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Atelier Firis: The Alchemist and the Mysterious Journey – Recensione

Publisher: Koei Tecmo Developer: Gust
Piattaforma: PS4 (disponibile anche per PS Vita) Genere: JRPG Giocatori: 1 PEGI: 12 Prezzo: 59,99 €

Atelier, per chi non la conoscesse, è una serie JRPG tra le più popolari in Oriente e tra quelle che vanta il maggior numero di capitoli pubblicati nell’ultimo decennio. Durante la generazione passata, si sono affermate tre saghe di JRPG in particolare: Tales Of, Neptunia e, per l’appunto, Atelier.

E’ di dovere precisare che Atelier Firis: The Alchemist and the Mysterious Journey è il secondo capitolo di quella che sarà una trilogia, la prima, e probabilmente ultima, su nuova generazione e Vita (nonostante il primo capitolo della trilogia sia uscito per PlayStation 3 e 4, ma non per Vita).

Nonostante ciò, non è strettamente necessario aver giocato il capitolo precedente per comprendere Atelier Firis, per quanto un reduce da Atelier Sophie potrà godere maggiormente di qualche citazione o qualche personaggio/mostro apparso nel capitolo sopracitato (o nei capitoli appartenenti ad altre trilogie di Atelier).

Cos’è Atelier?

Innanzitutto facciamo il punto sullo stile della saga, perfettamente ricalcato da questo capitolo.

Si tratta di un gioco di ruolo con combattimento a turni, un party composto da più personaggi, uno stile di disegno palesemente ispirato ai manga giapponesi (sia come grafica che come modelli), una longevità piuttosto elevata, una quantità industriale di subquests e una varietà incalcolabile di oggetti, equipaggiamenti e nemici (chroma compresi).

La solita giapponesata, niente di nuovo.

E invece è proprio qui che Atelier si distingue dal resto dei videogiochi provenienti dal Mondo nipponico. Esso infatti non si erge nell’Olimpo dei JRPG per una storia piena di colpi di scena, o per un gameplay di combattimento che richiede 3-4 ore di tutorial solo per capirne le basi (come per Mugen Souls), ma fonda quasi interamente il suo gameplay sull’esplorazione, sulla ricerca di oggetti da raccogliere dal mondo di gioco o tramite drop dopo le battaglie, per poi dedicarsi all’alchimia (ovvero alla miscelazione degli ingredienti raccolti).

Ok ho capito cos’è Atelier… e Firis com’è?

Veniamo al titolo oggetto della recensione.

La protagonista è una adorabile ragazzina di età compresa fra i 10 e i 14 anni avente un talento naturale che le permette di “percepire” dove si trovano i giacimenti di pietre preziose. La ragazza, di nome Firis, è nata e cresciuta in una città sotterranea di nome Ertona. Mentre lei ogni giorno sfrutta il proprio talento per aiutare gli scavatori, sua sorella maggiore ha il permesso di uscire dalla città e andare “all’aperto”, per cacciare mostri o raccogliere ingredienti. A Ertona infatti, solo chi ha dimostrato grande qualità può uscire dal villaggio, ed è il Grande Saggio ad attribuire questo merito.

Il sogno di Firis è quello di osservare il cielo, estasiata dai racconti della sorella e, dopo un incontro casuale con una persona molto particolare, troverà nell’Alchimia la chiave per dimostrare al saggio la propria qualità e ottenere il tanto agognato permesso.

Qui, dopo un lungo tutorial sulle meccaniche base (necessario alle nuove reclute su Atelier, skippabile per gli esperti), avrà inizio il nostro viaggio.

Finalmente fuori!

Adesso inizia il gioco vero e proprio.

Come di consueto per il genere, durante il nostro viaggio incontreremo tanti personaggi, alcuni dei quali si uniranno al party. Ho notato che in questo capitolo c’è una netta prevalenza di NPC e PC di sesso femminile, ancor più di quanto mi aspettassi da un JRPG (d’altra parte proprio poco fa cadeva la festa della donna… Coincidenze? NdD)

Lo stile di combattimento è a turni statico; potremo quindi, come di consueto, scegliere tra le varie opzioni (attacca, abilità, oggetti e così via). Ogni membro del party avrà le sue caratteristiche uniche, sia come stile di combattimento che come statistiche.

Completato un combattimento riceveremo exp, con la quale i nostri amici saliranno di livello ed eventualmente impareranno nuove abilità, e avremo una piccola probabilità di ricevere degli oggetti più o meno rari.

La mappa di gioco, visibile sia nell’angolo che ispezionabile interamente premendo il touch pad, è fra le migliori che abbia mai visto in un gioco di ruolo; essa infatti è molto chiara, ben definita, con i 4 punti cardinali in evidenza (e aiutano davvero tanto ad orientarsi) e i punti di maggior interesse segnalati. Sarà inoltre possibile applicare un segnalino colorato per i luoghi da raggiungere per completare una quest e, potendo avere più quest attive contemporaneamente, si potranno applicare più segnalini di colore diverso (per i navigati del GDR come me, questa è una notizia strepitosa!).

Un aspetto non di poco conto, considerato il genere, è che in Atelier Firis sarà possibile salvare praticamente in ogni momento, essendo il punto di salvataggio una tenda mobile che ci porteremo dietro e che potremo piantare in ogni luogo in cui metteremo piede (tolte rare eccezioni).

Non si può far altro nella tenda?

Oltre a salvare, la tenda sarà l’unico posto in cui potremo dedicarci all’alchimia e, di conseguenza, sarà il luogo in cui presumibilmente trascorreremo almeno il 40% delle ore di gioco (se poi stavate pensando ad attività più maliziose… no, quella tipologia di tenda la potete trovate in Dragon Age: Origins).

