Dungeon Munchies – Recensione

Sviluppatore: maJAJa Publisher: Chorus Worldwide Piattaforma: PS5 (disponibile anche per PS4) Genere: Azione/Avventura Giocatori: 1 PEGI: 7 Prezzo: 14,99 € Italiano: No

L’appetito vien mangiando, come dimostra la recensione di Dungeon Munchies. Il trittico composto da maJAJa, Chorus Worldwide e Serenity Forge porta su PlayStation un titolo indipendente tutto pepe, in cui diventeremo dei veri e propri Masterchef dell’oltretomba. Il tutto per aiutare un demone a fuggire dall’aldilà. Siete incuriositi? Allora seguiteci in un viaggio tra non morti e fornelli.

So che a voi piace…

Come è facile immaginare, questa recensione mi dà l’occasione d’inserire tantissime citazioni tratte da Masterchef e riferimenti alla cucina. Nonostante questo, giuro solennemente che non trasformerò l’analisi in una sorta di grossa gag, ma cercherò di analizzare Dungeon Munchies come farebbe un critico culinario, mettendo in campo tutta l’esperienza maturata in questi anni.

Iniziamo quindi da quello che in molti giochi rappresenta solo uno stuzzichino (se presente) ma che in Dungeon Munchies è più che un buon antipasto: la trama. I giocatori vestono i panni di uno zombie senza nome, un ragazzo appena defunto che si rialza dalla sua bara. Ancora circondato da foto e corone di fiori, muove i primi claudicanti passi in uno strano mondo. A trasformarlo in un morto vivente, come scopriremo a breve, è stato il demone Simmer, una negromante appassionata di cucina.

In una serie di rapidi scambi di battute, apprendiamo che Simmer desidera fuggire dal regno degli Inferi, sfruttando noi come tramite. Per aiutarci nel viaggio decide di regalarci il primo di una serie di volumi di cucina (da lei stessa redatti) e farci diventare degli zombie chef in erba. Inizia così un action cooking platform, definizione ricca di sapore che lascia presagire una portata principale davvero carica. Senza indugi quindi abbiamo acceso i fornelli per cucinare qualche strana pietanza.

Hai un futuro nei ristoranti. Come cliente.

Le prime fasi di Dungeon Munchies fanno anche da tutorial per apprendere i comandi base. Il gioco si presenta come un action bidimensionale con numerose sezioni platform. L’immancabile tasto per saltare viene affiancato da quelli per utilizzare l’arma principale e quella secondaria. Tutto è incredibilmente basilare (persino insipido), se non fosse che i comandi sono totalmente sballati e imprecisi.

I primi problemi si avranno non tanto durante i combattimenti, per quanto faccia strano avere un tasto frontale e uno dorsale per usare i due strumenti equipaggiati, quanto nei lunghi momenti in cui eseguire salti precisi. I movimenti dello zombie sono strani e a volte fin troppo “saponosi”, tanto che nelle fasi avanzate del gioco riuscire a superare certe aree sarà davvero frustrante. In tutto questo, inoltre, i nemici non ci daranno quasi mai tregua. Le mappe sono infarcite di mostri da abbattere a suon di attacchi, pena la morte (di nuovo) del nostro eroe.

Il combat system è incredibilmente piatto, senza contare che Dungeon Munchies non offre mai un livello di sfida clamorosamente alto. Nonostante la possibilità di scegliere tra tre difficoltà, anche giocato alla più alta di riuscirà a uscire senza troppi patemi sia dai normali scontri che dalle battaglie contro i boss. Interessante invece la caratterizzazione dei mostri, con api laser, granchi spara proiettili e in generale una buona varietà di avversari. Davvero senza senso invece l’assenza di un feedback ai nostri attacchi, se non la riduzione della barra di salute del nemico.

Sai come si chiama questo? Pressure Test

Giunti a questo punto della recensione di Dungeon Munchies, i lettori più attenti si saranno accorti che non abbiamo ancora parlato dell’elemento “cooking”. Abbiamo infatti deciso di tenere il piatto più saporito come portata principale, dato che di fatto questa è la meccanica più riuscita del gioco. Da ogni mostro sconfitto e da alcuni oggetti sparsi nel mondo il nostro eroe potrà estrarre degli ingredienti. Questi potranno essere cucinati sfruttando i consigli di Simmer e le ricette recuperate durante il viaggio.

