The Church in the Darkness – Recensione

Sviluppatore: Paranoid Productions Publisher: Fellow Traveler Piattaforma: PS4 Genere: Azione/Avventura Giocatori: 1 PEGI: 16 Prezzo: 19,99 € Italiano:

L’argomento della religione è sempre difficile da trattare, che sia nelle opere videoludiche e cinematografiche o addirittura in una discussione a quattrocchi, ma nel bene o nel male è un discorso più presente di quanto non si creda nel medium che ci riguarda, anche se in forme diverse, che siano esplicite o meno. Ne sono un esempio la profondità di un titolo come Journey, un’esperienza spirituale che, in un certo senso, riesce a racchiudere e connettere delle affinità tra più religioni, e The Church in the Darkness, religioso già dal nome, che tenta invece di marcare quali siano gli aspetti positivi e negativi delle religioni. Quest’ultimo titolo, tuttavia, sarà anche intrigante nel pretesto, ma non di certo nell’esecuzione.

The Church in The Darkness

La lampadina nell’oscurità…

Come abbiamo accennato nell’introduzione, The Church in the Darkness ha un pretesto di fondo interessante quanto delicato: far riflettere, lasciando alla libera interpretazione, su quanto possa essere giusto o sbagliato mettere la religione sui piedistalli più alti della società. Ma è solo il concept a sforzarsi di essere qualcosa di nuovo, in quanto il resto della trama cade nell’abisso della banalità.

Ci si aspetta un viaggio introspettivo con presupposti, con retroscena profondi, e invece il gioco ci appioppa una storia quasi a sé stante e generica. Un culto religioso fondato da Isaac e Rebecca Walker è seguito da molte persone grazie all’iniziativa della così definita (ma non ben approfondita) “missione della giustizia collettiva”, culto tuttavia scacciato dagli Stati Uniti perché etichettato come troppo pericoloso per i canoni americani. La storia di The Church in the Darkness segue (o seguirebbe) la vicenda dal punto di vista dell’ex-agente di polizia Vic, che dovrà infiltrarsi in Sud America, nuova patria del misterioso culto, alla ricerca del nipote Alex. Non c’è bisogno di sapere altro se non che, per qualche oscura ragione, il culto sparerà a vista a chiunque non faccia parte delle sue fila e che il protagonista ignorerà completamente usi e costumi di questa società per ritrovare Alex e riportarlo a casa.

The Church in The Darkness

… si è fulminata

La peculiarità di The Church in the Darkness sta però in ciò che circonda tanta banalità, ovvero le storie multiple. In base al nostro comportamento in-game, se ci faremo scoprire troppe volte o uccideremo innocenti a sangue freddo senza troppi complimenti gli abitanti un tempo disposti ad aiutarci a trovare Alex ci pugnaleranno alle spalle e sarà game over, ma c’è anche un pizzico di proceduralità narrativa. La risposta di Alex non sempre sarà scontata, potrebbe addirittura decidere di restare nel culto, vanificando l’intero viaggio.

Premiamo questo distaccamento dai canoni classici, tuttavia non passa molto tempo prima che The Church in the Darkness si pesti i piedi da solo. La casualità dello story telling è limitata esclusivamente alla posizione di Alex e al nostro comportamento, il modus operandi per localizzare il ragazzo sarà sempre uguale. La narrazione diventa estremamente dispersiva a causa del casino su schermo, tempestato da sottotitoli delle immancabili prediche di Isaac e Rebecca impossibili da seguire per via della mancata localizzazione in italiano. Il tutto si riduce a trovare un certo NPC di interesse, chiedere di Alex e cercare nel cerchio blu sulla mappa.

Dimentica chi sei

Il comparto narrativo non brilla nonostante le buone intenzioni, ma il gameplay non sembra averne nemmeno, di intenzioni. Con una scomoda telecamera dall’alto incapace di darci una buona visuale di gioco, nei panni di Vic attraverseremo la giungla colonizzata di Freedom Town partendo ogni volta da un punto casuale con una meta altrettanto casuale da raggiungere, da svelare parlando con gli NPC amichevoli.