Per gli amanti della saga, è necessario precisare che lo stile di alchimia di Atelier Firis è differente dai capitoli precedenti.

Qui infatti non avremo più dei calderoni differenti con effetti variabili, ma un calderone unico in cui potremo inserire degli ingredienti. Lo stesso ingrediente può avere caratteristiche diverse (grado di qualità, dimensione, famiglia di appartenenza ed elemento nascosto), e questo vi permetterà di creare più volte lo stesso oggetto ma di ottenerlo con particolarità differenti.

Più si creano oggetti, più il nostro livello di alchimia aumenterà, permettendoci di creare oggetti sempre migliori. Più volte creeremo lo stesso oggetto, più diventeremo “esperti” con esso e potremo crearlo avente qualità superiore, scoprendone nuove funzionalità segrete e più potenti/utili.

E’ importante inoltre precisare che, oltre alla selezione degli ingredienti da miscelare, sarà necessario sistemarli in una sorta di griglia, posizionandoli tutti senza sovrapporli e cercando di coprire più griglia possibile, in modo tale da ottenere bonus aggiuntivi (quindi non necessariamente l’ingrediente più grande è il più indicato, a volte sarà necessario scegliere accuratamente gli ingredienti per non sovrapporli).

Il sistema di crafting è quindi tutt’altro che semplice da padroneggiare, richiederà molte ore di pratica e di tentativi (spesso a vuoto o deludenti), ma d’altro canto vi riserverà enormi soddisfazioni quando i vostri sforzi verranno premiati da qualcosa di addirittura superiore alle vostre più rosee aspettative, e ciò avviene con una certa frequenza.

Un’alchimia di piaceri sensoriali

Oltre a un gameplay comunque vario, unico e coinvolgente, Gust ci getta in un mondo caratterizzato da un level design ben realizzato seppur, in alcune fasi di gioco, un po’ “spoglio”.

Giocando svariate ore consecutivamente, mi sono accorto che vi è una prevalenza molto marcata di colori freddi (quindi pigmenti blu, bianchi, verdi) ma per nulla intensi; questo trasmette un’aria rilassante e piacevole. Del resto, la stessa Firis, fin dalle prime battute del gioco, sembra circondata da questa aura chiara, quasi divina, seppur immersa in un ambiente chiuso e buio come la città di Ertona.

Gli spazi aperti sono tutti molto belli da vedere, e regalano grandi soddisfazioni durante le esplorazioni. La stessa cosa non si può dire invece degli spazi chiusi, spesso molto dispersivi e ripetitivi.

Per quanto concerne la colonna sonora, Atelier Firis si distingue per una OST di pregevole livello, alternando tracce molto martellanti (come quella della battaglia) a tracce quasi goffe e divertenti (come quelle dei dialoghi un po’ più “leggeri”). Per i nostalgici dello scorso anno, sarà possibile anche selezionare le tracce del capitolo precedente: Atelier Sophie.

Per quanto riguarda la grafica pura e cruda, non c’è molto da dire, se non che le linee di contorno dei disegni sono molto spesse (anche i contorni ai dettagli) e che gli effetti di luce trasmettono efficacemente l’effetto 3D ai modelli dei personaggi.

Purtroppo, come spesso accade nei JRPG, questa accuratezza con gli effetti di luce è applicata solamente ai personaggi e non ai luoghi circostanti, trasmettendo ai nostri occhi un effetto retrò di distacco fra il piano di sfondo e il piano su cui giacciono i personaggi (effetto non so quanto voluto e che, personalmente, trovo inconcepibile nel 2017).

Capitolo riguardante il doppiaggio e i sottotitoli. I sottotitoli sono disponibili solamente in Inglese, mentre l’audio sarà a disposizione sia in formato Giapponese che Inglese. Per quanto riguarda il doppiaggio Inglese, è stato fatto un ottimo lavoro soprattutto con i personaggi femminili (evito spoiler sui nomi dei personaggi).

Il doppiaggio giapponese non è invece all’altezza di quello inglese, molte voci sono troppo acute e irritanti e (probabilmente è una mia impressione); alcuni personaggi importanti della storia sembrano doppiati dalla stessa persona, e quindi non si identificano benissimo.

Tra il PEGI 7 e il PEGI 16

La complessità del sistema di crafting rende praticamente impossibile per un adolescente godere a pieno di questo titolo; è quindi richiesta una certa “maturità videoludica”.

Tuttavia, la trama che accompagna la nostra Firis non è all’altezza delle altre componenti del gioco e quasi si delinea come una trama tendente all’infantile dove la protagonista si diverte a viaggiare e a creare oggetti nel calderone per pura soddisfazione personale.

Trofeisticamente parlando: mescola che ti passa

Il Platino di questo gioco non è assolutamente difficile da conquistare, ma neanche breve. Si richiederà infatti di completare il gioco praticamente al 100%, e ciò vi impiegherà per molte ore.

Non vi è però nessun trofeo legato al livello difficoltà, e questo, per i cacciatori di trofei amanti dell’Oriente, è un bel colpo!

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Giovanni Paolini
Catalizzatore di flame sul web e drogato seriale di fantacalcio, Giovanni vede il videogioco come un'espressione artistica piuttosto che come un mero intrattenimento privo di contenuti significativi. Per questo motivo, ripudia il 90% dei AAA e si tuffa sfacciatamente nel mercato indipendente, rimanendone il più delle volte scottato seppur senza rimorsi. Amante della musica di qualità, delle narrazioni articolate e di design ispirati, si è tuttavia mostrato fin dall'adolescenza ossessivamente attratto dai personaggi femminili antropomorfi, mistici o animati, universalmente conosciuti come waifu. Rappresenta orgogliosamente la vena toscana del Bit.