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Song of Horror – Recensione

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Con Song of Horror, di cui offriamo una ricca recensione, lo sviluppatore Protocol Games e il publisher Raiser Games tentano di tornare a una paura diversa. Niente villaggi infestati o vampiri succhia sangue, ma tanta tensione e angoscia, come nei classici film del genere horror.

Non aprite quella porta

Se fate una rapida ricerca su Google relativa a film dell’orrore girati in case infestate, scoprirete un mondo di titoli dalla qualità altalenante sulla cui copertina capeggia la classica casa vittoriana semi diroccata. Questa ambientazione è anche quella offerta da Song of Horror, titolo che non fa mistero della sua ispirazione e che propone una trama semplice e lineare, piena però di mistero.

Il celebre scrittore Sebastian P. Husher e la sua famiglia sono scomparsi. Preoccupato, il suo editore manda un assistente per scoprire che fine abbia fatto. Daniel, questo il nome del primo personaggio che interpreteremo, non si cura dell’aria sinistra della magione degli Husher e vi entra. Qui il nostro sfortunato esploratore, che non ha evidentemente seguito il nostro suggerimento relativo ai film horror, si avventura all’interno della terrificante casa salvo entrare in contatto con una presenza ultraterrena che lo imprigiona.

Al termine di questo breve prologo inizia la vera narrazione. Song of Horror permette infatti di utilizzare una serie variegata di personaggi legati in qualche modo allo scomparso Daniel o ad altri personaggi per esplorare Husher Manor e cercare di risolvere il mistero che vi aleggia sopra. Nessuno sa però che “La Presenza”, come viene chiamata nel gioco, ha ben altri piani in mente e cercherà in ogni modo di eliminare gli avventori più incauti.

Profondo rosso

Proprio come la trama, anche il gameplay di Song of Horror affonda le sue tetre radici nel classico. Si tratta infatti di un’avventura in terza persona in cui si esploreranno le varie stanze della casa e le altre ambientazioni, inquadrate con una telecamera fissa. Nessun combattimento – del resto gli spiriti non possono morire – ma sequenze per evitare di essere risucchiati dall’oscurità.

Per la maggior parte del tempo, infatti, l’esplorazione delle aree avviene senza intoppi. Di tanto in tanto, però, La Presenza fa la sua comparsa per tentare di terrorizzare a morte i visitatori oppure di portarli in un mondo misterioso. Queste minacce si concretizzano con alcuni quick time event in cui premere una serie di tasti rapidamente o ritmicamente, per chiudere ad esempio una porta oppure calmare il proprio battito cardiaco mentre si sta nascosti. L’imprevedibilità di questi attacchi lascia però i giocatori con un senso di costante tensione, amplificato anche da rumori molesti, apparizioni terrificanti e molto altro ancora.

In questo senso, Song of Horror svolge egregiamente il suo lavoro. L’intelligenza artificiale è inoltre calibrata sulle abitudini del giocatore e si adatta per spaventarlo nel modo più efficace possibile. Non aspettatevi quindi due volte lo stesso attacco: sarà necessario essere sempre attenti e controllare ogni porta e ogni angolo.

La finestra sul cortile

L’esperienza offerta da Song of Horror è di tipo puramente esplorativo. Tutto quello che dovrà fare il giocatore è risolvere una serie di enigmi e sfruttare gli oggetti recuperati nella casa per svelare i misteri che la avvolgono. I comandi di gioco si adattano bene a questa struttura, dedicando i tasti dorsali alla corsa e all’inventario e quelli frontali alle interazioni con i punti d’interesse. Se cercate l’innovazione, meglio buttare l’occhio altrove, altrimenti se amate i classici vi sentirete a casa.

Interessante anche la possibilità di rinvenire informazioni come appunti o foto che aiuteranno a comprendere meglio gli eventi del gioco. I giocatori più attenti potranno infatti scoprire tanti dettagli, a patto di digerire l’inglese. Song of Horror, infatti, non è stato localizzato in italiano, dunque comprendere alcune parti dei testi potrebbe risultare complesso.

Decisamente semplici invece gli enigmi proposti, che richiedono solitamente di combinare uno o più oggetti per attivare delle sequenze e proseguire nella storia. Si tratta del classico schema in cui per accendere il fuoco servirà la legna, ma per trovarla bisognerà prima accendere il boiler, che vi chiederà però la corrente e così via. Nonostante, come detto, l’innovazione non sia di casa, tutto funziona molto bene, amplificato anche dalla costante ansia che la casa provoca.

L’alba dei morti viventi

L’elemento più di spicco di Song of Horror, assieme al terrore “procedurale”, è la morte permanente dei personaggi. Non si tratta anche qui di una novità assoluta, ma è interessante che il team di Protocol Games permetta ai giocatori di trovare gli appunti dei personaggi defunti. Si potrà così proseguire virtualmente dal punto in cui si era morti in precedenza. Si tratta di una meccanica vincente che amplifica la sensazione d’impotenza dei giocatori e fa quasi sentire in colpa per la dipartita di uno dei protagonisti.

Ottimamente realizzata è anche la meccanica legata ai rumori. Di tanto in tanto sarà infatti necessario origliare alle porte per svelare presenze oscure e cambiare percorso, onde evitare di andare incontro alla morte. Questa possibilità è ben supportata da un comparto d’audio di prim’ordine. Non solo gli effetti speciali, ma anche le tracce audio sono davvero quanto di più adatto ci sia a un titolo horror.

Molto più compassata la grafica, che offre una casa in grande spolvero ma modelli poligonali dei personaggi rivedibili. Ben realizzati invece gli effetti di luce, vero fiore all’occhiello di Song of Horror, che se possibile aumentano ulteriormente la tensione generata dagli stretti corridoi e dalle stanze oscure della casa.

Trofeisticamente parlando: Poltergeist

Così come il gioco, anche l’elenco trofei di Song of Horror è per cuori forti. Oltre alla necessità di completare il gioco senza perdere nessun personaggio, sarà anche necessario terminarlo alla difficoltà più alta. Se questo non bastasse, sappiate che nella inquietante casa degli Husher si celano anche alcuni collezionabili.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
8/10
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Nato e cresciuto in cattività, il giovane Stefano è stato svezzato a latte in polvere e Nintendo, cosa che lo ha portato con gli anni a dover frequentare svariati osteopati a causa delle deformazioni alle mani causati dall'uso di pad rettangolari. Oggi ha una certa età e scrive per il Bit, non perché abbia una scelta, ma perché altrimenti il boss Dario lo fustiga con le copie invendute di Digimon All-Star Rumble. Nel tempo libero si dedica occasionalmente al suo lavoro di commesso di telefonia e soprattutto alla caccia al Platino, con scarsi risultati.

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