Breeder Homegrown: Director’s Cut – Recensione

Sviluppatore: Outlands Publisher: Sometimes You Piattaforma: PS4 (disponibile anche per PS Vita) Genere: Avventura Giocatori: 1 PEGI: 12 Prezzo: 4,99 € Italiano:

Avete presenti gli oli essenziali, quelle sostanze che si usano, ad esempio, all’interno dei vaporizzatori per profumare un ambiente? In quelle piccole bottigliette sono conservati pochi millilitri di soluzione in cui gli aromi sono tanto concentrati che basta anche una sola goccia per sprigionare l’essenza di una pianta o un di un fiore. Quando abbiamo letto la descrizione sul PlayStation Store di Breeder Homegrown: Director’s Cut, che mette le mani avanti precisando che l’avventura può richiedere dai quaranta ai novanta minuti per essere completata, abbiamo voluto avviare il gioco fiduciosi di poter vivere un’esperienza breve ma intensa, concentrata proprio come il profumo di una rosa in una di quelle boccette di olio essenziale. Purtroppo l’aroma non è stato intenso come ci auguravamo.

breeder homegrown

Ritorno al passato

In Breeder Homegrown iniziamo nei panni dell’anziano David, poco dopo aver scoperto, attraverso un breve scambio di battute testuali tra un’infermiera e un agente di polizia, che siamo scappati da una clinica. Ci ritroviamo in una casa abbandonata in cui ormai è tutto in degrado e in cui le pareti sono ricoperte da graffiti, alcuni inquietanti. Portiamo con noi solo alcune strane pietre, che scopriamo non aver mai abbandonato fin dai tempi della nostra infanzia, e uno spazzolino da denti, perché mamma ci ripeteva sempre di lavarceli almeno tre volte al giorno.

La casa, si scopre, è l’abitazione in cui siamo cresciuti insieme a papà (che chiamiamo affettuosamente Pops), alla matrigna Jacqueline, che ha preso il posto di nostra madre – o almeno ci ha provato – dopo la sua misteriosa scomparsa e a un amico immaginario con cui ci confidiamo spesso. Camminando insieme al vecchio David attraverso le stanze della sua ex-dimora abbiamo modo di interagire con alcuni oggetti particolari, ognuno dei quali evoca un ricordo che vivremo impersonando la nostra versione giovane. E’ un modo per ripercorrere eventi pesanti dal punto di vista psicologico e che ruotano intorno a strane presenze soprannaturali. Ogni ricordo aggiungerà un tassello al puzzle che, alla fine, ci permetterà di scoprire il mistero sulla fine di nostra madre e sull’amico forse non così immaginario con cui parlavamo da bambini.

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Un walking simulator e poco più

Breeder Homegrown è un titolo piuttosto semplice sotto tutti gli aspetti, sia per quanto riguarda la realizzazione che per quanto concerne il gameplay e il comparto tecnico. Potremmo definirlo un walking simulator, considerato che tutto quello che faremo per l’intera avventura – che dura anche meno di quanto promesso – sarà spostarci attraverso le quattro stanze della casa, il cortile sul retro e un misterioso luogo sotterraneo a cui si accede dalla casetta di legno in giardino. Esiste un minimo di interazione, ma non è niente di sufficiente a guadagnarsi il nome di rompicapo.

Con una visuale simil-isometrica molto particolare, nel senso che tale impostazione è simulata in un ambiente bidimensionale in cui tutto risulta “schiacciato” su un unico piano, possiamo spostare il nostro protagonista, ma solo orizzontalmente e verticalmente. L’assenza di una direzione obliqua di movimento è un primo aspetto che non abbiamo apprezzato, anche se fortunatamente il gioco è tanto breve da non disturbarci troppo. L’interazione con oggetti o persone si esegue invece avvicinandosi e premendo il tasto X, mentre l’unico altro comando è riservato al tasto Quadrato che apre un inventario con soli fini descrittivi. Non potremo infatti mai usare niente di nostra volontà, ma solo leggere una descrizione testuale di ciò che portiamo con noi.

