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The Last Of Us – Recensione

L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.

Italo Calvino, Le Città Invisibili

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L’ultimo di noi

Dopo un’introduzione con una frase come la precedente, da leggere con molta calma e con la giusta enfasi, ogni parola sembra divenire superflua. Una frase, quella tratta da “Le Città Invisibili”, che rispecchia benissimo lo spirito del gioco in questione, a parere del sottoscritto, e che gli dà la giusta levatura. Non a caso il titolo è stato ispirato anche, come dichiarato ai microfoni di PlayStation Bit da Ricky Cambier (nell’intervista che trovate qui), da fonti artistiche enormi, come il libro vincitore del premio Pulitzer “La Strada” del grande Cormac McCarthy, “Non è un Paese per Vecchi” sempre di McCarthy, “Io Sono Leggenda” e “The Walking Dead”. The Last Of Us propone un mondo post-apocalittico che non può non essere visto come un inferno, uno dei peggiori, e dato quello che ne sta alla base, non poteva che essere altrimenti.

Di solito inizio ogni recensione con un riepilogo della trama, ma questa volta non sarà così. Non solo per mia scelta, ma anche perché Sony, molto lungimirante, ha esortato la stampa a non parlare troppo esplicitamente delle peripezie del gioco per conservare la sorpresa, e a non fare nessuna menzione di quello che il prologo, tanto per citare una delle (tanti) parti più riuscite, propone ai videogiocatori. Prologo che è veramente da brividi lungo la schiena, per drammaticità e maturità, e ve lo dice uno che è veramente poco incline ad emozionarsi di fronte a sentimentalismi di qualsiasi tipo.

Parlando dunque per sommi capi, The Last Of Us è la storia di un uomo e una ragazzina, Joel ed Ellie, superstiti insieme a pochi altri di una delle più grandi piaghe che abbia mai colpito l’umanità. Di punto in bianco si trovano ad essere prelevati dal destino per essere catapultati nell’arena che vede tutti, senza distinzione, messi in ginocchio da ormai vent’anni. Questo per colpa di un fungo (il cordyceps: trovate un video a proposito poco sotto, occhio perché è per stomaci forti!) che ha portato un epidemia letale su scala mondiale.

Così, per tutta una serie di circostanze e motivazioni che avrete il piacere di scoprire se acquisterete il gioco (siete ancora qui? Correte in negozio o su Amazon!), tra personaggi secondari in qualità di alleati, imprevisti e terribili infetti, si realizza una delle odissee più belle che il medium videoludico, e non solo, ci abbia mai saputo regalare. Nonché uno dei rapporti tra due personaggi più autentici e “veri” di sempre, ossia Joel, un uomo ormai cinico, rassegnato e che ha potuto vedere il mondo “come era prima”, rimpiangendolo ogni istante, ed Ellie, ragazzina quattordicenne con tanta voglia di fare, crescere, maturare, piena di speranza per il futuro malgrado sia nata quando la catastrofe si era già verificata.

A fare da fondamenta a tutto questo, troviamo un gameplay incredibilmente solido, che si fonda sull’esperienza acquisita dagli sviluppatori con la serie “Uncharted”. Visuale semisoggettiva, ossia in terza persona, The Last Of Us si presenta come un action/adventure, un po’ come quando usavamo l’ottimo Nathan Drake. L1 per mirare, R1 per sparare, quadrato per dare il via ad una sequenza corpo a corpo, X per le sequenze “acrobatiche”.

Un mondo allo sbando

E’ il contesto, però, a fare la differenza, e qualche piccolo accorgimento qua e là che ha reso dei meccanismi ottimi semplicemente perfetti rispetto alla trilogia dedicata a Nathan Drake. Cominciamo a parlare del contesto, visto come causa condizionante: un mondo deflagrato, che costringerà il giocatore a farsi strada con una perenne scarsità di munizioni, in perfetto stile survival horror, e che dunque lo inviterà implicitamente ad evitare lo scontro, quando possibile, attraverso un approccio stealth, proprio per risparmiare più piombo possibile, da usare nelle situazioni più critiche. Scordatevi lanciagranate ed esagerazioni del genere, in The Last Of Us si procede anche e soprattutto con mezzi “artigianali” come molotov, bombe di chiodi e fumogeni costruiti con zucchero ed esplosivo, oltre a coltelli, spranghe, mazze, l’inseparabile arco, macchinoso ma allo stesso tempo silenzioso e letale, e il classicissimo duo “pistola e fucile”. Senza dimenticarci dello scontro a mani libere, reso più “libero” rispetto ad Uncharted grazie a una parziale interazione con lo scenario, ma nel complesso simile.

