Bit Focus – Giochi difficili: cosa significa?

Nell’anno appena concluso è uscito Cuphead, e da quel momento si è diffusa una epidemia (in senso buono) che ha abbracciato una quantità di videogiocatori talmente ampia da superare ogni più rosea e utopica aspettativa degli sviluppatori stessi. Non potevamo, con l’uscita di Cuphead, non entrare in una vivace e coinvolgente discussione sul livello di difficoltà del gioco, precipitando inevitabilmente in argomentazioni forzate e paragoni impropri.

Il tutto è andato a finire a effetto imbuto su una, fatidica, domanda: Cuphead è davvero difficile? Da qui siamo andati oltre e abbiamo preteso di trovare una definizione della difficoltà in ambito videoludico, arrivando a un compromesso di maggioranza.

Partiamo però dal principio

I primi videogiochi sono davvero così difficili? E’ necessario fare un’osservazione: negli anni Novanta la console in casa era un lusso, soprattutto per i bambini piccoli o addirittura gli adolescenti. Dove si recavano i piccoli nerd? Nelle sale giochi, a comprare gettoni argentati con delle incanalature da inserire nelle macchinette. Secondo voi, ci avrebbe guadagnato il proprietario della sala giochi se ci fosse stato un gioco facile, e quindi la partita del ragazzino si fosse protratta a lungo, tra l’altro creando presumibilmente una lunga fila e generando il malcontento generale? La risposta è banale, e da qui si può capire perché andassero di moda picchiaduro, survival e, soprattutto, bullet hell e platform hardcore.

Facciamo un salto di qualche decina di anni e arriviamo ai giorni d’oggi. Esistono ancora le sale giochi? No. Lo scopo dei creatori di videogiochi è lo stesso? No. L’approccio del videogiocatore moderno medio è lo stesso rispetto a quello di 25 anni fa? No.

Adesso il gioco viene acquistato direttamente per le console di casa, lo scopo del produttore è quindi offrire un prodotto che possa intrattenere o, per il pubblico dal palato più sopraffino, regalare un’esperienza peculiare.

Qualche soggetto che si intrattiene a morire a ripetizione davanti a una sfida apparentemente insormontabile sicuramente esiste, ma la maggior parte dei videogiocatori pretende di ricevere dei riconoscimenti per ciò che sta facendo, anche questo fosse un semplice click. Da qui nascono i trofei, le ricompense nei giochi online, eccetera.

Inutile che mi dilunghi sullo sviluppo dei giochi mobile, dove la ricerca della ricompensa per aspettare che il gioco svolga automaticamente le sue mansioni (o l’immancabile premio di accesso giornaliero) è diventato un must per riscuotere successo.

E’ quindi semplice dimostrare come la curva del livello di difficoltà dei videogiochi sia decrescente al passare del tempo e all’inesorabile allargamento del target a tutte le età e personalità, oltre all’inserimento della componente pubblicitaria che è diventata fondamentale, se non addirittura la prevalente.

Giovanni Paolini
Catalizzatore di flame sul web e drogato seriale di fantacalcio, Giovanni vede il videogioco come un'espressione artistica piuttosto che come un mero intrattenimento privo di contenuti significativi. Per questo motivo, ripudia il 90% dei AAA e si tuffa sfacciatamente nel mercato indipendente, rimanendone il più delle volte scottato seppur senza rimorsi. Amante della musica di qualità, delle narrazioni articolate e di design ispirati, si è tuttavia mostrato fin dall'adolescenza ossessivamente attratto dai personaggi femminili antropomorfi, mistici o animati, universalmente conosciuti come waifu. Rappresenta orgogliosamente la vena toscana del Bit.