Primo PianoInside - Recensione

Inside – Recensione

Publisher: Playdead Developer: Playdead
Piattaforma: PS4 Genere: Puzzle/platform Giocatori: 1 PEGI: 18 Prezzo: 19,99 €

Inside è un capolavoro. Sei anni dopo l’acclamato Limbo, Playdead riesce a migliorare un’opera che già sembrava essere insuperabile. È un paragone che viene spontaneo per via di una serie di fattori che lasciamo al giocatore scoprire.

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Senza cervello

Siamo di fronte ad un mondo in cui l’umanità è ridotta ad una forma di schiavitù determinata da una sorta di decelebrazione che, nel mondo che noi conosciamo, viene ottenuta facendo esperimenti su scimmie, topi, gatti. Questa umanità soggiogata a livello mentale è resa tale da altri essere umani che non esitano ad infliggere punizioni mortali ogni qual volta si trasgredisce. Il gioco non spiega; ci lascia, in tutta la sua intensità, capire più o meno che cosa sta accadendo e perché questi esseri umani sono così inferociti verso i loro simili.

Noi siamo un bambino che sembra finire per caso nell’area prescritta di questi esperimenti, una sorta di mattatoio laboratorio gigante e subito, in uno scroll da sinistra a destra, deve scappare. La scena iniziale si svolge appena fuori dai luoghi menzionati e subito, si sente la mano pesante di Playdead in fatto di ansia, violenza, paura, oscurità senza sconti di pena. Subito veniamo braccati da persone che non esitano a sparare per fermarci o cani che un attimo ci sbranano.

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L’essere umano è esso stesso parte di una catena di montaggio, dove è obbligato a compiere dei movimenti in una certa progressione, pena la morte. Questi individui non hanno volto ma forse ancora un barlume di vita dentro. Durante il nostro andare incontreremo altre “persone” completamente senza cervello, dei fantocci che però in qualche modo ci aiuteranno a trovare un modo per scappare.

Una delle caratteristiche principali di Inside è la risoluzione di puzzle creati in maniera semplicemente geniale; noi pensiamo di risolvere in un modo e invece è quasi sempre il contrario. Rispetto ai bellissimi puzzle di Limbo, qui ci troviamo di fronte a puzzle anche molto più vasti; vengono, in alcuni casi, involute più stanze o zone di una certa area, il tutto senza mai farci avere alcun senso di frustrazione estrema. Graficamente parlando, Inside è veramente bellissimo; il tono grigio, plumbeo di tutta l’esperienza si coniuga attraverso un level design curatissimo in ogni dettaglio.

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Il suono è essenziale; quando stiamo progredendo, dei synth ci fanno capire che probabilmente la nostra è la strada giusta. Il suono ci avvolge e ci fa capire che siamo nello stesso posto rispetto ad altre persone e che in questo posto, magari alcuni metri più avanti, sta accadendo qualcosa. Avvertiamo quindi un senso interezza che affligge perché ci dice che sta avvenendo qualcosa e che è sicuramente spiacevole.

L’acqua e la forza di gravità

Tra le tante novità introdotte e che non vorremmo spoilerare, c’è sicuramente l’interazione con l’acqua e il senso di gravità. Siamo costantemente minacciati dall’acqua e dalle creature che la abitano ma riusciamo a trovare sempre un modo per venirne a capo. La forza di gravità la sentiamo, sentiamo il peso dell’apertura di un oblò, il modo in cui uno stantuffo viene via dopo aver tirato con forza.

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La parola Inside sta forse tutta all’interno di un processo di disumanizzazione che noi crediamo di poter fermare. Questo imbruttimento feroce del libero arbitrio diventa quasi un circo, un fenomeno da baraccone che altri esseri umani, quasi tutti colletti bianchi e scienziati –alcuni tengono per mano un bambino-, non sembrano mai stancarsi di guardare. La catena di montaggio arriva a generare creature aberranti, niente a che vedere con il miglioramento dell’umanità.

Playdead, ancora una volta, sembra non farci volere un senso di speranza, di luce. Inside non lascia tregua per via della sua bellezza, per il coinvolgimento emotivo, la paura e la voglia di salvarsi. Il tempo passa veloce, il gioco non dura tanto; per alcuni potrebbe essere un problema ma data la forza espressiva del non detto, della assenza dei dialoghi, dalla presenza del respiro affannato del bambino e di tutto quanto si è provato a dire qui, questo non è per nulla al mondo un problema.

Trofeisticamente parlando: non siamo più nel Limbo

Inside non ha il platino, ha solo 14 trofei di cui un solo oro. Tutti legati all’esplorazione e tranne in un paio di occasioni, facilmente ottenibili. Nel paragone a Limbo, Inside ne esce (forse) vittorioso in fatto di semplicità; nulla a che vedere con finire il gioco senza morire. Non legato specificatamente ad un trofeo, c’è un secondo finale che può essere sbloccato non proprio alla fine; altra grande lode per lo sviluppatore per dove ha posizionato il luogo del secondo finale.

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