Totalmente inedite sono invece due funzionalità. La possibilità di “concentrarsi” da parte di Joel per individuare meglio la fonte dei rumori, richiamabile con R2, fondamentale nelle sezioni stealth; il menù/zaino che permette di cambiare l’equipaggiamento e di esibirci nell’arte del “crafting”, nota anche come arte di arrangiarsi, di cui vi avevo già parlato nella nostra anteprima (link), attraverso l’utilizzo di bende, alcool e altra paccottiglia che troverete sparsa per i livelli. In particolare merita un cenno l’interfaccia: attraverso la semplice pressione di una delle quattro frecce, potrete selezionare l’arma a una mano, l’arma a due mani, il kit medico oppure un oggetto contundente/esplosivo. Tutto questo ovviamente “live”, cioè senza nessuna pausa durante lo svolgimento di quello che accade su schermo, grazie alla comparsa in sovrimpressione del suddetto menù: un motivo in più per avere sangue freddo e fare tutto alla svelta. E’ stata introdotta anche la possibilità di potenziare le proprie armi (velocità, numero di colpi, precisione) grazie alla ferraglia trovata in giro, pensate un po’, e di potenziare Joel stesso grazie a degli integratori che troverete esplorando gli scenari (aumento della vita massima, dell’udito… Sì, avete letto bene, dell’udito: ma che roba sarà?).
Tutto quanto appena detto comunque trascende ogni tipo di schematizzazione, perché la libertà nelle mani del videogiocatore è veramente enorme, e, è bene ripeterlo, come agirete dipenderà moltissimo dalla situazione in cui vi trovate. Come detto, visto che molto spesso vi troverete in inferiorità numerica, l’approccio migliore da utilizzare è quello stealth. Ma quasi mai i vostri piani andranno lisci come l’olio. A questo punto potrete decidere di procedere allo scontro, ravvicinato o a distanza, oppure tentare di raggiungere la vostra meta, a gambe levate, per seminare i vostri nemici.

Ma ecco che ci tocca fare un passo indietro. Ok, loro sono in superiorità numerica, ma noi stiamo per finire munizioni e kit medici. Eccoci quindi costretti a dovere ingaggiare lo scontro, magari di soppiatto, per guadagnarci prima di tutto quello che i nostri nemici hanno addosso, e in secondo luogo quello che i luoghi da loro presieduti potrebbero offrire, tra munizioni nascoste e dei manuali per affinare le abilità del nostro Joel. Come potete notare, le ramificazioni che la vostra partita può assumere sono una mezza infinità. Ma questo non è ancora tutto, perché in The Last Of Us non avrete a che fare solo con umani sani, ma anche con umani infetti, a diversi livelli di contaminazioni.

Joel: "Tutti insieme, cheeeeeeees..."
Joel: “Tutti insieme, cheeeeeeees…”

Al primo livello ci sono i “Runners”, dotati di vista ma piuttosto “contenibili”, diciamo così. Al secondo livello troviamo invece i “Clickers”, spaventosi esseri ai quali il fungo ha portato malformazioni così evidenti da togliere loro la possibilità di vedere (Clickers perché è simile ad un “click” l’inquietante rumore che fanno quando si muovono), ma che in compenso hanno sviluppato l’olfatto in maniera considerevole. Questi sono dotati di un morso letale: cadete nelle loro braccia, e sarà game over. E così via fino a trovare nemici sempre più coriacei.
Gli approcci dunque cambiano sensibilmente anche in base a chi (o che cosa, sarebbe più opportuno dire) incontrerete nel gioco, e con quali intenzioni lo incontrerete. Nel momento in cui verrete scoperti da un Runner, questo si precipiterà verso di voi. Quando invece verrete visti da un umano, questo prima di tutto cercherà di trovare riparo, e poi tenterà di accerchiarvi, sintomo di un Intelligenza Artificiale che funziona alla perfezione.

Sei brutto ed infetto… Però hai una bella grafica!

Per quanto riguarda il comparto audiovisivo, i dubbi che avevo quando ho provato in anteprima il gioco ormai un mese fa si sono sciolti come ghiaccio al sole. Il comparto tecnico di The Last Of Us è eccezionale, sia per l’impatto visivo che per la fluidità del motore grafico. Una menzione particolare spetta alle cut-scenes, semplicemente meravigliose, plasmate con lo stesso motore grafico del gioco, anche se durante le fasi giocate il calo dei dettagli si nota. Si passa dal perfetto al meraviglioso comunque, niente di preoccupante, anche grazie al poderoso Naughty Dog Engine. Meno in ansia mi aveva lasciato invece l’aspetto sonoro del titolo: Gustavo Santaolalla, duplice premio Oscar, ha svolto un lavoro incredibile, e sembra avere metabolizzato in pieno lo spirito del videogioco. Trovate proprio qui sotto il video dedicato a lui e al suo lavoro: è in inglese, ma Gustavo lo parla anche meglio di molti madrelingua che hanno il vizietto di mangiarsi 3 parole su 4!