Ogni partita può durare all’incirca trenta minuti, mezz’ora di puro disastro stealth; sarà possibile scegliere l’approccio preferito, tra assassino a sangue freddo e predatore silenzioso, ma nessuno dei due è all’altezza delle aspettative. Partendo dallo stealth, la struttura di gioco si basa sul camuffamento e sul non entrare nel (ridottissimo) cono visivo dei nemici, meccanica che esalta alle stelle l’intelligenza artificiale del primo Metal Gear. Gli abitanti di Freedom Town si allerteranno correndo istericamente da un punto all’altro solo se avranno visto un cadavere, non sentiranno mai i nostri passi, non ascolteranno mai il rumore dei nostri spari e non ispezioneranno le aree sospette; al contrario, potremo addirittura correre a tutto gas alle loro spalle e sorprenderli senza farci notare.

The Church in The Darkness

Si comprendono i limiti dell’intelligenza artificiale con i sassi, l’arma migliore per distrarre le guardie. Premendo il tasto Triangolo è possibile lanciare un sasso verso la direzione puntata e il suo rumore farà inevitabilmente avvicinare tutte le guardie in zona; anche quelle che ci hanno già nel mirino, abboccheranno sempre. Si tratta di un espediente stupido e disimpegnato che insulta il panorama degli stealth e, soprattutto, l’intelligenza del giocatore. Imperdonabile.

La situazione addirittura peggiora se si parla di shooting. Il puntamento è scomodo, lento e impreciso, in parte aiutato dalla mira automatica che non sempre funzionerà come vorremmo, mentre i nemici saranno delle vere e proprie macchine da guerra, rapidi a sparare, precisi e armati fino ai denti anche a difficoltà media. Se non altro The Church in the Darkness ci consente di morire due volte nella stessa partita simulando una cattura di Vic da parte dei leader del culto, purtroppo anch’essa resa banale. Aprire la gabbia è di una facilità disarmante per il protagonista e, puntualmente, ci sarà sempre una persona a sorvegliarci, rigorosamente di spalle. Insomma, il gameplay di The Church in the Darkness non riesce a spiccare in nulla e anzi diverte (istericamente) per il suo essere innaturale. Un disastro su tutti i fronti.

The Church in The Darkness

Hasta la Victor… ia?

Fortunatamente la stessa sorte di gameplay e storia non è capitata al comparto visivo, questo ben studiato per quanto riguarda il design della location e la struttura degli edifici più grandi come le chiese, anche se si nota un calo con le strutture più piccole come case e capannoni, tantissimi ma spogli e sempre uguali. C’è molto da dire anche sui modelli dei personaggi, non definiti e con poligoni di troppo che fuoriescono da essi, particolarmente visibili allo zoom della telecamera.

C’è impegno, ma non troppo, per quanto riguarda i documenti sparsi in giro per la mappa. Questi sono credibili e ben dettagliati, ma nei vari playthrough incrocerete lo sguardo sempre con gli stessi ritagli di giornale e brochure, in alcuni casi ripetuti anche nella stessa partita. I suoni ambientali risultano esagerati da sembrare cartooneschi, ma sono controbilanciati da un buon doppiaggio, con voci azzeccate e dal giusto stampo, anche se segnaliamo il mutismo del protagonista. O della protagonista. Infatti sarà possibile rendere Vic una donna e cambiarle il colore della pelle a piacimento, tuttavia la scelta del genere non varierà la storia e i dialoghi; gli NPC continueranno a rivolgersi a Vic parlando al maschile, creando non poca confusione.

Trofeisticamente parlando: l’apprendista del Cavaliere Oscuro

L’elenco trofei di The Church in the Darkness conta, insieme a trentotto bronzi, sette argenti e tre ori, un Platino difficile da portare a casa. Essenzialmente l’ottenimento della coppa massima richiede di completare dieci storie diverse, trovando tutti gli NPC secondari e svolgendo le loro quest, di scovare tutti i documenti in una sola partita e, ancora in una sola partita, di percorrere tutti i ponti della mappa e sopravvivere per un’ora senza mai farsi eliminare. Questi e tanti altri trofei “scomodi” sono presenti nell’elenco.

VERDETTO

The Church in The Darkness organizza il viaggio con le migliori premesse, ma lascia a casa la valigia. L'ambientazione è molto buona e l'argomentazione è più che valida, ma la backstory è quasi assente e la trama centrale ancor più banale, il gameplay è imbarazzante tant'è difettoso e mal strutturato, basato interamente su sezioni stealth tra le peggiori mai viste in un videogioco. E' un gioco con meccaniche interessanti, ma è rotto, ingiocabile. Un'occasione mancata.

Guida ai Voti

Andrea Letizia
Cresciuto a pane, Kamehameha e Crash Bandicoot, inglesizzato grazie a Kingdom Hearts. Grande amante degli action RPG e dei platform, dei cani e del wrestling.