Paradise Lost – Recensione

Sviluppatore: PolyAmorous Publisher: All in! Games Piattaforma: PS4 Genere: Avventura Giocatori: 1 PEGI: 16 Prezzo: 14,99 € Italiano:

Dopo avervi informato nel corso del tempo tramite i nostri canali dell’esistenza del progetto targato PolyAmorous, aver condiviso qualche succulento gameplay trailer e teaser di filmati introduttivi, siamo finalmente giunti in possesso del titolo pubblicato da All in! Games made in Polska. Sto ovviamente parlando di Paradise Lost, il walking simulator che mi ha affascinato, sedotto e poi abbandonato lungo il cammino, o meglio dire, lungo la discesa. Scopriamo meglio pregi e difetti nella nostra recensione.

paradise lost

Nel mezzo del cammin del nostro bunker

Seconda Guerra Mondiale. Il conflitto bellico non è andato esattamente come lo ricordiamo, ma anzi, si è protratto nel tempo, troppo a lungo, fino ad un enorme stallo tra le forze sovietiche, tedesche e americane/europee. Il Reich trovandosi schiacciato tra due enormi superpotenze non ha potuto far altro che difendersi, arrestare le mire espansionistiche e rintanarsi nei suoi confini. Da qui l’esigenza di costruire fortini sotterranei che, in caso di sconfitta imminente, avrebbero potuto accogliere il meglio della razza ariana e preservare la civiltà tedesca dalla scelta più azzardata e folle che un essere umano potesse compiere: bombardare il suolo europeo con testate atomiche al fine di rendere impossibile la vita in superficie. L’enorme radioattività avrebbe funzionato come scudo contro i nemici, che indeboliti e inconsapevoli dei progetti nazisti, si sarebbero ritrovati decenni più tardi a dover fronteggiare una rivalsa dal basso di un nemico che si pensava sconfitto. Il folle piano infatti, prevedeva di continuare a sviluppare armi, al sicuro nei bunker, e di usarle successivamente per annientare i nemici del Reich.

Con questa forte premessa e questa visione distopica del secondo conflitto mondiale, gli autori del titolo ci mettono nei panni di un bambino, figlio di una ribelle polacca che verrà a mancare nel corso dei primi sviluppi e spingerà il ragazzo a cercare una risposta. La risposta ad un volto ritratto in una foto accanto a sua madre. Parte così, il viaggio all’interno di quello che sembra essere un vecchio bunker nazista abbandonato nella Polonia degli anni Ottanta. L’impattante situazione iniziale in cui ci catapulta il titolo è una storyline nuda e cruda, non esistono altre modalità di gioco. Tutto è incentrato sulla figura di Szymon e sul suo viaggio solitario.

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Le caratteristiche del titolo sono quelle di un walking simulator, anche se personalmente la trovo una semplificazione molto sciatta. Da subito ci si sente oppressi dalla maestosità e dalla grandezza della costruzione nazista, fatta di enormi edifici e statue immense poste nel sottosuolo. L’aria e l’ambiente attorno al protagonista sono pesanti e tetre, i pochi punti luce, soprattutto inizialmente, sono quasi un invito dantesco a non procedere oltre e man mano che si avanzerà nel corso della storia si avrà modo di capire meglio le intenzioni dei suoi abitanti passati, attraverso la lettura di note o la ricostruzione degli eventi traminte i monitor di controllo. Purtroppo, nota molto dolente ahimè, è la mancata localizzazione in italiano che avrebbe permesso a una più ampia utenza di godere appieno del titolo. Non inserire nel 2021 nemmeno i sottotitoli in quello che è un titolo con pochi dialoghi e tanti collezionabili da leggere è una grave mancanza. Così come lo è l’assenza di un punto di raccordo nel menù in cui poterli rivedere in qualsiasi momento. Ciononostante Paradise Lost ha un gameplay e una lore che spinge a voler capire meglio cosa nasconda il bunker e se davvero è privo di vita come sembra.

Szymon ed Ewa, un destino intrecciato

Paradise Lost ha una longevità bassa, dura infatti una manciata di ore, non è un videogioco che si pone il problema della rigiocabilità, se non per un fattore: il finale. Il titolo si divide infatti in cinque precisi capitoli, ognuno dei quali rispecchia lo stato d’animo umano derivato dal processo di elaborazione di un lutto. Viene subito all’occhio che il destino a cui andiamo in contro non è dei più rosei, soprattutto dopo aver fatto la conoscenza di Ewa, quella che sembra essere l’unica forma di vita presente nel bunker, che ci dà istruzioni e ci guida attraverso l’impianto audio dello stesso. Proprio a lei è legato l’unico motivo per poterlo rigiocare da capo: infatti in base alle scelte e alle risposte che daremo sarà legato a doppio filo sia il suo che il nostro futuro. Lungo il nostro viaggio menzione va fatta al lavoro svolto per il comparto audio, azzeccatissimo e pregno di significato sia nei momenti più bui che in quelli più sorprendenti, come nella stanza segreta che cela un grammofono e un brano realmente esistente. Mentre per quanto concerne la grafica, ci sentiamo di giudicare in maniera molto positiva la cura per i dettagli che riguardano i nazisti e le ambientazioni in generale. In particolare, il colpo d’occhio offerto dalla spiaggia sotterranea e dalle varie sculture poste nei vari livelli. Ricorda, per certi versi, un titolo illustre come Bioshock. Peccato per i filmati un po’ datati, quasi da epoca PlayStation 3. Assente il comparto multiplayer, ovviamente.

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Trofeisticamente parlando: niente trofeo di Platino

Per tutti i cacciatori di trofei l’elenco non è lungo. Parliamo infatti di una dozzina di trofei, di cui cinque legati direttamente alla storia e al completamento dei capitoli, cinque ai vari finali e due ad azioni specifiche, e mancabili, all’interno della vicenda. Vi rimandiamo alla discussione ufficiale sul nostro forum.

VERDETTO

Giunti al punto, o meglio, alla fine del nostro viaggio nel bunker, Paradise Lost è un titolo che colpisce per la sua forte componente distopica. Immaginare un risvolto del genere nella seconda guerra mondiale ha il suo fascino nonostante l'indubbio problema legato alla non localizzazione in italiano, che rende questo prodotto relegato a chi mastica almeno un po' di inglese. Resta un titolo non adatto a tutti, ma solo agli appassionati del genere.

Guida ai Voti

Brian Burchi
Have you seen this nerd? Prigioniero di questa passione dal lontano 1999, vive la sua vita un quarto di gaming alla volta, tra citazioni cinematografiche, binge watching di serie tv e anime e giornate lavorative e non passate in palestra, alla ricerca di un fisico che possa anche lontanamente somigliare a quello di Alex Louis Armstrong. Ora cerca di coltivare un sogno che ha sin da quando ha imbracciato per la prima volta un pad per PS1: scrivere e parlare di videogiochi.. non svegliatelo!