Lo scopo del gioco è rivivere i quattro ricordi che è possibile avviare spostandoci per la nostra casa abbandonata. Non c’è un ordine definito, possiamo quindi affrontare l’avventura nell’ordine di eventi che preferiamo, mentre costanti sono la semplicità e la linearità di ciò che ci aspetta. Difficilmente non capiremo che cosa dobbiamo fare, perché dal nostro punto di partenza è sufficiente esplorare i limitatissimi spazi a disposizione e cliccare sui pochissimi elementi che hanno qualcosa da dirci. Arriveremo, ad esempio, a parlare con nostro padre, che ci chiederà un caffè, e molto sorprendentemente dovremo spostarci in cucina a prenderne uno per portarglielo. Il tenore degli “enigmi” è questo, motivo per cui potete farvi un’idea di ciò che Breeder Homegrown riserva in termini di sfida.

Horror? Qualcuno ha visto l’horror?

Breeder Homegrown si presenta come un horror, ma non si ha mai la sensazione di trovarsi all’interno di una vicenda che vuole spaventare. In qualche frangente ci si trova di fronte a scene che rimandano a un film drammatico incentrato sulle difficoltà di un bambino con una situazione familiare turbolenta, in altri momenti sembra di sentire il vaghissimo profumo di un episodio di Stranger Things e solo nel finale compare un minimo di elemento thriller, ma per il resto la trama e l’atmosfera che la accompagna sono di una piattezza, di un’inconsistenza, di un’insipidezza demoralizzanti.

Anche ammettendo che gli sviluppatori abbiano scelto la parola sbagliata, dicendo horror invece di mystery, non siamo riusciti ad apprezzare la storia. Si vive fin dall’inizio la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di ignoto (anche se, come dicevamo, le scelte “registiche” non invogliano a scoprire di che cosa si tratti), ma alla fine dei conti l’intreccio narrativo è qualcosa di piuttosto banale, a tratti scontato e a tratti non del tutto chiaro, che conduce ai titoli di coda con lo stesso volto inespressivo con cui si è iniziato il gioco. Apprezzabile solo il tentativo di generare curiosità con un climax crescente che ci porta sempre più vicino alla verità, passando per scene in cui succedono cose e si leggono dialoghi che non riusciamo a comprendere e che lasciano presagire qualcosa di terribile. Per il resto, Breeder Homegrown passa e non lascia il segno, un titolo che resterà nella bacheca dei trofei grazie al Platino banale, ma che non riuscirà a lasciare alcun ricordo di sé.

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Dal punto di vista grafico, il gioco si presenta con una pixel art piuttosto gradevole, pur nella sua estrema semplicità. L’unico difetto sta nella già menzionata impostazione bidimensionale che, nelle prime fasi, rende difficile capire dove finisca una stanza e dove ne inizi un’altra, quali zone siano accessibili o ad esempio se una particolare area rappresenti una parete o piuttosto un pavimento. Poco incisivo anche il comparto audio: non esiste doppiaggio, ma soprattutto si gioca per quasi tutto il tempo nel più totale silenzio, con pochi e rari effetti sonori che dovrebbero contribuire a generare l’atmosfera di tensione capace di giustificare l’autodefinizione di gioco horror.

Trofeisticamente parlando: venti minuti e via!

Breeder Homegrown: Director’s Cut merita a pieno titolo la definizione di gioco dal Platino semplice. Giocando alla cieca abbiamo impiegato circa mezz’ora a completare la lista trofei, i cui undici ori possono essere messi in bacheca anche in una ventina di minuti. Oltre ad attività legate alla storia (come l’ardua impresa di avviare il gioco) dovremo esplorare bene ogni area per interagire con alcuni oggetti potenzialmente mancabili che garantiscono le altre coppe virtuali. Sul forum trovate come sempre una dettagliata guida ai trofei.

VERDETTO

A volte il mondo indie ci regala perle brevi ma intense. Breeder Homegrown: Director's Cut è breve, brevissimo, per sua stessa definizione, ma nient'altro. Le premesse per un buon titolo potevano esserci, con una struttura a ricordi che fanno quasi da episodi, ma la trama è troppo lineare, mai capace di coinvolgere e tutto fuorché horror, come dichiara di voler essere. A ciò si aggiunga un gameplay quasi assente, da walking simulator, e si ottiene una non sufficienza.

Guida ai Voti

Jury Livorati
Classe ’85, divido il tempo tra la moglie e i tre figli e le più svariate passioni. Amo la lettura, la scrittura e i videogiochi e recito dal 2004 con l'Associazione Culturale VecchioBorgo. Eterno bambino, amo la vita e guardo sempre allo step successivo, soprattutto se è più in alto del precedente. Sono grato a PlayStationBit per avermi fatto scoprire la (sana) caccia ai trofei e i Metroidvania.