Chiudo parlando del gioco online, abbastanza particolare, e dei difetti che, seppur lievissimi, il gioco presenta. Una volta entrati nella sezione online, dovrete scegliere una fazione tra le due disponibili. A questo punto partirà una sequenza narrativa in cui vi vengono date 12 settimane di tempo e un “gruppo” da gestire. Ogni partita online equivale ad un giorno passato, e il vostro punteggio verrà convertito in cibo con cui sfamare il vostro clan e nuovi arrivati. Quello che in realtà sembra un meccanismo piuttosto complesso, in realtà è automatico ed intuitivo, ed in fondo in fondo non è che un sistema dell’organizzazione dell’esperienza molto particolare (tanto è vero che solo raggiunto un certo numero di “abitanti” sbloccherete nuovi “pezzi” con cui personalizzare il vostro alter ego). Volendo essere più pragmatici, sono due le modalità effettive in cui vi potrete cimentare. Nella prima vediamo fronteggiarsi due squadre composte da quattro elementi ciascuna, e con 20 vite a testa ripartite tra i membri. Vite non ripartite equamente, nel senso che se capitate con un incapace e questo muore 19 volte, 19 vite se le prende lui. Cosa che non è necessariamente un male: l’affiatamento di squadra in questo modo cresce a dismisura, provare per credere.

Nella seconda invece, articolata in diversi round, troviamo ancora le due squadre composte da quattro membri, ma qui ognuno ha una sola vita, anche se potrete sempre essere rianimati da un compagno particolarmente rapido nel soccorrervi. Lo spirito di sopravvivenza è portato alle stelle, e in maniera riuscitissima, anche grazie a delle funzionalità importate dalla modalità offline, come il già citato crafting e la possibilità di migliorare le proprie armi. Le mappe online sono sette e tutte molto vaste, il che permette a tutte le diverse “classi”, dotate di equipaggiamento differente, di avere ragion propria. In conclusione stiamo parlando di un online (occhio che serve il Pass!) che di sicuro non stabilirà nuovi standard, ma che si adatta perfettamente all’atmosfera di tutto il resto del gioco.

Finisco, e stavolta sul serio, con il porvi i difetti che ho riscontrato, sostanzialmente due. Il gioco risulta a tratti leggermente spaesante sul percorso da prendere e il “da farsi” vero e proprio: qualche suggerimento richiamabile dal giocatore in più avrebbe fatto comodo. Inoltre, sebbene l’IA dei nemici quando si tratta di offendere è eccezionale, si rivela sporadicamente fallace nel difendere e presidiare le aree. Capiterà infatti di vedere nemici passare a fianco di compagni a cui avete rotto il collo senza che facciano una piega, oppure ignorare inspiegabilmente Ellie, malgrado questa gli passi sotto il naso. Casi rari, comunque, che non è detto siano già stati sistemati grazie ad un’apposita patch.

Commento finale

The Last Of Us è un titolo capace di resistere al tempo e di imporsi come emblema di un’intera generazione di console. Se ci seguite, lo saprete, noi il 10 non lo diamo, ma nessun videogioco (se tale si può ancora definire The Last Of Us) mi aveva spinto tanto vicino ad infrangere questo “tabu”.
Citando Charles Baudelaire, come “l’atroce Angoscia, dispotica, pianta sul mio cranio chinato il suo nero vessillo”, lo stesso fa Sony con (e grazie) all’ultimo capolavoro di Naughty Dog, sulle console dei rivali, in una Console War che ha ufficialmente un vincitore, stavolta definitivo.

9/10

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Dario Caprai
Non capisce niente di videogiochi ma, dal momento che non lo sa, continua a parlarne, imperterrito. Tanto è vero che il tempo preferisce passarlo a scrivere, a leggere, a vedere un film, a seguire e praticare sport, a inveire per il fantacalcio, a tenersi informato su tecnologia e comunicazione piuttosto che con un DualShock in mano. In tutto questo è, però, uno degli admin di PlayStationBit da tempo ormai immemorabile.

9 Commenti

  1. Complimenti, gran bella recensione, per un grandissimo gioco!
    PS: Ancora non ce l’ho, ma ho letto di un’IA non proprio all’altezza in alcune situazioni, potete confermarlo?

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