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Elden Ring – Recensione

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In Elden Ring convivono elementi di Bloodborne, dei tre Dark Souls, pure di Sekiro, eppure non è nulla di questi. Non è un nuovo souls, né Bloodborne 2 ed è paragonabile solo in parte ai titoli citati. C’è chi lo chiama Dark Souls 4 in virtù dell’ormai distintiva firma di FromSoftware, chi ne pregiudica la fruizione per timore di un annacquamento del level design e del gameplay in favore di un sistema a mondo aperto.

Elden Ring è la summa di Hidetaka Miyazaki e soci, è un esperimento per saziare ancora una volta l’anima affamata dei loro fan storici e un’esperienza che chiunque apprezzi lo scheletro della sua formula ludica dovrebbe provare. Andiamo a caccia dell’Anello Ancestrale per scoprire i motivi per i quali è bramato da tutto l’Interregno.

Parole nascoste

Parlare di Elden Ring relativamente alla trama sarebbe un dispetto nei confronti di chi vuole godersela dalla prima all’ultima parola e la causa di una confusione inutile per altri. Questo mondo alla deriva è frutto di una collaborazione con lo scrittore George R.R. Martin e le differenze con il passato di FromSoftware sono evidenti: la perdita di un potere sovrumano ha dato il via a scontri che, moltiplicandosi, hanno logorato la realtà; dinastie, casate, intrighi degni di un codice medievale provengono in maniera palese dall’autore de Il Trono di spade. È come se la penna statunitense avesse progettato lo storyboard e Miyazaki avesse successivamente unito tutti i puntini con NPC e relativi dialoghi che si uniscono in un grande foglio copioso di dettagli. Poi, lui stesso lo ha tagliuzzato, accartocciato e dispiegato di nuovo a favore degli utenti.


Il racconto criptico, enigmatico dei souls persiste, seppure alcune relazioni tra personaggi, in avvicinamento a un fantasy più medievale, appaiano più cristalline. I vuoti, certi silenzi volutamente creati, danno al giocatore l’opportunità di colmarli con il proprio punto di vista. Le storie dei personaggi, con le loro missioni secondarie, avanzano di dialogo in dialogo, passando di luogo in luogo, ma non sarà semplice portarle a termine, tanto è vasta la mappa quanto le sue diramazioni, rischiando di perdersi qualcosa. Vi basti sapere che il protagonista è un Senzaluce che risorge in un regno prima governato dalla regina Marika l’Eterna, ora sull’orlo del baratro e gli viene chiesto di superare delle insidie per impadronirsi del titolo di lord ancestrale.

Il piacere della scoperta

L’analisi del comparto ludico deve necessariamente partire da una delle novità più lampanti, ovvero il mondo aperto e la mappa. Franati i limiti di un level design fatto di corridoi stretti e zone claustrofobiche, il gioco si schiude a un territorio vastissimo tutto da esplorare. La paura di soffocare per i troppi input decade dopo pochi minuti: i contenuti da sviscerare e i segreti da portare alla luce sono tanti, ma non gettano nello sconforto, piuttosto invitano a continuare il viaggio. Il team ha calcolato saggiamente il rapporto tra spazi aperti e quantità di contenuti senza mai esagerare. È il Senzaluce che, con la mano invisibile dei designer, sceglie il suo percorso e le sue tappe. Potrà sentirsi disorientato, però non mancano i punti di riferimento: i Luoghi di Grazia presso cui riposare lasciano una scia visibile a occhio nudo, mentre tra i quattro punti cardinali si stagliano a Nord il Castello Grantempesta, dalla parte opposta una spiaggia e molto altro.

Ecco perché, se dovessimo trovare un nome per familiarizzare con il titolo, punteremmo su Skyrim, non su Assassin’s Creed Odyssey. Scevro da indicatori soffocanti, il protagonista dovrà raccogliere fisicamente pezzi di mappa sparsi – con uno stratagemma comprensibile eppure da rivedere – e diradare la nebbia. Il menù apposito diventerà un grande alleato, potendovi apporre dei segnali, studiandola per cercare luoghi a cui dare un nome. E se è vero che degli asset provengono dalle precedenti opere degli sviluppatori, che determinati ambienti e nemici si ripetono, facendo a volte vacillare l’impressione di una produzione originale, bisogna inserire questo elemento nell’abnorme equazione di un sistema open world denso di contenuti. I nostalgici di Dark Souls troveranno una nuova casa nei Legacy Dungeon, una sorta di rielaborazione di quanto fatto in passato in una chiave ampliata, evoluta, migliorata; si trattano di costruzioni che giocano sul fattore orizzontale quanto sulla verticalità, ampliando a dismisura il senso di scoperta.

