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Shiren the Wanderer: The Tower of Fortune and the Dice of Fate – Recensione

Publisher: Aksys Games Developer: Spike Chunsoft
Piattaforma: PS Vita Genere: Roguelike Giocatori: 1-2 PEGI: 12 Prezzo: 39,99 €

“L’unica regola del viaggio è: non tornare come sei partito. Torna diverso.”

Anne Carson

Se vi trovate in Giappone e chiedete un gioco di ruolo particolarmente ostico, la prima risposta che vi verrà data potrebbe non essere “Dark Souls”. Dal 1995 infatti tiene banco un brand che si diverte a far dannare i giocatori con dungeon generati casualmente, meccaniche da roguelike ed un protagonista silenzioso ma letale: stiamo parlando della saga di Shiren the Wanderer, sbarcata su PlayStation Vita con l’episodio dal lunghissimo sottotitolo The Tower of Fortune and the Dice of Fate.

Viaggiatore silenzioso

La trama non è esattamente un motivo di vanto per la saga di Shiren, e questo episodio, remake del quinto capitolo sbarcato su Nintendo DS nel lontano 2010, non fa decisamente eccezione. Shiren è un viaggiatore solitario dotato però di una grandissima forza d’animo, della capacità di sconfiggere anche i mostri più letali e soprattutto di una spiccata propensione ad aiutare il prossimo.

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Ecco perché, giunto nel villaggio di Inori, non può ignorare il pianto disperato di una giovane coppia residente lì: lei, Oyu, affetta da una maledizione che le lascerà ottimisticamente solo qualche mese di vita, lui, Jirokichi, sfortunato amante intenzionato a fare di tutto per salvare la sua bella, compreso scalare la mortale Torre della Fortuna (la Tower of Fortune del titolo appunto) in cima alla quale pare risieda la Dea del Fato, forse l’unica in grado di salvare Oyu.

Come detto il loquace Shiren non può sorvolare su questa tragedia e, tradito dal suo buon cuore, decide di unirsi a Jirokichi in un viaggio che lo porterà ad esplorare la torre tra passato, presente ed anche futuro, accompagnato da colui che farà da interlocutore al posto nostro, una creatura parlante, simile ad un furetto, di nome Koppa.

Nulla più che un pretesto quindi per calarci in una serie di dungeon a generazione random, all’interno dei quali troveremo la gloria oppure, nei casi più disperati, la morte, oltre ovviamente ad una serie di oggetti da recuperare, mostri da sconfiggere e trappole da evitare.

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Ditemi quando è il mio turno

Come accennato nelle prime battute di questa recensione, Shiren the Wanderer è da sempre considerato un titolo ostico da affrontare, con tanto di colorite imprecazioni ad accompagnare ogni partita. Il lavoro più grande svolto dai ragazzi di Aksys Games è stato però quello di rendere più accessibile il titolo rispetto ai predecessori, per catturare un più nutrito gruppo di utenti.

Seppur molto noto e diffuso in Giappone infatti, questo brand ha sempre avuto una ristretta cerchia di estimatori per via di questa difficoltà di accesso per i neofiti della saga. The Tower of Fortune and the Dice of Fate si presenta invece come entry level dei roguelike, proponendo una struttura sì punitiva ma nel contempo semplice da assimilare.

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Il meccanismo di gioco è presto spiegato: Shiren avrà accesso a tre zone di difficoltà crescente, all’interno della quale ci verrà chiesto di superare una serie di piani infarciti di pericolosi mostri ma anche di numerosi oggetti da raccogliere. Le scale ci permetteranno di passare immediatamente al piano successivo, senza però possibilità di tornare sui nostri passi.

In caso di decesso, tutto quello che avremo raccolto e non depositato in appositi oggetti o presso i vari mercanti della città (compreso il denaro racimolato) saranno persi, ed il povero Shiren, cornuto e mazziato, ripartirà dal livello 1. Una bella batosta, evitabile però con tanta tattica e soprattutto con un’assidua pratica, dato che il meccanismo di gioco premierà la dedizione sopra ogni altra cosa.

Sono un esperto!

Abbiamo detto dunque che ogni morte ci porterà alla perdita di tutti i nostri averi e dell’esperienza: per evitare questa spiacevole situazione, comunque, Shiren potrà sfruttare tutti gli oggetti che troverà all’interno dei dungeon che andrà ad esplorare.

