Monster Crown – Recensione

Sviluppatore: Studio Aurum Publisher: SOEDESCO Piattaforma: PS4 Genere: Gioco di Ruolo Giocatori: 1 PEGI: 12 Prezzo: 29,99 € Italiano: N/A

Nell’era in cui il brand Pokèmon sta mutando la sua identità e sta abbracciando nuovi generi, sono sempre più numerosi i team di sviluppo indipendenti che si lanciano nei monster catcher ispirandosi più o meno marcatamente ai titoli tradizionali di Game Freak, cercando di raccoglierne l’eredità e attirare parte della community delusa. Nel corso degli ultimi mesi vi abbiamo portato le recensioni di Nexomon: Extinction, Nexomon e Monster Sanctuary. Studio Aurum avrà raggiunto gli stessi livelli? Scopritelo nella nostra recensione di Monster Crown, disponibile unicamente per PlayStation 4.

Hai 14 anni, vai!

Le premesse di Monster Crown sono tanto stereotipate quanto intriganti. Impersoneremo un ragazzino di 14 anni che vive in una fattoria con i propri genitori. Un giorno, il padre decide di regalargli un mostro da addomesticare e lo invia da uno dei tre re che governano la regione per consegnare un dono. Ben presto ci ritroveremo invischiati in cosette da nulla, adatte a un adolescente, quali conflitti socio-politici, bische mafiose e rituali demoniaci.

Il contesto di Monster Crown è, infatti, molto cupo e forte. I “mostri” sono realmente creature selvagge, perlopiù aggressive, che non hanno alcun tipo di rapporto con gli esseri umani. Gli “addestratori” possono proporre un Patto ai mostri selvatici stringendo un’alleanza che possa portare a entrambe le parti dei benefici. L’umano sfrutta la forza e la versatilità del mostro per i propri scopi, mentre il mostro sfrutta l’intelligenza dell’uomo per addestrare il suo corpo e diventare più forte, così da dominare sulle altre specie. A far capire al videogiocatore che i toni di Monster Crown non sono leggeri sarà la nostra prima battaglia contro un capo addestratore, che terminerà con quest’ultimo sventrato da un mostro selvatico. Non propriamente il destino riservato a Gennaro Bullo, insomma.

La trama è sì violenta e oscura in determinati frangenti, ma risulta essere piuttosto frettolosa nella narrazione e nella descrizione degli eventi. Molte situazioni sono poco credibili e mal poste, tanto da risultare grottesche. Si tratta di un difetto ingombrante ma non particolarmente grave, facendo Monster Crown leva prevalentemente sugli aspetti di cattura, crafting ed esplorazione. Avremmo sinceramente apprezzato una maggior cura sotto il profilo narrativo, essendo sostanzialmente inutile incupire i toni di un contesto narrativo se non lo si approfondisce.

Proceduralità inaspettata

Veniamo al punto cardine dell’opera di Studio Aurum: la gestione dei mostri. Il gameplay è spiccatamente classico. Cinque tipi di mostri con forze e debolezze cicliche, ogni mostro sale di livello aumentando le sue statistiche e apprendendo nuove abilità, la squadra è composta da otto mostri e potrete catturare qualsiasi mostro selvatico (boss compresi). La mappa di gioco non è enorme ma è fin da subito esplorabile e accessibile. Le battaglie non sono casuali, bensì i mostri compariranno sulla mappa e potremo decidere noi se affrontarli o meno.

Esplorando, potremo far nostri zaini abbandonati da altri esploratori (il cui contenuto è casuale), trovare uova di mostro abbandonate o sorvegliate dalle madri, raccogliere oggetti spaiati, oppure imbatterci in altri addestratori con i quali potremo avviare un duello o scambiare dei mostri. Sottolineiamo che tutte queste possibilità sono del tutto casuali, rendendo l’esplorazione sempre appagante e varia. Enorme il post-game, che offre al videogiocatore un’intera mappa da esplorare, governata da mostri del tutto nuovi. Entrambe le mappe sono comunque ricche di dungeon da esplorare, quest secondarie e segreti particolarmente convincenti da scoprire.

Procreate, figli miei!

La caratteristica che distingue Monster Crown dai congeneri e lo erge è l’editing dei mostri, per la verità piuttosto simile come idea a quella emersa in Dragon Quest Monster Joker, probabilmente la principale fonte d’ispirazione di Studio Aurum. Ebbene, in Monster Crown non esistono evoluzioni. I mostri che trovate in natura sono allo stato “base”, e ognuno di loro ha cinque varianti estetiche dettate dalla tipologia di genere. Infatti, potrete far accoppiare una qualsiasi coppia di mostri per far nascere un uovo, da cui nascerà un mostro unico che apprenderà tutte le abilità della linea di sviluppo dei due genitori e assumerà le statistiche combinate dei due mostri.

Questo impatterà anche sulla sua estetica, sul suo tipo e sulla paletta cromatica. Inoltre, i mostri che nascono dalle uova possono poi essere nuovamente accoppiati, rendendo le combinazioni pressoché infinite e permettendo al giocatore di creare la squadra ideale di mostri per forma, statistiche e skill-set. Più avanti nella storia sbloccherete la fusione, che assolve la stessa identica funzione dell’accoppiamento, facendovi accelerare il processo in cambio dei mostri sacrificati.