Ogni pietanza, una volta introdotta nel nostro stomaco, fornirà una specifica abilità. Potrebbe essere un potere passivo, come ad esempio emettere scosse elettriche o nubi di veleno, oppure uno attivo come il doppio salto o speciali attacchi. Man mano che si proseguirà nel gioco, la pancia dello zombie si andrà via via riempendosi, permettendo di “equipaggiare” un massimo di sette pietanze. Bisognerà quindi scegliere, tra le oltre sessanta presenti, quali saranno più adatte a certi momenti. Durante la cucina non aspettatevi comunque sfide alla Cooking Mama: basterà avere i materiali e premere su un’icona per diventare maestri dei fornelli.

Un altro elemento da puro gioco di ruolo è legato alla creazione delle armi, che necessitano risorse simili a quelle delle ricette. Scegliere accuratamente come spendere gli ingredienti sarà quindi fondamentale per non farsi trovare impreparati. Purtroppo però anche questa spruzzata di pepe non mitiga la sensazione di ripetitività del gioco, afflitto da meccaniche che non cambiano quasi mai nel tempo.

Mi stai diludendo

Dungeon Munchies è un gioco pieno di luci e ombre, con elementi brillanti e altri invece che avrebbero bisogno di una bella manciata di sale. Lo stesso dualismo lo ritroviamo anche in un comparto tecnico che alterna scelte di grande qualità ad altre rivedibili. Partiamo dai pro del gioco, che vanta un design dei personaggi davvero affascinante. Sia i protagonisti che gli NPC sono davvero divertenti, con Simmer due spanne sopra gli altri. La presenza di scheletri irriverenti, banane che vogliono essere mangiate e strani ortaggi rende tutto comicamente folle.

Accanto a un bel design e a dialoghi strampalati, troviamo però una grafica in-game tutt’altro che appagante per l’occhio. Una pixel art smorta offre buoni effetti speciali e un design dei mostri ben fatto, spalmate su ambientazioni incredibilmente povere e cupe. Interessante invece la colonna sonora, che vanta una quarantina di tracce tra cui ne troviamo alcune davvero azzeccate. Non una sorpresa, dato che spesso i prodotti indipendenti brillano a livello di audio, ma comunque una piacevole conferma.

Un po’ troppo risicata invece la longevità del gioco, anche in considerazione di un prezzo non esattamente low budget. Portare a termine l’avventura culinaria di Dungeon Munchies richiede circa sei ore, considerato anche un minimo di backtracking per eventuali segreti o oggetti da recuperare. Nonostante le tre difficoltà, inoltre, la rigiocabilità è ridotta al minimo.

Trofeisticamente parlando: vuoi che muoro?

La citazione di Joe Bastianich fa da perfetta introduzione alla lista trofei di Dungeon Munchies. Il team in realtà non ci vuole morti, anzi. Il breve elenco del gioco, composto da 24 coppe comprensive di Platino, richiede di completare il primo capitolo senza mai essere sconfitti. In aggiunta a questo, sarà necessario terminare il gioco alla massima difficoltà (qui però potrete morire, tranquilli) e realizzare ogni ricetta. I restanti trofei sono tutti legati alla storia, per una sfida alla portata di qualsiasi aspirante chef zombie.

VERDETTO

Se fossimo dei giudici di Masterchef, allora Dungeon Munchies avrebbe rischiato il temuto Pressure Test. L'opera di maJAJa mette in campo una serie d'idee interessanti, come la necessità di usare pezzi dei nemici per creare ricette e armi, ma la realizzazione tecnica lascia decisamente a desiderare. Il tasto più dolente è sicuramente un'ottimizzazione dei comandi tutt'altro che felice, con scelte di mappatura rivedibili e una generale legnosità e mancanza di precisione. Un "mappazzone" che farebbe indispettire Bruno Barbieri, da cui cercano comunque di emergere le buone intenzioni dello studio. Per questo non ci sentiamo di punire Dungeon Munchies con un'insufficienza, sottolineando però che si tratta di un prodotto a tratti insipido, da acquistare magari sfruttando uno sconto. Chi ama gli action platform e lo humor nero, comunque, avrà di che divertirsi per qualche ora.

Guida ai Voti

Stefano Bongiorno
Nato e cresciuto in cattività, il giovane Stefano è stato svezzato a latte in polvere e Nintendo, cosa che lo ha portato con gli anni a dover frequentare svariati osteopati a causa delle deformazioni alle mani causati dall'uso di pad rettangolari. Oggi ha una certa età e scrive per il Bit, non perché abbia una scelta, ma perché altrimenti il boss Dario lo fustiga con le copie invendute di Digimon All-Star Rumble. Nel tempo libero si dedica occasionalmente al suo lavoro di commesso di telefonia e soprattutto alla caccia al Platino, con scarsi risultati.