rigiocare missioni già affrontate. Si potrebbe dire che questo prodotto voglia inutilmente dilungarsi nella corposa parte centrale, abbandonando fin troppo presto le concitate fasi narrative mostrate all'inizio, centellinando e spargendo le informazioni, quasi a premiare la nostra capacità d'ascolto; sì, ascoltare, e soprattutto capire certi sviluppi, certi intrighi, lasciando anche qualcosa di celato su cui speculare, nascondendo la verità fino alla fine, in uno stile prettamente nipponico. Tutto questo è The Phantom Pain, "ma" è anche altro, ben altro, è la degna è giusta conclusione di un'opera straordinaria, nella quale si percepisce un'infinita passione per letteratura, cinematografia e musica; un agglomerato di richiami e combinazioni, come quella che avviene fra Peace Walker e Snake Eater, con un eccellente gameplay che setta nuovi standard. Genere che a sua volta si reinventa grazie al connubio fra azione pura e stealth in un contesto open world, amalgama che mai prima d'ora era così ben riuscita. Il titolo offre innumerevoli possibilità che forse non saranno mai del tutto sviscerate in maniera diretta - magari ricercate su apposite videoguide - e che rendono quasi giustificabile il voler riproporre le precedenti missioni, quasi a volerci spingere a variare il nostro modus operandi, variando uno stile di gioco altrimenti statico. Metal Gear Solid V: The Phantom Pain è la degna conclusione dell'universo fantapolitico parallelo che la mente di Kojima ha creato. Buon gioco a tutti!

Guida ai Voti

Pietro Cardaci
Appassionato di videogiochi e tecnologia da tanti anni, si dedica, da autodidatta, a studio, analisi e utilizzo di software e hardware. Scevro da pregiudizi, si accosta a ogni genere di titolo. Non disdegna, circostanze favorevoli permettendo, una piacevole lettura o la visione di un buon film, specie quelli che riescono a saziare il suo famelico spirito d'osservazione. Conosce un paio di barzellette niente male che sfodera nei momenti migliori...