La meccanica dell’editing è molto accattivante e ben realizzata. Non vi prendiamo in giro quando vi diciamo che abbiamo passato più tempo all’interno dei menù di gioco per l’editing dei mostri che nell’esplorazione e nelle battaglie. Promuoviamo a pieni voti questa meccanica, che risulta però poco connessa con il resto del gioco. Il gameplay è fin troppo incentrato sulle abilità da danno, rendendo praticamente inutili quelle con effetti sulle statistiche o che infliggono stati alterati. Questo porta l’editing a essere il più delle volte superfluo, anche in vista delle battaglie più ostiche. In sostanza, si tratta di un’esperienza atta a soddisfare la fame degli amanti sfegatati del genere.

Falso 16-bit e nostalgia

Esteticamente, Monster Crown è uno slancio verso il passato, con uno stile grafico che ricorda il fu 16-bit, sistemi dominanti durante la quarta generazione. La gamma cromatica è ben più vasta rispetto a quella dei sistemi in 16-bit, composta da 256 colori, ma il colpo d’occhio è un omaggio a quell’epoca e i più nostalgici sicuramente apprezzeranno il lavoro svolto da Studio Aurum. Il mondo è molto vario in quanto a modelli utilizzati, molto più discutibile il level design, in particolar modo degli spazi chiusi. Ottimi, invece, gli sprite (statici) dei mostri, molto differenziati fra loro e ben riconoscibili anche nelle loro forme alternative, alcune davvero fantasiose.

La colonna sonora ricalca perfettamente lo stile del 16-bit e risulta essere molto piacevole. Canzoni dalla durata inferiore al minuto in loop che riescono nell’impresa di non risultare mai ridondanti. Il ventaglio di effetti sonori non è particolarmente ampio ma fa il suo dovere senza particolari sofferenze. Lodevole la localizzazione in italiano, la cui presenza non è mai scontata e che, nel caso specifico, è anche ben implementata.

Purtroppo, abbiamo riscontrato dei problemi gravi dal punto di vista della tenuta in-game. Abbiamo giocato una cinquantina di ore e il gioco ci è crashato numerose volte. Fortunatamente, l’opzione del salvataggio manuale non vincolata ci ha permesso di non perdere importanti progressi, ma si tratta comunque di un problema strutturale assai fastidioso. Conseguentemente a ciò, alcune aree di gioco (in particolar modo quelle segrete e l’isola del post-game) soffrono di problemi di caricamento, rendendo alcune aree dello schermo nere che portano poi al crash.

Il re dei mostri

In sostanza, Monster Crown è un’esperienza rivolta unicamente agli amanti sfegatati del genere, soprattutto se attratti dall’idea di fare un tuffo nel passato. La possibilità di poter lottare e scambiare mostri anche online lascia intravedere l’intenzione, molto ambiziosa, di creare una community (inter)attiva che incrementi sensibilmente il potenziale del progetto. Purtroppo, non crediamo che questa funzione verrà sfruttata da un’utenza che, a guardare il mercato attuale, difficilmente accorrerà numerosa su un titolo indipendente e vintage come Monster Crown.

Vi consigliamo il titolo di Studio Aurum ma con riserva, sperando in particolar modo che delle patch correttive vadano a rimuovere i crash frequenti e i bug saltuari che minano sensibilmente l’esperienza di gioco. Facciamo i nostri complimenti per la dedizione con cui è stato sviluppato Monster Crown e per la vastità dell’editing dei mostri. Siate consapevoli, però, che all’infuori di quella meccanica ci sono più ombre che luci.

Trofeisticamente parlando: Beat the Beth

La lista trofei di Monster Crown è mediamente grande ma piuttosto povera, contando trentaquattro trofei totali di cui venticinque sono di bronzo. Per mettere le mani sul platino dovrete completare il gioco, post game compreso (e si tratta di una seconda mappa da esplorare interamente con un cap level che quadruplica rispetto alla storia principale, spingendovi a un farming forsennato). Vi verrà richiesto anche di catturare tre mostri particolari: il Drago Gyn (una quest secondaria), un mostro brillante e uno anomalo; questi ultimi appaiono casualmente con frequenza ridotta a giro per la mappa.

VERDETTO

Monster Crown è un titolo nostalgico e sincero nell'ispirarsi ai classici giochi di cattura mostri (Dragon Quest Monster Joker su tutti), con il chiaro intento di arricchirli e modernizzarli. Se sotto il profilo dell'editing dei mostri Studio Aurum ha realizzato un vero e proprio miracolo a livello concettuale, rendendo tale meccanica predominante e caratterizzante, lo stesso purtroppo non si può dire della cornice dell'opera, composta più da ombre che da luci. Augurandoci che il prodotto venga al più presto ripulito dalle (gravi) defezioni tecniche che lo affliggono attraverso delle patch correttive, vogliamo comunque premiare la dedizione degli sviluppatori con un'ampia sufficienza. Siate però consapevoli che per apprezzare l'opera dovrete trascorrere oltre la metà del vostro tempo di gioco all'interno dei menù.

Guida ai Voti

Giovanni Paolini
Catalizzatore di flame sul web e drogato seriale di fantacalcio, Giovanni vede il videogioco come un'espressione artistica piuttosto che come un mero intrattenimento privo di contenuti significativi. Per questo motivo, ripudia il 90% dei AAA e si tuffa sfacciatamente nel mercato indipendente, rimanendone il più delle volte scottato seppur senza rimorsi. Amante della musica di qualità, delle narrazioni articolate e di design ispirati, si è tuttavia mostrato fin dall'adolescenza ossessivamente attratto dai personaggi femminili antropomorfi, mistici o animati, universalmente conosciuti come waifu. Rappresenta orgogliosamente la vena toscana del Bit.