Oltre ad una serie di erbe curative dagli effetti più disparati infatti potremo recuperare spade, asce, scudi e molto altro ancora, strumenti indispensabili per sopravvivere più a lungo e soprattutto sbarazzarsi rapidamente dei mostri che ci attaccheranno.

Ognuno dei nostri avversari avrà un pattern d’attacco predefinito, e si muoverà sulla mappa esattamente come noi. La meccanica di gioco, infatti, è molto semplice: Shiren si sposterà in scenari bidimensionali, di casella in casella, ed altrettanto faranno i mostri. Quando ci troveremo faccia a faccia con uno di essi potremo attaccarlo, e lui farà lo stesso, cercando di ridurre a zero i nostri punti vita.

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Se decideremo di spostarci o sottrarci al combattimento verremo poi inseguiti e malmenati, salvo avere l’aiuto di qualche compagno che ci saremo portati per semplificarci la vita, anche se il suo utilizzo richiederà comunque una certa tattica. Gli spostamenti infatti saranno cruciali per far sì che sia Shiren che il suo seguace si trovino in una casella attigua al mostro, dato che l’NPC non avrà una sua intelligenza ma seguirà il nostro eroe come un’ombra.

Come detto quindi, solo i più strategici la spunteranno, gli altri invece rischieranno di perire nel tentativo, magari colpiti da qualche trappola nascosta e poi eliminati senza pietà dai mostri, sempre più forti man mano che proseguiremo l’esplorazione della torre.

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Non me ne frega un pixel

Se cercate ricercatezza grafica degna dello schermo di PlayStation Vita, avete suonato al citofono sbagliato: sotto l’aspetto tecnico infatti Shiren the Wanderer non è esattamente il massimo dell’innovazione: un’abusatissima grafica effetto retro ci accompagnerà in dungeon comunque di buona fattura e soprattutto ricchi di mostri sempre vari e dall’aspetto curato (fattore da non sottovalutare).

Gli schermi touch di PlayStation Vita invece, manco a dirlo, non sono sfruttati, così come anche le due levette analogiche, con i controlli riservati alla ben più classica croce direzionale. Tutto all’insegna della semplificazione, che fa piacere fino ad un certo punto dato che l’analogico appunto avrebbe offerto una miglior gestione del movimento diagonale, parte imprescindibile dell’esplorazione.

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Nulla da dire a livello di audio, con musiche ed effetti sonori azzeccati che ci calano appieno nell’atmosfera da roguelike che i ragazzi di Aksys Games hanno scelto di mantenere, rimanendo fedeli nel contempo ai canoni tipici della saga.

Non possiamo poi che elogiare l’immediatezza di gioco e la rapidità di completamento dei singoli dungeon, elemento non da sottovalutare su una console definita portatile ma che molto spesso si ritrova a far girare dei “mattoni polacchi” che richiedono sedute molto lunghe, incompatibili magari con un viaggio in treno o una partita mordi e fuggi. Shiren the Wanderer, anche grazie a questa scelta e ad uno stile di gioco divertente ma non per questo eccessivamente semplice, riesce a creare anche una certa dipendenza negli appassionati del genere.

Trofeisticamente parlando: viaggio senza meta

L’elenco trofei di Shiren the Wanderer comprende la bellezza di 55 trofei, molti dei quali legati al completamento di determinate zone della Torre oppure alla sconfitta di certi avversari. Non mancano ovviamente coppe legate all’ottenimento di tutti gli oggetti disponibili, oppure all’eliminazione di ogni tipo di mostro presente nel gioco che, abbinati ad un elevato numero di trofei nascosti, rendono l’ottenimento del Platino un’impresa per pochi, ardimentosi cacciatori.

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Stefano Bongiorno
Nato e cresciuto in cattività, il giovane Stefano è stato svezzato a latte in polvere e Nintendo, cosa che lo ha portato con gli anni a dover frequentare svariati osteopati a causa delle deformazioni alle mani causati dall'uso di pad rettangolari. Oggi ha una certa età e scrive per il Bit, non perché abbia una scelta, ma perché altrimenti il boss Dario lo fustiga con le copie invendute di Digimon All-Star Rumble. Nel tempo libero si dedica occasionalmente al suo lavoro di commesso di telefonia e soprattutto alla caccia al Platino, con scarsi risultati.