Di tradizione ed evoluzione

Dire che Elden Ring sia l’opera accessibile a un bacino di utenza più vasto può essere fraintendibile: sì, il mondo aperto permette di darsela a gambe in caso di game over imminente e il viaggio rapido tra i Luoghi di grazia consente di tornare sui propri passi, ma i nemici sono più spietati che mai. Dai lupi ai giganti, passando per i boss, ogni avversario non ammette distrazioni e necessita della massima concentrazione. Le magie sono potentissime, specialmente su build dedicate, il numero di armi ed equipaggiamenti è il più vasto di sempre in un gioco FromSoftware – alle prime si aggiungono le ceneri di guerra, abilità da equipaggiare per donare mosse devastanti – mentre la possibilità di fabbricare oggetti e agire in stealth introduce una vena strategica mai vista prima. Eppure, la difficoltà come pilastro del game design rimane e il livello di sfida non rimane costante, bensì s’impenna da un certo punto fino alla fine. Tuttavia questo non deve scoraggiare nessuno: è la filosofia degli autori e insieme un monito per invitare i giocatori a provare e a riprovare, poiché gli strumenti per andare avanti sono tutti nell’Interregno.

Ciò si coniuga all’anima da gioco di ruolo di Elden Ring, fatta di peso e stabilità da monitorare, di statistiche da studiare e affini. Importante inoltre è la postura: legata alle armature indossate, consente al giocatore di resistere agli attacchi senza balzi indietro e senza interrompere le sue animazioni. Una caratteristica propria anche dei nemici e pertanto sfruttabile a proprio vantaggio. Attraverso attacchi potenti sarà possibile togliere la loro copertura, a discapito di una maggiore agilità, mentre dei colpi veloci potrebbero non penetrare mai le loro difese. A ciò si aggiungano le rune maggiori, potenziamenti di varia entità che si ottengono sconfiggendo i boss, utilizzabili solo con l’aiuto di oggetti rari. Una mano al raggiungimento della gloria potrà arrivare infine dagli spiriti, evocazioni da equipaggiare al pari di altri strumenti.

Una delle novità collegate al level design e alla nuova gestione della mappa riguarda Torrente, la cavalcatura offerta ai Senzaluce. Dotato di una grande velocità e di un doppio salto, il destriero diverrà presto il loro migliore compagno, al netto di qualche nota fuori posto. I suoi movimenti avrebbero meritato una migliore rifinitura, ma soprattutto i combattimenti in sella risultano raffazzonati: abbiamo apprezzato la possibilità di menare da ambo i lati o di scegliere un colpo caricato che da terra colpisce anche gruppi di nemici insieme, ma al contempo la sua gestione generale non è sempre ottimale.

Il comparto multiplayer è forse quello più vicino alle precedenti produzioni firmate FromSoftware: restano i messaggi asincroni lasciati a terra dagli utenti ora per aiutare, ora per sviare altri circa la posizione di oggetti o la potenza di qualche boss. La componente cooperativa e da PvP è ancora legata ai segni di evocazione, i quali permettono di portare due giocatori nella partita di uno. Per quanto sarebbe stato auspicabile vedere alcune modifiche su questo fronte, la decisione di mantenere l’impalcatura ormai tradizionale è comprensibile, vista l’intenzione di non distruggere il sistema in generale.

Compromessi artistici

Ancora una volta, FromSoftware non è riuscita a calibrare la telecamera: non si riscontrano battaglie nelle quali questa diventa un secondo avversario, ma rimane un punto dolente da citare. Restando in campo tecnico: la versione PlayStation 5 soffre di un lieve problema di stuttering che si acuisce in quella PlayStation 4, anche se la prima patch arrivata a ridosso del lancio ha parzialmente migliorato la situazione. Sviluppare un gioco per due generazioni di console distinte, ovvero per due hardware, non deve essere stato semplice, ma in aggiunta a dei nemici che colpiscono attraversando le pareti e altri piccoli nei, avremmo gradito il superamento di tali problemi noti a chi conosce lo storico dello studio giapponese.

Nonostante ciò, i loro creativi hanno saputo risollevarsi grazie a una direzione artistica sorprendente di tutto l’Interregno. Parliamo del pacchetto completo, da una colonna sonora che alterna tracce ambientali e altre più sontuose, a una serie di paesaggi e scorci che faranno valere ogni cavalcata.

Trofeisticamente parlando: a caccia del Platino ancestrale

Dopo la caccia all’anello ancestrale, parte quella al platino. L’elenco trofei di Elden Ring ne prevede quarantadue, distribuiti tra ventiquattro di bronzo, quattordici d’argento, tre d’oro e il trofeo di Platino. Anche chi si occupa di creare gli obiettivi comprende che rovinare un qualsiasi dettaglio sulla storia sarebbe un dispetto, visto che sono quasi tutti nascosti. Sono infatti relativi alla vittoria su specifici boss e, di conseguenza, alla campagna principale, ma non mancano quelli legati al potenziamento massimo di armi ed equipaggiamenti. Insomma, la ricerca del Platino ancestrale non sarà impossibile, ma richiederà di passare molte ore tra gli spazi dell’Interregno. Per ridurre i tempi potete comunque sfruttare la nostra guida trofei in lavorazione.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto:
9/10
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Grata dal 1994 ai videogiochi per sopperire a pigrizia e mancanza di fantasia, è stata svezzata da mamma Nintendo, allevata da Sony fin dalla prima PlayStation, cresciuta con un pad in mano e il Game Boy Advance nell'altra. Laureanda in Lettere classiche, avversa ai videogiochi in digitale, sogna per questo una casa dove custodire una collezione degna di tale nome.

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